RESOCONTI TESTIMONIALI DI EX PRIGIONIERI DI SOBIBOR, PARTE 1a
Di Thomas Kues, 2008
In contrasto con Treblinka e Belzec, non esistono (presuntivamente) testimoni sopravvissuti dal “campo della morte vero e proprio” di Sobibor, solitamente denominato Lager III. Tuttavia, tra i cinquanta o sessanta sopravvissuti della rivolta dei prigionieri dell’ottobre 1943, abbiamo un certo numero di resoconti in cui i testimoni sostengono di aver avuto accesso a fonti privilegiate (soprattutto lettere presuntivamente scritte da lavoranti nel Lager III) che confermano l’esistenza di camere a gas omicide nel campo e che forniscono persino dettagli concernenti i relativi congegni mortali – dettagli spesso completamente divergenti da quello che gli storici ortodossi vogliono farci credere sul presunto sterminio degli ebrei a Sobibor. Si possono anche trovare molte contraddizioni tra i testimoni riguardo a fenomeni che costoro (secondo la narrazione ufficiale) avrebbero osservato con i propri sensi, come le fiamme e le colonne di fumo provenienti dalle cremazioni all’aperto e certe caratteristiche fisse del campo relative al presunto processo di sterminio.
In una serie di articoli, sottoporrò i resoconti di circa una dozzina di testimoni oculari ebrei di Sobibor ad un esame critico, confrontando le loro dichiarazioni con quelle di altri testimoni, con la storiografia ortodossa ufficiale del campo, come pure con i fatti storici conosciuti e documentati rilevanti per la narrazione. Nel primo degli articoli, tratterò la testimonianza dell’unico testimone della camera gas di Sobibor, Jacob Biskubicz; di Moshe Bahir, un altro testimone al processo Eichmann con alcune strane storie da raccontare; e di Hershel Zukerman, il cuoco del campo che potrebbe davvero essere stato l’iniziatore, o almeno il co-iniziatore, delle dicerie sulla camera a gas di Sobibor. Un riassunto e un’analisi generali appariranno in seguito in un articolo conclusivo.
Jacob Biskubicz
Jacob Biskubicz
Secondo Miriam Novitch, il testimone Jacob Biskubicz (ortografia alternativa Biskowitz) nacque nella città polacca di Hrubieszow il 17 marzo 1926. Egli è unico in quanto è il solo testimone ebraico di Sobibor che affermi esplicitamente di aver visto con i propri occhi le presunte camere a gas del campo, nonostante non fosse un lavorante nel Lager III, dove esse erano presuntivamente ubicate. Come questa impresa venne realizzata è rivelato nei protocolli del processo di Gerusalemme contro Adolf Eichmann del 1960[1]:
Giudice che presiede: Lei ha descritto l’interno della camera a gas. Per esempio, lei ci ha detto come il pavimento si apriva e i corpi cadevano sotto nei vagoni ferroviari.
Testimone Biskowitz: Nella cavità sottostante.
Domanda: Lei vide questo con i propri occhi, o sta parlando di cose che ha sentito da altri?
Risposta: Io descriverò adesso una scena scioccante.
D.: Ma prima di tutto – lei, in generale, ebbe l’opportunità di vedere queste cose dall’interno?
R.: Non tutti ebbero l’opportunità, ma io, casualmente, l’ebbi. Per caso venni incaricato di portare un carretto con un barile di cloruro. Quando passai vicino ad uno dei magazzini più grandi nel Campo 2, staccai il carretto e lo spinsi verso il Campo 3. Lo avrei dovuto lasciare vicino al cancello ma non potei trattenere il veicolo. Il cancello si aprì ed esso mi spinse dentro.
Poiché sapevo che non sarei uscito vivo da lì, iniziai a correre indietro alla massima velocità e riuscii a raggiungere il mio posto di lavoro senza che qualcuno mi notasse. Lo tenni segreto – sottolineo questo – anche ai detenuti del campo che lavoravano con me. Da una certa distanza, vidi la fossa e la cavità e il piccolo treno che portava i corpi morti. Non vidi la camera a gas dall’interno; vidi solo, dall’esterno, che c’era un tetto molto sporgente, e che il pavimento si apriva e i corpi cadevano sotto.
D.: Lei giunse a questa conclusione dalla natura della struttura?
R.: Non dalla struttura – la vidi da lontano anche quando correvo via velocemente, sebbene non possa descriverla esattamente, dopo diciannove anni.
D.: La prego di comprendermi. Lei conosce piuttosto bene queste questioni. Lei vide il pavimento quando si aprì?
R.: Non vidi questo – vidi semplicemente che sotto la camera a gas, c’era una cavità che conteneva già dei corpi.
A questo punto esatto, il giudice presiedente dichiarò frettolosamente che Biskubicz aveva concluso la sua testimonianza, aggiungendo in modo enigmatico:
So che lei non ci ha detto tutto. Ma non c’era alternativa.
Non c’è da meravigliarsi che il giudice volle che Biskubicz scendesse dal banco dei testimoni – il suo edificio di gasazione con il pavimento apribile è completamente opposto al dogma delle camere a gas che era già fissato all’epoca in cui Biskubicz giurò a Gerusalemme.
Non si può sostenere con successo che Biskubicz non vide l’interno dell’edificio, o che egli non vide davvero un pavimento apribile. Ricapitoliamo ciò che Biskubicz ci dice della sua osservazione per sé stessa (sottolineature mie):
Io vidi la fossa e la cavità e il piccolo treno che portava i corpi morti…Io la vidi da lontano anche quando correvo via velocemente…Io vidi solo, dall’esterno, che c’era un tetto molto sporgente, e che il pavimento si aprì e i corpi caddero sotto…Io vidi semplicemente che sotto la camera a gas, c’era una cavità che conteneva già dei corpi.
È evidente da tutto ciò che Biskubicz affermò che egli aveva visto dei cadaveri che giacevano sotto il pavimento apribile di una camera a gas – una veduta inconciliabile con quello che la narrazione ufficiale ci dice delle presunte camere a gas di quel campo e della loro costruzione[2].
Nel breve resoconto non datato pubblicato da Miriam Novitch, la visita di Biskubicz al Lager III è stata ridotta quasi a zero, ed in realtà resa incomprensibile al lettore che non conosca la testimonianza al processo Eichmann. Leggiamo:
Non potevo credere alla realtà del campo n°3. Un giorno, spingevo un carretto carico di cloruro e, ansioso di sapere cosa stava succedendo nel campo, superai il limite. Venni quasi ucciso[3].
E questo è tutto!
Biskubicz dedica uno spazio un po’ più grande alla mostruosa malvagità di certi uomini delle SS:
C’era una giovane mamma, che correva istericamente, in cerca del suo bambino. Frenzel lo trovò e lo uccise sbattendogli la testa contro una rotaia. Wagner era solito uccidere bambini prendendoli a calci con i suoi stivali; uccideva anche i malati e gli infanti non appena arrivavano[4].
Quando lo scrittore Richard Rashke fece delle ricerche per il suo libro Escape from Sobibor (da cui in seguito è stato tratto un film televisivo con protagonista Rutger Hauer) egli andò in Israele per incontrare e intervistare un certo numero di sopravvissuti di Sobibor. Uno di essi era Jacob Biskubicz. La descrizione di Rashke dell’intervista, durante la quale venne accompagnato da Miriam Novitch, getta una qualche luce sul carattere di questo testimone:
Jacob parlava come un uomo ancora in un sogno. Una volta che iniziava la sua storia, non c’era modo di fermarlo, nemmeno per una domanda. Egli quasi urlava nel mio microfono, e Miriam [Novitch] era in difficoltà nel tradurre tra i suoi singulti[5].
È praticamente certo che Novitch, se non Rashke, conosceva la testimonianza di Biskubicz al processo Eichmann. Come mai allora costoro non fecero a Biskubicz ulteriori domande sul suo avvistamento unico della camera a gas? Ad ogni modo, per qualche curiosa ragione essi non sollevarono la questione, e l’intera faccenda finì convenientemente innominata, nel dimenticatoio.
Moshe Bahir
Moshe Bahir
Il testimone Moshe Bahir a quanto si dice venne deportato da Komarow a Sobibor il 16 aprile 1942, e arrivò al campo il 20 aprile[6]. Nel resoconto più lungo pubblicato da Miriam Novitch, Bahir descrive così le sue impressioni all’arrivo:
Dietro il recinto c’erano enormi cumuli di fagotti e di vari effetti personali, fiamme di fuoco e colonne di fumo che salivano dall’interno del campo e, con la loro luce tremolante, cercavano di illuminare il crepuscolo, e, soprattutto, la puzza della carne carbonizzata che riempiva l’aria. Sembrava che in quei momenti chiunque sentiva che questo sarebbe stato il suo ultimo momento sulla terra[7].
Tuttavia la storiografia ortodossa afferma che le cremazioni all’aperto a Sobibor ebbero inizio molto più tardi quell’anno, come minimo durante la seconda metà dell’estate. Yitzhak Arad per esempio afferma che esse iniziarono nell’ottobre 1942. Si presume che la ragione dell’inizio delle cremazioni sia stata che il calore dell’estate avesse fatto gonfiare i cadaveri nelle fosse comuni fino a farli emergere in superficie, diffondendo fetori e pestilenza[8]. Così la testimonianza di Bahir di “fiamme di fuoco e colonne di fumo” e della puzza della carne bruciata il 20 aprile 1942 non quadra con la narrazione ufficiale. In realtà anche la data dell’arrivo è spuria: secondo Arad, Sobibor aprì “verso la fine di aprile del 1942” e un trasporto da Komarow a Sobibor non ebbe luogo fino al 5 maggio dello stesso anno[9]. E non diventa più chiara nella testimonianza di Bahir al processo Eichmann del 1960, dove egli affermò di essere arrivato a Sobibor “il 20 marzo 1942, nel pomeriggio”[10].
Potrebbe forse essere che il testimone si sbagliò sull’anno (e non solo in questo testo, ma anche nella sua testimonianza al processo Eichmann!) e che egli in realtà era arrivato – da Komarow o da qualche altro luogo – nell’aprile 1943? A quanto pare no poiché Bahir in seguito scrive:
Quando venni al campo il comandante era lo Sturmbannführer Wirth; dopo di lui venne l’Hauptsturmführer Franz Reichleitner, e l’ultimo di essi fu l’Untersturmführer Niemann, che fu ucciso il giorno della rivolta[11].
Bisogna osservare che l’elenco di Bahir dei comandanti di Sobibor non è corretto. Reichleitner fu preceduto da Franz Stangl, che Bahir non menziona. Stangl fu il primo vero comandante di Sobibor, non Wirth, che era solo l’ispettore dei campi Reinhardt dopo aver prestato servizio come comandante a Belzec[12]. Reichleitner divenne comandante alla fine dell’agosto 1942, quando Stangl fu trasferito a Treblinka[13]. Quello che più conferma un arrivo il 20 di aprile (o piuttosto il 5 di maggio) è il fatto che Bahir fornisca un resoconto della visita di Himmler a Sobibor “alla fine di luglio “ del 1942 (in realtà il 15 agosto), come pure una presunta seconda visita del Reichsführer SS nel febbraio 1943[14].
Nella sua descrizione del destino che incontrarono i vecchi e i malati sul treno con cui egli arrivò, Bahir di nuovo contraddice la narrazione ortodossa di Sobibor:
Ai vecchi e ai deboli venne ordinato di dirigersi ai treni e di entrarvi. I deboli e, con loro, i corpi di quelli che non erano riusciti a sopportare la durezza del viaggio e che avevano perso la vita – questi vennero trascinati nei vagoni merci e gettati dentro. Venne detto che essi portavano queste pile dei vivi e dei morti al “Lazzaretto” – vale a dire, all’ospedale – per ricevere cure appropriate. I vagoni partirono per il loro breve viaggio. Questo Lazzaretto era ubicato a circa 200 metri dal luogo dove stavamo. Era un piccolo tugurio orribile – e dietro c’era una gigantesca fossa in una foresta giovane. Quando la linea dei vagoni raggiunse il ciglio della fossa il loro carico venne scaricato dai “bendati” – ucraini armati assetati di sangue. Al comando dell’Oberscharführer Bredov, il carico venne scaricato nella fossa in mezzo ad una pioggia di pallottole esplose all’indirizzo dei caduti dai “bendati”, a cui era stato ordinato di essere sicuri che nessuno sopravvivesse.
Ma se dobbiamo credere a Yitzhak Arad:
Un binario a scartamento ridotto con un carrello conduceva dalla stazione ferroviaria alle fosse di sepoltura, bypassando le camere a gas. Le persone che erano morte sui treni o quelli che non potevano camminare dalla piattaforma alle camere a gas venivano portate con il carrello[15].
Questa fu presuntivamente la soluzione praticata durante la seconda fase dell’esistenza del campo, dall’autunno del 1942 in poi. Arad ci dice che prima che il “carrello a scartamento ridotto che andava dalla piattaforma di sbarco alle fosse di sepoltura nel Campo III” (non al “Lazzaretto”) venisse costruito, “i morti, i malati e quelli che non potevano camminare” venivano portati alle fosse su “carretti spinti dai prigionieri” e su “carretti trainati da cavalli”[16]. Così Bahir non avrebbe potuto osservare nessun binario a scartamento ridotto all’epoca del suo arrivo.
È interessante notare che Bahir non è il solo testimone che descrive il binario a scartamento ridotto come conducente al “Lazzaretto” e non al Lager III. Jacob Biskubicz testimoniò nel modo seguente durante il processo Eichmann:
Questo è il Lazzaretto dove essi uccidevano le persone anziane, le persone malate, e quelli che venivano portati direttamente dai trasporti e che non potevano camminare, che venivano portati in questi piccoli vagoni di un piccolo treno che veniva usato per trasportare carbone. Le persone che arrivavano con i trasporti e che non potevano correre velocemente venivano gettati in questi piccoli vagoni, insieme ai bambini piccoli, e portati al “Lazzaretto”, che era in un piccolo bosco[17].
Bahir continua il suo resoconto con una descrizione delle differenti parti del campo, e cioè del Lager III, il campo della morte vero e proprio che presuntivamente conteneva le camere a gas omicide e le fosse comuni.
Il Lager 3 era chiuso su tutti i lati ai prigionieri di Sobibor. Era impossibile per noi vedere ciò che succedeva in quel Lager a causa del boschetto di alberi di pino che lo circondava. Vedevamo solo il tetto della “casa dei bagni” che sporgeva attraverso gli alberi. Così vedevamo la faccia omicida dell’Oberscharführer Bauer, che era solito stare sul tetto di quell’edificio e guardare attraverso la finestrella, dentro le camere a gas[18].
Così la sola cosa che Bahir e i suoi compagni poterono osservare nel Lager III era presuntivamente un uomo che stava sopra un tetto guardando attraverso una sorta di finestra di osservazione. Cosa accadde alle fiamme di fuoco e alle colonne di fumo menzionate dal testimone all’inizio del suo resoconto? Ma proseguiamo a leggere:
Tutti noi sapevamo quello che veniva fatto dentro l’edificio. Sapevamo che Bauer guardava attraverso la finestra per regolare la quantità di gas mortale che fluiva attraverso i dotti, che avevano l’aspetto di una normale doccia. Egli era il solo che vedeva le vittime soffocare per il gas che veniva riversato su di loro ed era il solo che ordinava che il flusso del gas venisse aumentato o fermato. Ed era il solo che vedeva le vittime nella loro agonia finale e nella loro morte. Al suo ordine, il congegno che apriva il pavimento della “casa dei bagni” veniva attivato, e i cadaveri cadevano in piccoli carretti che li portavano dapprima nelle fosse comuni e, in seguito invece, quando il tempo era scarso, nei forni crematori[19].
Ora, come mai tutti sapevano non solo dell’esistenza delle camere a gas, ma anche di come esse funzionavano? E perché la camera a gas descritta da Bahir è identica a quella vista presuntivamente da Jacob Biskubicz? Una probabile risposta viene suggerita a seguire:
Nonostante la stretta supervisione, di quando in quando riuscivamo a prendere contatti con gli ebrei del campo 3. Qualche volta trovavamo dei biglietti attaccati ai lati di pentoloni vuoti che venivano portati indietro dal cancello. In questi biglietti gli uomini che lavoravano alla cremazione dei corpi descrivevano ciò che succedeva nel Lager n°3. Un biglietto parlava di una macchia di sangue che non si era riusciti in nessun modo a pulire o raschiare dal pavimento della camera a gas. Alla fine, vennero degli esperti e accertarono che la macchia era stata assorbita dalle tavole del pavimento della camera dopo che un gruppo di donne incinte erano state avvelenate e una di esse aveva partorito mentre il gas fluiva nella camera. Il gas venefico si era mescolato al sangue della madre e aveva creato la macchia indelebile. Un altro biglietto diceva che, un giorno, ai lavoranti era stato ordinato di sostituire alcune tavole del pavimento perché diversi frammenti di orecchie, di guance e di mani si erano conficcati in esse[20].
Quanto è curioso che i biglietti fatti uscire in modo tanto segreto, il solo sguardo sulla “verità” del nascosto carnaio, raccontassero quello che può essere definito solo come assurdità demenziale! Si ha l’impressione dal resoconto di Bahir che più o meno tutti i detenuti “sapevano” dell’edificio di gasazione con il pavimento apribile in base alle rivelazioni contenute nella misteriosa corrispondenza dei pentoloni per il cibo.
O i presunti scrittori di lettere nel Lager III erano schliemels o favolisti, che facevano del loro meglio per disinformare e ingannare i loro confratelli nella disgrazia che si trovavano all’esterno, oppure le storielle deliranti vennero inventate dai destinatari (o piuttosto “destinatari”) – forse il testimone stesso, forse Hershel Zukerman, la cui significativa testimonianza sarà discussa sotto. Quello che sembra più probabile lo lascio decidere al lettore.
Come sovrappiù alle sue eccentriche epistole sulle camere a gas, Bahir fornisce ai suoi lettori speranzosamente pii alcuni quadretti sulla gratuita crudeltà delle SS al campo, foggiati sul filone di Rais e di Sade. Con poca sorpresa, l’Oberscharführer Gustav Wagner fa una comparsa ultra-violenta:
La sua crudeltà dilagante non conosceva limiti, e gli orrori a cui diede corso mi fanno venire gli incubi ancora oggi. Egli strappava gli infanti dalle braccia delle loro madri e li faceva a pezzi con le sue mani. Lo vidi colpire a morte due uomini con il calcio del fucile perché non capivano i suoi ordini, e questo perché essi non capivano il tedesco[21].
Accalorandosi, Bahir ci racconta alcune storie greuel di prima classe concernenti un altro uomo delle SS che prestò servizio a Sobibor, Paul Groth:
Nella maggior parte dei casi, questi uomini collocavano secchi sulla testa delle vittime, dopo che li avevano fatti entrare nella fossa, e si esercitavano nel tiro, insieme a Grot, che era, naturalmente, sempre il tiratore più straordinario. […] Qualche volta Grot si concedeva uno scherzo; prendeva un ebreo, gli dava una bottiglia di vino e una salsiccia che pesava almeno un chilo e gli ordinava di divorarla in pochi minuti. Quando il “fortunato” era riuscito ad eseguire questo ordine e barcollava per l’ubriachezza, Grot gli ordinava di spalancare la bocca e gli urinava in bocca[22].
Si può credere o non credere alle predette storie (almeno sono leggermente più sensate delle magiche macchie di sangue e delle orecchie conficcate nei pavimenti). Yitzhak Arad chiaramente vi crede (sinceramente o no) poiché egli riferisce il secondo aneddoto su Paul Groth[23]. Egli cita parimenti Bahir sulla faccenda di Wagner che fa a pezzi i bambini[24].
La data di composizione del testo di Bahir che compare nell’antologia di Novitch non è chiara. In una nota al testo ci viene detto che venne “scritta circa nel 1950” e che venne poi pubblicata dal “Museo dei Combattenti e dei Partigiani” di Tel Aviv nel 1970[25]. Tuttavia in una pagina Bahir, “lo scrittore di queste righe”, menziona che egli testimoniò nel processo su Sobibor a Hagen nel 1965, e nella pagina seguente viene menzionato che l’ex SS Hubert Gomerski venne rilasciato dalla prigione a causa delle sue cattive condizioni di salute nel 1972 ma che venne nuovamente incarcerato “per ulteriori quindici anni, a partire dal 1974”[26]. La nota di Novitch sullo scritto e la pubblicazione può perciò non essere corretta. Forse Novitch aveva fatto aumentare e aggiornare a Bahir il suo resoconto prima della pubblicazione del suo libro. Arad cita lo stesso resoconto nel suo libro, presentando la fonte come Museum of the Combatants. Pirsumei Muzeon Halochamim u-Partizanim (“Pubblicazione del Museo dei Combattenti e dei Partigiani”), Tel Aviv, aprile 1973[27]. Tuttavia data la presenza della data del 1974 nel testo di Novitch, questa non può essere la versione identica del resoconto.
Hershel Zukerman
Hershel Zukerman (ortografia alternativa: Cukierman)[28] è un testimone oscuro ma assai interessante. Egli e suo figlio Joseph, che parimenti sopravvisse e che in seguito, come veniamo informati, morì negli Stati Uniti, vennero deportati a Sobibor durante il primo mese delle operazioni del campo (aprile-maggio 1942) e andarono a lavorare come cuochi del campo nel Lager I, cucinando il cibo dei prigionieri lavoranti di tutti e quattro i sotto-campi, incluso il Lager III. Curioso (come ci viene detto) di venire a sapere ciò che trapelava dentro l’ultimo sotto-campo, Zukerman escogitò un piano astuto:
Le camere a gas erano camuffate così bene che per dieci settimane credetti che i miei compagni di prigionia che erano venuti con me fossero in un campo di lavoro. Nella nostra cucina cucinavamo la zuppa per il campo n°3 e le guardie ucraine erano solite portare i recipienti. Una volta misi un biglietto in Yiddish dentro uno gnocco: “Fratello, fammi sapere quello che state facendo”. La risposta arrivò, attaccata sul fondo del pentolone: “Non avresti dovuto chiederlo. Le persone vengono gasate, e noi dobbiamo seppellirle”. Io informai i miei due amici, Leon Feldhendler e Shlomo Goldstein. Tuttavia, decidemmo di stare zitti, perché non volevamo che gli altri lo sapessero”[29].
La predetta citazione proviene dall’antologia delle testimonianze oculari su Sobibor di Miriam Novitch. Yitzhak Arad cita un altro resoconto di Zukerman in cui lo stesso episodio è raccontato così:
Mi venne un’idea. Ogni giorno, ero solito inviare venti o venticinque pentoloni con il cibo per i lavoranti nel Campo III. I tedeschi non erano interessati a quello che cucinavo, così una volta preparai una spessa torta di briciole e dentro vi misi la seguente lettera: “Amici, scrivete quello che succede nel vostro campo”. Quando ricevetti i pentoloni indietro, trovai in uno di essi un pezzo di carta con la risposta: Qui ha luogo l’ultima marcia umana, da questo luogo nessuno ritorna. Qui le persone diventano fredde…”. Informai qualche altra persona sulla sostanza di questa lettera[30].
Grazie a questa lettera, Arad deduce: “la verità di ciò che avveniva nel Campo III divenne nota ai prigionieri ebrei di Sobibor all’inizio del giugno 1942”. Se l’accusa delle gasazioni fosse stata davvero fondata, ci si potrebbe aspettare che i detenuti avrebbero capito la situazione molto prima. Per esempio, sarebbero riusciti, in un modo o nell’altro, a scoprire se qualche ebreo avesse mai lasciato il Campo III oppure no? E non avrebbero notato il fetore dei cadaveri in decomposizione sotto il sole primaverile, coperti solo da un spesso strato di sabbia o di terra?
La parola “sostanza” nel testo citato da Arad deve essere notata. A quanto pare, Zukerman non mostrò mai a Feldhendler e a Goldstein la vera lettera, ma semplicemente li informò dei suoi presunti contenuti! Va tenuto presente che Leon Feldhendler era il capo della resistenza clandestina tra i detenuti.
Anche senza avere accesso agli originali in lingua yiddish o ebraica, è ovvio anche ad un profano della gastronomia che uno gnocco (kreplach?) può difficilmente essere confuso con una spessa torta di briciole. La loro unica somiglianza è che entrambi contengono un ripieno. Zukerman il cuoco sta rimaneggiando la stessa storiella con un leggero cambiamento negli ingredienti, aggiungendo un tocco di melodrammatico e di teatrale. La formulazione della lettera secondo il testo di Arad sicuramente dà l’impressione di una contraffazione fatta a scopo di propaganda (diretta ad altri detenuti) piuttosto che di una lettera autentica fatta uscire di nascosto da lavoranti schiavi rinchiusi in una fabbrica della morte. La formulazione riscontrata nel testo di Novitch fornisce un aspetto più autentico, ma questo potrebbe essere dovuto semplicemente all’estrema brevità del messaggio (l’intero testo è lungo solo quattro pagine). La frase “Non avresti dovuto chiederlo” sembra parimenti piuttosto artificiosa. Può essere inoltre osservato che la formulazione del testo di Novitch ha riferimenti sia alle camere a gas che alle fosse comuni, mentre la formulazione del testo di Arad non ne ha affatto.
Riguardo alle forniture di cibo al Lager III, Moshe Bahir scrive:
Le scarse porzioni di cibo ai lavoranti del Lager III venivano fornite dalla nostra cucina del Lager I. Dieci uomini del nostro gruppo di lavoro portavano i pentoloni della zuppa acquosa al cancello del Lager 3, li lasciavano lì e riportavano i pentoloni vuoti al Lager 1. Tutto questo veniva fatto due volte al giorno in gran fretta, accompagnati dalle frustate delle guardie[31].
Così secondo Bahir centinaia di lavoranti nel campo della morte vero e proprio venivano nutriti con scarse porzioni di zuppa acquosa, portate al cancello da detenuti ebrei – mentre d’altro canto il cuoco stesso afferma che egli poteva cucinare per i lavoranti del campo della morte qualunque cosa volesse, incluse torte e gnocchi, e che i pentoloni con il cibo venivano portati da guardie ucraine. Ma questa è solo la ciliegina sulla torta, per così dire.
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/647/?lang=en
[1] Il Processo Contro Adolf Eichmann, Sessione 65.
[2] Cf. Arad, p. 31, 123.
[3] Miriam Novitch, p. 121.
[4] Ivi, p. 120.
[5] Richard Rashke, Escape from Sobibor, University of Illinois Press 1992, p. 329.
[6] Novitch, p. 142-143.
[7] Ivi, p. 143.
[8] Yitzhak Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka: The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press, Bloomington 1987, p. 177.
[9] Ivi, p. 36, 390.
[10] Il Processo contro Adolf Eichmann, sessione 65.
[11] Novitch, p. 153.
[12] Arad, p. 33.
[13] Ivi, p. 92.
[14] Novitch, p. 154-155.
[15] Arad, p. 33.
[16] Ivi, p. 123-124.
[17] Il processo contro Adolf Eichmann, sessione 65.
[18] Novitch, p. 147.
[19] Ivi, p. 147.
[20] Ivi, p. 148.
[21] Ivi, p. 149.
[22] Ivi, pp. 150-151.
[23] Arad, p. 195, 416.
[24] Ivi, p. 191.
[25] Novitch, p. 163.
[26] Ivi, p. 152-153
[27] Arad, p. 191, 404, 416.
[28] Yitzhak Arad riesce a indicizzare entrambe le ortografie separatamente, che si riferiscono a passaggi separati a diversi capitoli di distanza, e senza nessun rimando, così che il lettore può essere fuorviato a credere che si tratti di due persone distinte: Zukerman il cuoco del campo e Cukierman, membro della resistenza del campo. Ma sicuramente questo è semplicemente un errore innocente da parte di Arad.
[29] Novitch, p. 107.
[30] Arad, p. 79; citazione della testimonianza di Zukerman archiviata dallo Yad Vashem, YVA 016/1187.
[31] Novitch, p. 147.
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