IL PRESUNTO PRIMO EDIFICIO DI GASAZIONE A SOBIBÓR
Di Thomas Kues, 2008
Introduzione
Si ritiene riguardo a tutti e tre i campi dell’Aktion Reinhardt “Belzec, Sobibór, Treblinka” che essi contenessero ognuno due edifici con camere a gas omicide durante il loro rispettivo periodo di attività. A Belzec, ci viene detto, il primo edificio di gasazione – “una baracca di legno contenente tre camere” – venne demolito e sostituito con una più grande struttura di cemento durante l’inizio dell’estate 1942. A Treblinka la prima installazione di gasazione, fatta di mattoni, venne presuntivamente non demolita, ma trasformata in un laboratorio dopo essere stata sostituita da una più grande struttura di cemento che conteneva 6, 8 o 10 camere a gas. Questo edificio fu, secondo il testimone oculare ebreo Jankiel Wiernik, costruito nel settembre-ottobre 1942. Nel caso di Sobibór un originale edificio più piccolo venne interamente o parzialmente demolito nell’estate 1942 e un più grande edificio di gasazione venne costruito sullo stesso luogo. Poiché presuntivamente nessuno dei prigionieri lavoranti (Arbeitshäftlinge) del Lager 3 (il settore del campo che si ritiene abbia ospitato le camere a gas e le fosse comuni) sopravvissero alla liquidazione del campo, la storiografia di Sobibór su questo punto si deve basare esclusivamente sulle dichiarazioni testimoniali di pochi uomini ex SS che avevano prestato servizio a Sobibór, come pure sulla testimonianza di un ferroviere polacco (Jan Piwonski) che aveva assistito alla costruzione del campo. Nel seguente articolo, confronterò le dichiarazioni testimoniali relative al primo dei due edifici di gasazione di Sobibór, la maggior parte delle quali rese due decenni dopo i presunti eventi, l’una con l’altra, come pure con la storiografia ortodossa.
Il materiale di costruzione e la configurazione del presunto edificio
Yitzhak Arad
Per cominciare diamo uno sguardo a cosa Yitzhak Arad – forse l’esperto ortodosso più importante sui campi Reinhardt – ha da dire sulla costruzione della prima installazione di gasazione:
Le prime camere a gas erette a Sobibor furono in un solido edificio di mattoni con una fondazione di cemento. Esse erano ubicate nella parte nordoccidentale del campo, più isolate e distanti dalle altre parti del campo che a Belzec. C’erano tre camere a gas nell’edificio, ognuna di metri 4×4. La capienza di ogni camera era di circa duecento persone. Ogni camera a gas aveva la sua porta separata a cui si accedeva da una veranda che correva lungo l’edificio. Sul lato opposto dell’edificio, c’era una seconda serie di porte per la rimozione dei cadaveri. Fuori c’era una tettoia in cui il motore che forniva il monossido di carbonio era installato. Tubi conducevano il gas di scarico dal motore nelle camere a gas[1].
Così secondo Arad, le “tre” camere a gas erano contenute in un edificio di mattoni con una fondazione di cemento, in contrasto con le prime camere a gas di Belzec, contenute in una baracca di legno. Come fonte per la sua descrizione, Arad utilizza il libro di Adalbert Rückerl NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse, che a sua volta è basato sui verdetti e le testimonianze dei processi tedesco-occidentali contro l’ex personale dell’Aktion Reinhardt tenutisi negli anni ’60[2]. La fonte apparente della descrizione di Arad data il completamento della costruzione all’inizio dell’aprile 1942[3]. Egli poi prosegue citando la testimonianza del SS-Unterscharführer Erich Fuchs sulla sua prima visita a Sobibór, che dettaglia il modo in cui installò il motore usato per le presunte gasazioni. Fuchs descrive l’edificio così:
Al mio arrivo a Sobibor trovai vicino alla stazione un’area con una struttura di cemento e diverse case solide[4].
La struttura di cemento è a quanto pare l’edificio di gasazione. Secondo tutte le descrizioni questo venne costruito non “vicino la stazione” ma piuttosto dentro un’area boschiva distante 300-400 metri dal raccordo ferroviario del campo, e sul lato opposto al binario principale. Notiamo anche che Fuchs parla di una struttura di cemento, non di una casa in mattoni con una fondazione di cemento. Questa contraddizione può non essere tra quelle lampanti. D’altro canto, incontreremo questa contraddizione nel corso della nostra ricerca quando esamineremo ciò che Jules Schelvis, il più importante cronista ortodosso di Sobibór dei nostri giorni, ha da dire sulla testimonianza di Fuchs. Siate preparati ad una sorpresa poiché leggiamo:
A causa del fatto che aveva dovuto erigere così tante installazioni nel corso del tempo, egli non ricordava che le prime camere a gas a Sobibor erano state costruite in legno[5].
Costruite in legno? Su quali prove Schelvis basa quest’affermazione? Viene fuori che egli si affida primariamente alla testimonianza del 1965 dell’ex SS-Oberscharführer Erich Bauer:
La camera a gas era già lì, un edificio di legno su una base di cemento, delle stesse dimensioni di quest’aula [di tribunale] sebbene molto più bassa, bassa come una normale abitazione. C’erano due o tre camere, di fronte alle quali c’era un corridoio a cui, dall’esterno, si accedeva tramite un ponte[6].
Poiché Bauer era il “Gasmeister” che presuntivamente era solito operare o supervisionare l’attivazione del motore (cosa che gli meritò il carcere a vita), è ragionevole presumere che egli avrebbe ricordato se il primo edificio di gasazione era fatto di legno o di mattoni e/o di cemento. Schelvis appare certo sull’attendibilità della dichiarazione di Bauer:
Dal suo resoconto può essere dedotto che le camere a gas erano in effetti identiche a quelle di Belzec[7].
In altre parole, entrambi gli edifici erano fatti di legno e contenevano tre camere a gas.
Jules Schelvis
Schelvis cita anche le testimonianze di due uomini delle SS che presero parte alla costruzione dell’edificio di gasazione della seconda fase, che egli data in modo vago al periodo giugno-settembre 1942 (Arad d’altro canto data il completamento dell’edificio all’ottobre 1942)[8]. Il primo di essi, il SS-Unterscharführer Erwin Lambert (soprannominato “l’architetto volante del T4”), affermò nel 1962:
Come ho già detto in precedenza, trascorsi tra i 14 giorni e le tre settimane nel campo di sterminio ebraico di Sobibor. Può essere stato nell’autunno del 1942. Ma non posso ricordare le date esatte. Wirth mi aveva assegnato il compito di ingrandire le installazioni di gasazione a Sobibor; le avrei dovute costruire usando l’esempio di Treblinka. Andai a Sobibor con Lorenz Hackenholt. Hackenholt era a Treblinka all’epoca. Andammo dapprima in una segheria vicino a Varsavia. Hackenholt ordinò una grande quantità di legname per lavori di ricostruzione a Sobibor. Poi andammo a Sobibor. Ci presentammo al comandante del campo Reichleitner, che ci diede le opportune istruzioni per costruire l’installazione di gasazione. Il campo era già operativo quando arrivai e aveva già una camera a gas. La ricostruzione fu probabilmente necessaria perché la vecchia costruzione non era abbastanza grande, o non era abbastanza solida[9].
La dichiarazione di Lambert è piena di contraddizioni, la maggior parte delle quali cronologiche. Egli menziona Franz Reichleitner come il comandante di Sobibór. Reichleitner sostituì Franz Paul Stangl come comandante di Sobibór nel settembre 1942, secondo le fonti unanimi. Di conseguenza la costruzione che Lambert descrive non avrebbe potuto essere iniziata prima di settembre. D’altro canto, Schelvis scrive che la decisione di sostituire il primo edificio venne presa solo “pochi mesi dopo” le prime gasazioni, vale a dire in maggio o in giugno; e che “la ricostruzione ebbe luogo tra giugno e settembre del 1942, cogliendo l’opportunità di un periodo tranquillo nell’arrivo dei trasporti” che fu a sua volta provocato dall’abbassamento dei binari ferroviari tra Chelm e Wlodawa a causa delle condizioni paludose del terreno[10]. Inoltre viene affermato che le nuove camere a gas erano pienamente operative nell’ottobre 1942[11]. Così il nuovo edificio di gasazione sarebbe stato più o meno completato all’epoca in cui l’architetto Lambert arrivò al campo, se dobbiamo credere alla cronologia di Schelvis. Ora si potrebbe sostenere che Lambert forse ricordò male e che il comandante che incontrò a Sobibór era stato in realtà Stangl, ma allora incontriamo un’altra contraddizione: la dichiarazione di Lambert che l’”installazione” nuova o ricostruita doveva avere Treblinka come modello. Come abbiamo già detto, le presunte prime tre camere a gas di Treblinka erano ospitate in un edificio di mattoni, che venne in seguito sostituito da un più grande edificio di cemento dove le singole camere (che si presume furono 6, 8 o addirittura 10) furono equamente disposte lungo un corridoio. Secondo la storiografia standard di Treblinka, la costruzione del nuovo edificio iniziò nei primi giorni del settembre 1942 e terminò alla metà di ottobre dello stesso anno[12]. Si potrebbe tuttavia supporre che Lambert dovesse copiare il nuovo edificio di Sobibór dopo che la nuova installazione era stata progettata per Treblinka, ma sembra che non ci siano prove testimoniali per tali progetti come già esistenti nel giugno 1942. Sarebbe stato più credibile se a Lambert fosse stato detto di utilizzare Belzec come modello, poiché in questo campo la sostituzione era stata presuntivamente effettuata durante la tarda primavera o la prima estate del 1942. Poiché l’edificio di gasazione della seconda fase di Sobibór secondo le fonti unanimi seguì la configurazione delle installazioni della seconda fase di Belzec e di Treblinka, il primo edificio di Treblinka, nonostante fosse una costruzione in mattoni, non avrebbe potuto servire come modello (se dobbiamo seguire la narrazione ortodossa) poiché esso impiegò una configurazione radicalmente differente e conteneva solo tre camere a gas. Inoltre è sconcertante il passaggio in cui Lambert descrive sé stesso e Hackenholt come ordinanti una “grande quantità di legname” da usare nella costruzione della nuova “installazione di gasazione”. È vero che tavole di legno vengono (spesso) usate nella costruzione di strutture di cemento[13], ma anche un grande edificio difficilmente avrebbe richiesto “una grande quantità di legname” portata da Varsavia (e bisognerebbe ricordare in questo contesto che una segheria era in realtà ubicata nelle immediate vicinanze del campo di Sobibór)[14]. Questo implica che il secondo edificio di gasazione di Sobibór era fatto di legno nonostante l’idea che le “camere a gas” di Treblinka fossero fatte di mattoni o di cemento. Che Lambert elenchi il fatto di “non essere abbastanza solido” come una possibile ragione per la necessità della “ricostruzione” a sua volta implica che la prima “installazione di gasazione” era parimenti costruita in legno. La parola “ricostruire” in sé stessa sembra implicare che il primo edificio non fu completamente distrutto, ma che la nuova installazione fu eretta sulle stesse fondazioni. Considerando che il secondo edificio era presuntivamente molto più grande di quello vecchio, questo sembra alquanto curioso, a prescindere dalla questione del materiale di costruzione.
Il secondo uomo delle SS che Schelvis cita riguardo alla “ricostruzione” delle camere a gas è il SS-Scharführer Franz Hödl. Secondo una dichiarazione resa da Hödl (durante il processo contro Hubert Gomerski a Francoforte sul Meno nel 1950) le nuove camere a gas erano ospitate in
“un edificio di cemento, lungo da 18 a 20 metri con 6-8 camere a gas che erano state erette. La camera a gas aveva 4 o 6 camere su ogni lato del corridoio centrale, tre sulla sinistra, tre sulla destra”[15].
La memoria di Hödl deve aver lavorato a piena velocità, poiché egli cambiò la sua stima del numero delle camere non meno di tre volte durante il corso di quello che deve essere stato meno di un minuto! Comunque, la sua dichiarazione non getta nessuna luce sulla natura del primo edificio.
Schelvis sembra certo che il primo edificio di gasazione venne costruito in legno. Riguardo alle ragioni per la sostituzione delle camere, egli afferma:
Dopo pochi mesi divenne evidente che le camere a gas sia di Belzec che di Sobibor avevano bisogno di essere sostituite. I muri di legno si erano lordati con il sudore, l’urina, il sangue e gli escrementi delle vittime. Le nuove camere a gas dovettero essere costruite di mattoni, più durevoli, e sostenere una più grande capienza[16].
Ma mentre Schelvis si basa sul “Gasmeister” Erich Bauer, egli cita anche il seguente frammento di testimonianza lasciata da Franz Stangl, comandante del campo dall’inizio delle operazioni fino al settembre 1942:
Notai una costruzione in pietra su un sito parzialmente boschivo che non era stato ancora recintato. Questo edificio non era stato incluso nei piani. Dopo qualche giorno iniziai a sospettare che venivano costruite le camere a gas. Uno degli uomini che erano arrivati dai Heilanstalten [manicomi] era stato Brenner [bruciatore] lì. Questo è come li chiamavamo a Hartheim “Wirth ha sempre usato lo stesso termine” le persone che erano coinvolte nel bruciare i pazienti che erano stati gasati[17].
Franz Stangl
In In quelle tenebre, il libro della giornalista britannico-ebraica Gitta Sereny contenente le presunte trascrizioni delle conversazioni tra Sereny e Stangl nella sua cella di prigione a Düsseldorf nel 1971, lo stesso evento è raffigurato in modo un po’ differente:
Due cose accaddero: quando stavamo lì da circa tre giorni, io penso, Michel arrivò correndo un giorno e disse che aveva trovato un curioso edificio nei boschi. “Penso che c’è qualcosa di poco chiaro che sta succedendo qui”, disse. “Venite e vedete che cosa vi ricorda”. […] Era a circa dieci o quindici minuti di cammino dalla stazione ferroviaria dove stavamo costruendo il campo principale. Era un nuovo edificio di mattoni con tre stanze, tre metri per quattro. Nel momento in cui lo vidi seppi ciò che Michel voleva dire: appariva esattamente come la camera a gas nel castello di Hartheim. […] I polacchi lo avevano costruito – essi non sapevano che cosa doveva essere. Né Michel né io avevamo ancora tempo per andare per passeggiate nei boschi. Eravamo molto occupati. Sì – era sulle piante, ma così erano molti altri edifici[18].
La versione che si trova in Sereny differisce in quanto le camere a gas “scoperte” erano sulla pianta dell’edificio, e Stangl capì lo scopo dell’edificio non appena lo vide, non qualche giorno dopo che aveva appreso della sua esistenza. Nell’”intervista” di Sereny la struttura viene descritta come un edificio in mattoni. Nella testimonianza in tribunale del 1969 viene definita come “una costruzione in pietra” ma probabilmente dovremmo leggere “mattoni” per “pietra”. In tedesco, la parola che sta per mattone è chiamata Ziegel, Ziegelstein, Mauerstein o Backstein. L’elemento –stein che si trova nelle ultime tre parole significa “pietra”. Sarebbe d’altro canto piuttosto strano se le camere a gas fossero state costruite al modo dei tempi antichi usando pietre tagliate!
Ora Bauer e Stangl non potevano avere entrambi ragione, ma erano presuntivamente entrambi in una posizione molto buona per osservare l’edificio di gasazione. Bauer era, come menzionato in precedenza, l’uomo delle SS che supervisionava le gasazioni in esso; Stangl sovrintese alla fase finale della costruzione iniziale del campo e fu comandante del campo per circa sei mesi, e poiché (secondo Schelvis) egli lasciò Sobibór prima che le camere a gas della seconda fase diventassero operative, egli non avrebbe potuto confondere i due edifici nei suoi ricordi[19]. È opportuno notare che Schelvis omette di commentare la dichiarazione di Stangl sul primo edificio.
Che dire allora su altri testimoni? Possono forse costoro rendere l’immagine in qualche modo più chiara? Esaminiamo dapprima Mikhail Razgonayev, un ex guardia ucraina al campo che arrivò lì nel maggio 1942. Secondo le sue presunte dichiarazioni testimoniali rese durante la detenzione sovietica, le camere a gas erano ospitate in un “grande edificio in pietra”. Il testimone poi descrive questa costruzione in modo dettagliato:
Nell’edificio con le camere a gas c’era un largo corridoio, su un lato del quale c’erano 4 camere. Nelle quattro camere, il pavimento, il soffitto e i muri erano di cemento: esse avevano 4 pomelli di doccia speciali la cui funzione non era quella di immettere acqua ma gas di scarico attraverso cui le persone nelle camere venivano uccise.
Ogni camera aveva due porte: interna – sul lato del corridoio attraverso cui le persone entravano nella camera e esterna che apriva verso l’esterno e attraverso cui i corpi venivano rimossi.
Le porte – quella interna e quella esterna – venivano chiuse ermeticamente e munite di strisce di gomma che non permettevano al gas di uscire dalla camera[20].
La configurazione descritta qui da Razgonayev è più coerente con quella del presunto edificio di gasazione della seconda fase, dove le camere erano disposte l’una di fronte all’altra lungo un corridoio. Il testimone fu presente a Sobibór fino al luglio 1943, così che se la narrazione ortodossa è vera, egli avrebbe potuto osservare anche l’edificio della seconda fase. C’è naturalmente anche la possibilità, all’interno dello stesso quadro narrativo, che egli non vide il primo edificio di gasazione al suo arrivo, e solo in seguito vide il secondo edificio, senza mai capire che c’era stata una precedente installazione di gasazione. È forse meritevole di osservazione che il testimone affermi che “il lavoro di costruzione al campo continuò” dal maggio 1942 al luglio 1943 e che menzioni anche la costruzione di “stanze di vestizione” (sic) e di magazzini di vestiti. Egli non menziona quella che deve essere stata sicuramente la singola opera di costruzione più grande a Sobibór, e cioè la costruzione delle nuove camere a gas – nonostante che quest’opera sia stata presuntivamente realizzata poco dopo il suo arrivo al campo.
Jan Piwonski, un polacco del luogo e ferroviere, testimoniò a Lublino nel 1975:
Nell’autunno del 1941 ufficiali tedeschi arrivarono alla stazione di Sobibór in tre occasioni. […] Durante la loro visita alla stazione presero le misure della piattaforma, e dei binari di raccordo che si diramavano dalla piattaforma, e poi si inoltrarono nei boschi vicini. Non ho idea di cosa stessero facendo lì. […] Qualche tempo dopo alcune porte molto spesse, che avevano strisce di gomma intorno ad esse, arrivarono con il treno. Congetturammo su quale scopo avessero le porte, e ci venne in mente che i tedeschi stavano costruendo qualcosa qui, specialmente quando arrivarono anche treni carichi di mattoni, ed essi iniziarono a portare anche gli ebrei[21].
I carichi di mattoni consegnati implicano che l’edificio di gasazione era una costruzione in mattoni, poiché tutti gli altri edifici del campo, almeno durante la sua fase iniziale, erano costruiti in legno[22].
La dichiarazione di Piwonski che “alcune porte molto spesse” con “strisce di gomma intorno ad esse” vennero portate nell’autunno o nell’inverno del 1941 è d’altro canto contraddetta dalla testimonianza di Franz Hödl:
Le porte a chiusura ermetica arrivarono solo in seguito; le portai da Varsavia, ma questo non fu fino a quando ebbe luogo la ricostruzione. Prima di allora, c’erano porte di legno sul retro, da dove i corpi uscivano[23].
Ulteriori contraddizioni riguardanti la presunta prima gasazione
Un confronto tra le testimonianze di Franz Stangl e di Erich Fuchs rivela diverse contraddizioni minori ma rivelatrici riguardo alla presunta prima gasazione sperimentale. La prima di esse riguarda la questione di chi era presente al detto evento. Nella dichiarazione di Fuchs leggiamo:
Il Sonderkommando a Sobibor era guidato da Thomalla. Tra il personale delle SS c’erano Floss, Bauer, Stangl, Friedl Schwarz, Barbl e altri. Scaricammo il motore […][24]
“Friedl” era il soprannome del SS-Hauptscharführer Gottfried Schwarz, che venne ucciso dai partigiani nell’Istria il 19 giugno 1944. Curiosamente, sembra che la predetta dichiarazione di Fuchs sia la sola prova indicante che Schwarz prestò servizio a Sobibór.
Il SS-Hauptsturmführer Richard Thomalla della SS-Zentralbauleitung Zamosc a quel che si dice guidò la costruzione iniziale del campo. Egli aveva in precedenza supervisionato la costruzione del campo a Belzec. Poco dopo la fine della guerra, il 12 maggio 1945, Thomalla venne giustiziato da agenti del NKVD [Commissariato del popolo per gli affari interni] a Jicin, in Cecoslovacchia. Sembra strano che Fuchs abbia descritto Thomalla come leader del SS Sonderkommando Sobibór, poiché Stangl secondo tutte le fonti venne nominato comandante di Sobibór già prima del suo arrivo lì.
Secondo la testimonianza giudiziaria di Stangl, la prima gasazione non fu senza problemi:
Wirth gridava e urlava. Stava sul retro dell’edificio, dove c’erano le porte di uscita. Tuonava e inveiva contro il fatto che le porte erano troppo piccole. Le persone che dovevano essere gasate erano state spinte nelle camere a gas attraverso le porte di uscita. Se fossero entrate dalle porte di ingresso, avrebbero potuto essere viste da qualcuno fuori del campo. […] Appresi all’epoca che le persone avevano fatto resistenza all’essere rinchiuse dentro la camera a gas. Questa era un’altra ragione del perché Wirth era così furioso[25].
Secondo le affermazioni attribuite a Stangl da Gitta Sereny, la gasazione sperimentale avvenne nel modo seguente:
Wirth venne a Sobibor il giorno successivo. Egli mi ignorò; stette diversi giorni e organizzò ogni cosa. Metà dei lavoranti erano incaricati di ultimare le camere a gas. […] Io proseguii con altri lavori di costruzione, […] e poi un giorno l’aiutante di Wirth, Oberhauser, venne a prendermi. Dovevo venire alla camera a gas. Quando arrivai lì, Wirth stava di fronte all’edificio asciugandosi il sudore della testa e fumando. Michel mi disse in seguito che era comparso improvvisamente, aveva esaminato le camere a gas su cui stavano ancora lavorando e aveva detto: “Bene, le collauderemo adesso con quei venticinque lavoranti ebrei: portateli qui”. Essi portarono i nostri venticinque ebrei lì e li spinsero dentro, e li gasarono. [Hermann] Michel disse che Wirth si era comportato come un pazzo, aveva colpito i membri del suo staff con il frustino per incitarli. E poi era livido perché le porte non avevano funzionato bene. […] Egli urlava e inveiva e disse che le porte dovevano essere cambiate. Dopo di che se ne andò[26].
Il lettore attento noterà immediatamente che né Christian Wirth né Josef Oberhauser vengono menzionati nella dichiarazione di Fuchs, mentre un certo numero di ufficiali minori delle SS lo sono. Questo è altamente rimarchevole, poiché il SS-Sturmbannführer Christian Wirth era l’ispettore dei campi Reinhardt e secondo per rango solo al SS- und Polizeiführer Odilo Globocnik. Wirth era in realtà il comandante effettivo di tutti e tre i campi Reinhardt. Fino all’agosto 1942 Wirth fu il comandante di Belzec. Il SS-Untersturmführer Josef Oberhauser a quanto si dice prestò servizio come aiutante di Wirth e come ufficiale di collegamento di Globocnik. Lo stesso Fuchs fu di guarnigione a Belzec, e sarebbe perciò andato probabilmente a Sobibór in compagnia di questi due uomini, se la storia di Stangl è vera. Se la descrizione di Wirth che urla e strepita durante la gasazione è vera, l’omissione di Fuchs della presenza dei due uomini sembra anche più inspiegabile.
Un altro punto in cui le testimonianze di Fuchs e di Stangl sono in contrasto è la descrizione delle vittime della prima gasazione. Fuchs pretende di ricordare che “da trenta a quaranta donne vennero gasate in una camera a gas” e che queste donne “dovettero spogliarsi in uno spiazzo nel bosco che era stato coperto con un tetto, vicino alle camere a gas”. Questo scenario è completamente differente dalla descrizione di Stangl nel libro di Sereny. In questa le vittime sono venticinque e sono certamente quasi tutti maschi, poiché vengono descritti come prigionieri ebrei che lavoravano alle costruzioni. Inoltre ad essi non viene dato il tempo di spogliarsi, ma vengono brutalmente spinti nella camera a gas con i vestiti ancora indosso, così che Stangl testimoniò che egli era “certo che i corpi non erano nudi, ma vennero sepolti con i loro vestiti indosso”[27].
L’ex SS-Rottenführer Heinrich Barbl inoltre accrebbe l’assurdità con la sua dichiarazione sulla gasazione sperimentale:
Le infermiere della Croce Rossa accompagnarono le donne selezionate, che vennero trasportate con un bus. Esse assistettero allo spogliamento[28].
Così anche Barbl contraddice le dichiarazioni di Stangl. Colpisce anche come un elemento decisamente rimarchevole che le SS, mentre erano assai preoccupate per il rischio che degli estranei potessero osservare le procedure di uccisione, avessero lasciato entrare nel campo le infermiere della Croce Rossa, e che avessero permesso loro di assistere allo spogliamento delle vittime nelle immediate vicinanze delle camere a gas!
Il motore di gasazione
Erich Bauer
Riguardo al processo contro Hubert Gomerski nel 1950, Erich Bauer fece la seguente dichiarazione riguardante un’ulteriore presunta gasazione sperimentale alla fine dell’aprile 1942:
A mio giudizio era un motore a benzina, un grande motore, penso un Renault. In un secondo momento il motore venne acceso prima, ma per cominciare non fino a quando le persone erano già nella camera, perché l’opzione Freiauspuff [folle] non era disponibile all’inizio. Ci vollero sempre due uomini per avviare il motore; la batteria da sola non era sufficiente. Fuchs aveva costruito un congegno speciale. C’era un vecchio magnete. Un uomo girava la manovella che accendeva il motore. Il volano aveva una sorta di palanchino, che veniva usato per accenderlo, mentre nello stesso tempo qualcun altro doveva azionare l’accensione magnetica; ecco perché ci volevano due uomini per accenderlo. Non posso ricordare esattamente dove il serbatoio della benzina era situato; penso che fosse sul muro. Non sono sicuro di come il gas veniva regolato; penso che era in qualche modo fissato in posizione con una vite. Penso che era simile al modo in cui la manovella del gas era posizionata nei veicoli a motore. Non era necessario che una persona premesse costantemente la leva per mantenere il motore acceso. Le camere erano permanentemente connesse al motore; il modo in cui funzionava era che se un tappo di legno veniva estratto, i fumi venivano fuori, se il, tappo veniva inserito nel tubo, i fumi entravano nella camera[29].
Ma nella ben nota dichiarazione di Fuchs sulla prima gasazione sperimentale, leggiamo:
All’inizio il motore era in folle. Noi entrambi [Fuchs e Bauer] stavamo accanto al motore e abbiamo commutato il doppio da Freiauspuff [folle] auf Zelle [a cella], rilasciando così il gas nella camera[30].
Così se dobbiamo credere a Fuchs, c’era un’opzione Freiauspuff già dall’inizio, mentre secondo la precedente testimonianza di Bauer questa opzione venne aggiunta solo in seguito. Come notato da Schelvis, i due uomini ex SS si sono contraddetti anche l’uno con l’altro sulla questione che il motore fosse munito o meno di un motorino di avviamento: secondo Fuchs, non lo aveva ma aveva dei Schlagmagneten (magneti relè ad azione ritardata connessi ad una molla)[31].
La capienza delle presunte prime camere a gas
Yitzhak Arad sulla capienza delle prime camere a gas di Sobibór fa la seguente affermazione:
Nell’edificio c’erano tre camere a gas, ognuna di metri 4×4. La capienza di ogni camera era di circa duecento persone[32].
Uno sguardo alle fonti di Arad mostrerà che egli in questo passaggio si affida agli scritti di Adalbert Rückerl, che a sua volta basa la sua informazione sul verdetto del processo di Hagen del 1965-6. Così Arad-Rückerl sostengono che circa 600 persone potevano essere gasate simultaneamente nell’edificio. Questa tesi a sua volta è contraddetta dalle dichiarazioni delle ex SS, riassunte da Schelvis:
[Eric] Bauer il 6 ottobre 1965 a Hagen: da 50 a 60 [persone] per camera; [Karl] Frenzel il 10 ottobre 1966 a Hagen: in gruppi di [vale a dire in totale] 250, forse 150; [Kurt] Bolender il 5 giugno 1961 a Monaco: da 40 a 50 in una camera; [Hubert] Gomerski il 19 settembre 1961 a Butzbach: da 60 a 80 in una stanza […]
Se dobbiamo credere alle varie cifre asserite dagli ex membri dello staff di Sobibór, ogni trasporto ebraico al campo – la maggior parte di essi contenente tra le 1.000 e le 3.000 persone – avrebbe richiesto tra le cinque e le quindici gasazioni distinte. La capienza più alta presunta nel verdetto di Hagen non dovrebbe perciò sorprendere nessuno[33].
La storica israeliana Miriam Novitch non si prende la briga di informare i suoi lettori sul materiale di costruzione né della prima né della seconda installazione di gasazione[34]. Quanto alla loro capienza rispettiva ella asserisce che il primo edificio aveva tre camere “ognuna delle quali poteva contenere cinquanta persone”, mentre il successivo edificio conteneva cinque stanze che misuravano metri 4×12, ognuna prevista per contenere “da 70 a 80 persone” in modo tale che “400 vittime potevano essere messe a morte nello stesso momento, se i bambini erano inclusi”[35]. Arad d’altro canto scrive che il nuovo edificio conteneva sei camere a gas, ognuna delle quali di metri 4×4 (“le stesse dimensioni di quelle esistenti”) con una capacità omicida simultanea totale di 1.300 persone[36]. Come hanno potuto Arad e Novitch raggiungere delle cifre così altamente divergenti?
Excursus: le fosse comuni di Sobibór
Miriam Novitch
Miriam Novitch scrive che i morti di Sobibór vennero inizialmente sepolti in un numero di “fosse” non specificato che misuravano “trenta metri per quindici, e profonde quattro o cinque metri”. Secondo Novitch, i seppellimenti vennero fermati e le cremazioni iniziarono “nell’inverno del 1942”[37].
Yitzhak Arad sostiene che i cadaveri venivano interrati in un numero di fosse non specificato che erano “lunghe da 50 a 60 metri, larghe da 10 a 15 metri, e profonde da 5 a 7 metri”[38]. Arad data la cessazione dei seppellimenti all’”estate del 1942” e l’inizio delle cremazioni alla tarda estate-inizio autunno dello stesso anno[39].
Cosa ha da dire allora Jules Schelvis sulle fosse comuni? Vediamo:
Circa 170.000 persone vennero gasate a Sobibor. Fino alla fine del 1942, i corpi venivano portati in una fossa del Lager 3, che misurava circa metri 60×20 ed era profonda circa da 6 a 7 metri, le pareti digradavano per prevenire i crolli. Lungo un lato una struttura di legno sporgeva sul ciglio, in modo che i carretti carichi potessero venire rovesciati e i corpi scaricati nella fossa. I corpi dovevano essere sistemati dall’Arbeitschäftlinge [i prigionieri lavoranti] in un modo prestabilito per usare tutto lo spazio disponibile, e poi coperti con cloruro di calce[40].
Così Schelvis concorda con Novitch piuttosto che con Arad sulla questione dell’inizio delle cremazioni. Le misure della fossa comune sono più in accordo con quelle fornite da Arad, tuttavia. Come fonte Schelvis utilizza una dichiarazione fatta da Kurt Bolender il 5 giugno 1961[41]. Quando si arriva al numero delle fosse comuni, Schelvis sostiene che furono solo due:
Nel giugno 1942 era diventato chiaro alla dirigenza del campo che la fossa si stava riempiendo velocemente, così venne scavata una seconda fossa distante circa 80 metri dalla prima[42].
La fonte è di nuovo Bolender. Non vengono fornite dimensioni per la seconda fossa comune. Schelvis scrive che poco dopo la scavazione della seconda fossa, il calore estivo fece gonfiare gli strati superiori dei corpi decomposti fino a farli sporgere attraverso la superficie, dando luogo ad una condizione altamente insalubre. I vecchi cadaveri come pure i nuovi vennero da quel momento in poi bruciati su una griglia di rotaie ferroviarie che era stata posizionata sopra una fossa più piccola e poco profonda[43]. Schelvis ci fornisce anche la ghiotta notizia che Gomerski e Bolender, sovrintendendo alle cremazioni, costruirono una cabina sul ciglio della fossa, da cui potevano osservare le cremazioni e nel mentre “divertirsi e arrostire patate sopra il fuoco”[44]!
Lo scavo a Sobibór del 2001 di Andrzej Kola
Andrzej Kola
Il 26 novembre 2001, apparve su The Scotsman un articolo intitolato “Mass Graves Confirm Sobibór Holocaust” [Le fosse comuni confermano l’Olocausto a Sobibór], firmato da un corrispondente berlinese[45]. Secondo questo articolo, l’archeologo polacco Andrzej Kola aveva scoperto nel sito dell’ex campo di Sobibór “delle prove schiaccianti che smentiscono i negazionisti dell’Olocausto”. In modo più specifico, venne riferito che Kola e la sua squadra avevano “scoperto sette fosse comuni con una profondità media di 15 piedi [=4.6 metri]” contenenti “resti umani carbonizzati e sotto di loro resti in uno stato di putrefazione”, indicanti che “nello stadio finale le vittime venivano bruciate”. Kola dichiarò alla stampa che la fossa comune più grande scoperta era lunga 210 piedi (64m) e larga 75 piedi (23m), mentre le altre misuravano piedi 60×75 (metri 18×23). In un pezzo diffuso dall’agenzia Associated Press tre giorni prima, il 23 novembre, venne rivelato che Kola non aveva scavato le fosse comuni, ma aveva invece stimato il loro volume usando delle sonde trivellatrici, lo stesso metodo da lui impiegato a Belzec qualche anno prima[46].
Oltre alla scoperta delle fosse comuni, Kola affermò anche di aver portato alla luce resti di edifici all’interno del sito dell’ex campo:
“Abbiamo trovato anche delle baracche ospedale. Le persone lì venivano probabilmente uccise, poiché abbiamo trovato oltre 1.800 cartucce di mitragliatrice”, ha detto Kola. “Nei boschi abbiamo trovato resti di filo spinato, che ci hanno permesso di ricostruire i confini del campo”.
Fin qui l’articolo su The Scotsman. Nel resoconto dell’Associated Press, Kola afferma che la stessa baracca “potrebbe aver funto da camera a gas”, aggiungendo che erano necessari ulteriori studi[47].
Due cose colpiscono come strane riguardo alle predette affermazioni. Innanzitutto, l’idea che dei prigionieri venissero uccisi in una baracca ospedale ricorda l’accusa che i vecchi e gli infermi venivano uccisi in un falso “Lazzaretto”. Tuttavia secondo la storiografia standard, questo “Lazzaretto” consisteva in una grande fossa dietro una vecchia cappella di legno, che era a sua volta ubicata qualche centinaio di metri a nord del raccordo ferroviario, in una piccola radura non molto lontana dal binario principale. Viene inoltre asserito che questo “Lazzaretto” venne presto abbandonato e che le vittime che non potevano camminare sulle proprie gambe per raggiungere le camere a gas venivano trasportate su dei carrelli in un binario a scartamento ridotto che conduceva al “Lager III”, bypassava la camera a gas e finiva di fronte ad una fossa di sepoltura. Le vittime venivano quindi allineate e colpite sul collo in modo che cadessero nella detta fossa. Il suggerimento di Kola che le persone venivano uccise in massa dentro una baracca ospedale sembra confliggere con un tale scenario[48].
Le cose diventano anche più ingarbugliate quando consideriamo l’idea di Kola, come riferito dall’Associated Press, che la stessa baracca aveva funto da camera a gas. Perché le esecuzioni mediante pallottole avrebbero dovuto essere effettuate dentro una camera a gas omicida? Se i muri delle camere erano di cemento o di mattoni, ci sarebbe stato il rischio di rimbalzi. Se gli stessi muri erano di legno, le pallottole che passavano attraverso o accanto alle vittime avrebbero prodotto dei fori, rendendo necessari dei lavori di riparazione. Che sia usata la parola “baracca” naturalmente indica una struttura in legno. Così l’identificazione di Kola della baracca come “possibile camera a gas” è in armonia con gli scritti di Schelvis, mentre è in contrasto con la storiografia di Arad e le dichiarazioni rese da Stangl e Fuchs. Essa implica anche che Kola non ha trovato altri resti identificabili come quelli di un edificio di gasazione. In un sito web sterminazionista dedicato ai campi Reinhardt ci viene mostrata una foto che reca il commento: “Una fossa profonda approssimativamente 3 metri, pochi metri ad ovest della statua commemorativa. Qui, dove le camere a gas erano ubicate, alcuni vecchi mattoni e altri resti vennero trovati nel settembre 2001”[49]. Nessuna scoperta del genere viene menzionata nei servizi giornalistici di novembre, e ovviamente, la presenza di pochi vecchi mattoni in una fossa ubicata vicino a dove le “camere a gas” presuntivamente si trovavano non prova l’esistenza del detto edificio. Sembra davvero strano che un rinomato archeologo non sia stato capace di individuare almeno parzialmente le vestigie del secondo “edificio di gasazione”, anche se questa struttura era stata smantellata.
Si può naturalmente sostenere che i giornalisti che ascoltarono Kola potrebbero aver frainteso ciò che era stato detto, o che essi condensarono i loro servizi, tagliando informazioni che non sembravano loro importanti. Dopo tutto, cose del genere accadono sempre nel meraviglioso mondo dei mass media. Tuttavia, il fatto è che i servizi giornalistici costituiscono la nostra sola fonte d’informazione disponibile riguardante gli scavi di Sobibór del 2001. Nonostante il fatto che siano passati otto anni dall’evento, nessuna documentazione, che si tratti di una relazione, di una monografia o di ogni altra sorta di rapporto scientifico – in qualunque lingua – è apparsa riguardante questo importante lavoro archeologico. Fino a quando una documentazione del genere non verrà resa pubblicamente disponibile, il valore probatorio degli scavi di Kola deve essere considerato nullo.
Conclusione
Fino alla pubblicazione del libro di Jules Schelvis su Sobibór[50], alla maggior parte degli studiosi di questo campo era probabilmente sconosciuto il fatto che esista un significativo disaccordo tra i testimoni chiave riguardo alla natura del suo presunto primo edificio di gasazione. Mentre, da un lato, il primo comandante di Sobibór, Franz Stangl, testimoniò che le prime camere a gas erano ospitate in un edificio di mattoni, il “Gasmeister” Erich Bauer d’altro canto firmò una “confessione” che descriveva lo stesso edificio come fatto di legno. Per confondere ulteriormente le cose, l’ex SS-Unterscharführer Erich Fuchs affermò nella sua testimonianza del 1963 che le prime camere a gas di Sobibór erano contenute in una “struttura di cemento”.
Un tale disaccordo è difficile da spiegare dato che sia Stangl che Bauer avrebbero dovuto conoscere bene l’installazione di gasazione (ammesso che sia realmente esistita), e che Stangl, che venne trasferito a Treblinka nel settembre 1942, difficilmente avrebbe potuto confonderla con il presunto edificio di gasazione di Sobibór successivo, che venne presuntivamente costruito di mattoni e/o di cemento. Se consideriamo anche che le dichiarazioni testimoniali sulla capienza delle prime camere a gas parimenti divergono grandemente, e che vi è un disaccordo testimoniale riguardante l’allestimento del presunto motore di gasazione, la contraddizione rivelata dal libro di Schelvis diventa indicativa della narrazione ortodossa su Sobibór e delle testimonianze su cui essa si basa in modo più o meno esclusivo. Un modo per correggere questa storiografia inattendibile sarebbe quello di condurre un esame archeologico dettagliato del sito del campo. Nel 2001, l’archeologo polacco Andrzej Kola effettuò degli scavi e delle trivellazioni a Sobibór, scoprendo a quanto si dice sette fosse comuni come pure una baracca sospettata di essere stata o un ospedale o un edificio di gasazione. Poiché nessuna documentazione sugli scavi e le trivellazioni è stata resa disponibile, l’affermazione dei media secondo cui Kola avrebbe “smentito i negazionisti dell’Olocausto” non può essere presa seriamente. Non può essere escluso che Kola o persone a lui associate abbiano di proposito ritardato la pubblicazione della documentazione per evitare una valutazione critica.
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/654/?lang=en
[1] Yitzhak Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press, Bloomington, 1987, p. 31. Questo libro a quanto pare è basato su Adalbert Rückerl, che a sua volta reitera a cita il verdetto del 1966 del processo su Sobibór tenutosi a Hagen; cf. Adalbert Rückerl, NS-Vernichtungslager in Spiegel deutscher Strafprozesse, Deutsche Taschenbuch Verlag, Munich 1977, p. 163.
[2] Il libro di Adalbert Rückerl NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse, DTV-Verlag, Munich 1979, p. 163: “Etwa 500 m westlich dieser Kapelle baute des Vorkommando des Gaskammergebäude, einen kleinen Massivbau mit Betonfundament. Innerhalb dieses Gebäudes wurden drei nebeneinanderliegende Zellen von 4×4 m Größe gasdicht abgeteilt. Jede Zelle erhielt in den gegenüberliegenden freien Wänden je eine Luftschutztür, die eine innen zum Betreten der Zelle, die andere außen zum Herausholen der Leichen.”
[3] Perché, come visto sotto, Arad sostiene che la prima gasazione sperimentale fu eseguita alla metà di aprile.
[4] Erich Fuchs il 2 aprile 1963, durante un interrogatorio a Düsseldorf; ZStL-251/59-9-1785 come citato in Schelvis, Sobibor. A History of a Nazi Death Camp, Berg/USHMM, Oxford/New York 2007, p. 100.
[5] Schelvis, p. 114, nota 17.
[6] Erich Bauer a Hagen il 6 ottobre 1965; StA.Do-X’65-176, citato in Schelvis, p. 101
[7] Schelvis, p. 101.
[8] Cf. Schelvis p. 103; Arad, p. 123.
[9] Erwin Lambert a Stoccarda il 2 ottobre 1962; ZStL-251/59-8-1542/43, citato in Schelvis, p. 104.
[10] Schelvis, p. 103.
[11] Ivi, p. 104.
[12] Arad, pp. 119-120.
[13] In cui il cemento viene versato in un’intelaiatura di tavole di legno.
[14] Cf. la dichiarazione di Hubert Gomerski e di Erich Bauer citata da Schelvis, pp. 64-65.
[15] Dichiarazione di Franz Hödl, StA.Do-Gom-PB-III-1270; citata in Schelvis, p. 104.
[16] Schelvis, p. 103.
[17] Jules Schelvis, p. 33. Il documento giudiziario citato da Schelvis (una dichiarazione di Stangl resa a Duisburg il 29 aprile 1969) porta il riferimento ZStL-230/59-12-4464.
[18] Gitta Sereny, Into That Darkness. An Examination of Conscience, Vintage Books 1983, pp. 109-110.
[19] Stangl anche in altre occasioni si riferì alle camere a gas come un edificio in mattoni, cf. la citazione che si trova in Schelvis p. 101: “Penso che i corpi venissero sepolti vicino all’edificio in mattoni”.
[20] Interrogatorio di Mikhail Affanaseivitch Razgonayev a Dniepropetrowsk, USSR, il 20 settembre 1948. Citazione dalla traduzione in rete disponibile all’indirizzo: http://www.nizkor.org/ftp.cgi/camps/aktion.reinhard/ftp.py?camps/aktion.reinhard/sobibor/razgonayev.001
[21] Dichiarazione di Jan Piwonski a Lublino il 29 aprile 1975; ZStL-643/71-4-441, citata in Schelvis, p. 27.
[22] Vale a dire, tutti gli altri edifici che non erano precedenti al campo.
[23] Cf. nota 14.
[24] Ivi nota 4.
[25] Franz Stangl in prigione il 29 aprile 1969 a Duisburg, ZStL-230/59-12-4464/65; citato in Schelvis, p. 101.
[26] Sereny, p. 113-114.
[27] Schelvis, p. 101.
[28] Testimonianza giudiziaria di Heinrich Barbl, a Linz il 16 ottobre 1965 al Ministero austriaco degli Affari Interni; citato in Schelvis, 101.
[29] Dichiarazione di Erich Bauer, StA.Do-Gom-PB-III-1129; citata in Schelvis, p. 102.
[30] Dichiarazione di Erich Fuchs a Düsseldorf il 2 aprile 1963, ZStL-251/59-9-1785, citata in Schelvis, p. 100.
[31] Schelvis p. 114, nota 26.
[32] Arad, p. 31.
[33] Come nota a margine, Erich Bauer testimoniò che egli stimava il numero totale delle vittime di Sobibór essere stato 350.000 – più del doppio della stima fornita da Schelvis; cf. Ernst Klee, Willi Dreßen, Volker Reiß, The Good Old Days: the Holocaust as Seen by Its Perpetrators and Bystanders, Free Press, New York 1991, p. 232.
[34] Miriam Novitch, Sobibor. Martyrdom and Revolt, Holocaust Library, New York 1980, p. 24, 26.
[35] Ivi, p. 26.
[36] Arad, p. 123.
[37] Novitch, p. 24.
[38] Arad, p. 33.
[39] Ivi, p. 171.
[40] Schelvis, p. 110.
[41] Kurt Bolender a Munich il 5 giugno 1961; ZStL-252/59-11-1322.
[42] Schelvis, p. 110.
[43] Ivi, p. 111.
[44] Schelvis cita una dichiarazione di Alfred Ittner, p. 122.
[45] Alan Hall, “Mass Graves Confirm Sobibor Holocaust”, The Scotsman, November 26, 2001.
[46] Per una critica di questo scavo, vedi Carlo Mattogno, Belzec in Propaganda, Testimony, Archeological Research, and History, Theses & Dissertations Press, Chicago 2004, pp. 71-96.
[47] È chiaro che Kola si sta riferendo alla stessa baracca, poiché in entrambi gli articoli viene identificata come i resti dell’edificio dove gli archeologi avevano scoperto un gran numero di cartucce di mitragliatrice (1.800 secondo The Scotsman, 1.700 secondo il pezzo dell’Associated Press
[48] Non viene riferito se le pallottole ritrovate erano state esplose. È opportuno notare in questo contesto che nell’estate del 1943 venne predisposta a Sobibór una struttura per il recupero delle munizioni catturate ai sovietici.
[49] In rete: http://www.deathcamps.org/sobibor/finds.html
[50] In olandese con il titolo di Vernietigingskamp Sobibor, De Bataafsche Leeuw, Amsterdam 1993.
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