LE MEMORIE SU TREBLINKA DI CHIL RAJCHMAN
Di Thomas Kues, 2010
- Chil Rajchman e le sue Memorie
Chil Rajchman, alias Yehiel Reichmann, alias Henryk Ruminowsky (il suo nome di battaglia nella resistenza clandestina di Varsavia), era nato nella città polacca di Łódż nel giugno 1914. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, egli si trasferì con sua sorella in una piccola città chiamata Pruszków non lontana da Varsavia, da cui vennero in seguito portati nel ghetto di Varsavia. Rajchman riuscì ad ottenere un permesso di lavoro e andò nella città di Ostrów Lubelski. Quando le comunità ebraiche della zona vennero liquidate nell’ottobre 1942 egli venne portato a Lubartów e da lì inviato con il treno nel “campo di puro sterminio” di Treblinka II il 10 ottobre. Il 2 agosto 1943, Rajchman e un certo numero di altri prigionieri riuscirono a fuggire dal campo in seguito ad una rivolta. Dopo essersi nascosto nella campagna polacca per un certo periodo di tempo ed essere riuscito ad ottenere dei documenti che lo qualificavano come “ariano”, tornò infine a Varsavia, dove nel ghetto si unì alla resistenza e anche al Partito Socialista Polacco[1].
Il 31 gennaio 1945, Rajchman tornò a Łódż. Rimase in Polonia fino alla fine del 1946 quando, nonostante gli fosse stata conferita un’”alta posizione nella nuova amministrazione polacca”[2], si trasferì in Francia. Dopo aver vissuto lì per circa un anno e mezzo, migrò con sua moglie in Uruguay, dove godette di una significativa prosperità come proprietario di un’azienda tessile[3].
All’inizio del 1980, l’ambasciata americana in Uruguay contattò Rajchman, ed in seguito nello stesso anno, il 12 marzo, egli venne interrogato dall’Office of Special Investigations (OSI)[4]. Egli poi andò negli Stati Uniti, dove comparve come testimone per l’accusa nel processo per l’estradizione contro John Demjanjuk. Egli comparve anche sul banco dei testimoni a Gerusalemme quando Demjanjuk venne messo a processo lì nel 1987-1988. Rajchman morì a Montevideo, in Uruguay nel 2004.
John Demjanjuk a processo in Israele nell’aprile 1988. Fonte: Wikimedia Commons.
Dopo la morte di Rajchman, venne raggiunto un accordo per pubblicare le sue memorie di Varsavia del 1944, rimaste fino a quel momento inedite. Le memorie apparvero dapprima in francese nel 2009 – sessantaquattro anni dopo la fine della guerra – come Je suis le dernier Juif (“Sono l’ultimo ebreo”) dall’editore parigino Les Arènes. Poiché non è ancora disponibile nessuna traduzione inglese delle memorie di Rajchman, ho scelto di riferirmi in quest’analisi all’edizione tedesca, Ich bin der letzte Jude. Treblinka 1942/43[5]. Tutte le pagine a seguire numerate tra parentesi si riferiscono alla prima edizione di questa traduzione tedesca, che è stata fatta utilizzando la traduzione francese come testo fonte, ma verificata sull’originale Yiddish[6].
A giudicare dalla testimonianza di Rajchman al processo Demjanjuk, le memorie vennero riviste e pubblicate nel 1946 da un poeta yiddish di nome Nachum Bomze (ortografia alternativa, Bumse). Questo è il solo manoscritto sopravvissuto, ed è quello consegnato allo Yad Vashem ed in seguito presentato come prova al processo Demjanjuk[7]. Che non abbiamo a che fare con il presunto testo originale del 1944 è chiaro dall’ultimo passaggio delle memorie (pp. 155-156):
“Sì, ho vissuto per un anno nelle peggiori condizioni a Treblinka. Dopo la rivolta nel campo ho vagato senza meta per due mesi, dopo di che ho raggiunto Piastów e ho vissuto per due anni come un polacco. Dopo la Rivolta di Varsavia ho trascorso tre mesi e mezzo in un bunker nella capitale [cioè Varsavia], dove sono stato liberato il 17 gennaio 1945”.
Di conseguenza, il testo pubblicato data dal febbraio 1945 come minimo.
In quest’articolo, esaminerò gli aspetti più critici della raffigurazione di Treblinka nelle memorie di Rajchman, vale a dire la descrizione della procedura del presunto sterminio: le uccisioni nelle camere a gas e la susseguente cremazione delle vittime. Così facendo mi riferirò anche – e farò confronti – ad una dichiarazione rilasciata da Rajchman ad una commissione d’indagine polacca nell’ottobre 1945, e alla sua testimonianza al processo del 1987-1988 contro John Demjanjuk a Gerusalemme[8], e ad un’intervista con lui condotta dal United States Holocaust Memorial Museum (USHMM) nel dicembre 1988. Farò anche frequenti confronti con il resoconto su Treblinka del 1944 scritto da Jankel Wiernik, che arrivò al campo qualche mese prima di Rajchman e che è generalmente considerato un testimone chiave[9]. Sia il libro di Wiernik, Rok w Treblince (pubblicato lo stesso anno negli Stati Uniti come A Year in Treblinka [“Un anno a Treblinka”] ed in seguito ritradotto e pubblicato da Alexander Donat) che le memorie di Rajchman sono approssimativamente contemporanei, ed entrambi gli uomini lavorarono presuntivamente nel “campo della morte vero e proprio”, il settore di Treblinka che conteneva gli edifici delle presunte camere a gas e le fosse comuni (Rajchman menziona anche Wiernik a p. 89 delle memorie). Si può perciò presumere che entrambi gli uomini misero per iscritto i loro ricordi relativamente vividi a partire dalla memoria.
- L’arrivo a Treblinka
Al suo arrivo al campo la mattina dell’11 ottobre 1942, Rajchman viene separato da sua sorella Anna e costretto a deporre gli effetti personali degli altri deportati in un enorme mucchio sul terreno nel campo di ricezione (pp. 34-35). Mentre Rajchman lavora a mettere in ordine i capi di vestiario, un uomo delle SS chiede ai prigionieri se tra di essi vi sono barbieri. Quattro uomini si fanno avanti e Rajchman si unisce a loro come il quinto barbiere. Gli uomini vengono forniti di indumenti e di forbici e viene loro detto che lavoreranno a mettere in ordine il vestiario fino a quando arriverà un nuovo trasporto (pp. 41-42). All’arrivo del trasporto successivo il giorno dopo, Rajchman e gli altri barbieri, dieci in tutto, vengono portati nelle camere a gas (p. 55), dove presuntivamente i capelli delle vittime femminili venivano tagliati durante un periodo di riorganizzazione del campo nel settembre e nell’ottobre 1942, prima che una speciale baracca per il taglio dei capelli venisse collocata vicino all’entrata dello Schlauch (“tubo”), il sentiero camuffato e recintato che conduceva dal campo di ricezione al Campo 2, dove erano ubicate le presunte camere a gas. I barbieri lavorano in una delle camere, in cui sia l’entrata che la porta esterna rimangono aperte. Sul pavimento della camera si trovano un imprecisato numero di panche “e diverse dozzine di tronchi” [sic]. Le vittime femminili vengono fatte passare per il corridoio e la porta d’ingresso della camera. Alle donne vengono tagliati i capelli e accompagnate alla porta esterna (p. 56). I barbieri rimangono nella camera, sorvegliati dagli ucraini, mentre le donne vengono spinte nelle altre camere (p. 59). Pochi giorni dopo il suo arrivo Rajchman viene sollevato dal suo lavoro di barbiere e portato nel Campo 2 o Totenlager (p. 67), dove egli è occupato a trasportare i cadaveri dalle camere a gas nelle fosse comuni, come “dentista” che estrae i denti d’oro dai cadaveri, e come membro della squadra che prepara le pire di cremazione.
- Le camere a gas
- I due edifici con le camere a gas e la loro capienza
Riguardo alle presunte camere a gas nel campo, Rajchman scrive,
“È importante notare, che all’epoca in cui iniziai a lavorare nel Totenlager erano operativi due edifici provvisti di camere a gas. Il più grande conteneva dieci camere a gas, ognuna capace di contenere quattrocento persone. Una camera a gas misurava sette volte sette metri. Le persone venivano rinserrate come sardine. Quando una camera a gas era piena, veniva aperta quella successiva, e così via. Per i trasporti più piccoli veniva utilizzato l’altro edificio con tre camere a gas; in ognuna delle sue camere entravano da quattrocentocinquanta a cinquecento persone” (p. 87).
Il nuovo, più grande edificio di gasazione viene descritto come segue:
“Alla fine dello Schlauch raggiungevate un edificio bianco, su cui era stata apposta una grande Stella di Davide. Un tedesco stava sulle scale, mostrava la via all’ingresso e diceva con un sorriso: “Prego, da questa parte!”. Il piccolo numero di gradini conduceva dentro un corridoio decorato con fiori. Lunghi asciugamani erano appesi sui muri.
Le camere a gas misuravano sette volte sette metri. Nel mezzo della stanza c’erano dei pomelli di doccia, da cui entrava il gas. Lungo il muro correva uno spesso tubo, attraverso cui l’aria veniva risucchiata. Le porte erano sigillate tutt’intorno” (p. 39).
Quanto al gas che veniva fatto entrare attraverso i pomelli di doccia, veniamo successivamente informati (p. 132) che veniva generato da “motori” (numero o tipo non specificato).
Viene ulteriormente rilevato che gli ingressi alle camere nel nuovo edificio avevano “porte di ferro” (p. 64) provviste di finestre di osservazione (p. 60). L’edificio di gasazione più vecchio, e più piccolo, conteneva anche una stanza dove i “dentisti” lavoravano a mettere in ordine i denti di metallo estratti (p. 85).
Si può confrontare la predetta descrizione con le informazioni sulle dimensioni e sulla capienza delle presunte camere a gas fornite da Jankel Wiernik:
“Quando arrivai al campo, tre camere a gas erano già operative; altre dieci vennero aggiunte quando ero lì. Una camera a gas misurava metri 5×5 ed era alta circa metri 1.90”[10].
Quanto alla capienza, Wiernik afferma che
“Tra 450 e 500 persone erano rinserrate in una camera che misurava 25 metri quadri”[11].
Le predette affermazioni si riferiscono alle presunte vecchie camere a gas. Riguardo alle nuove camere a gas, che Wiernik presuntivamente aiutò a costruire, leggiamo:
“Si scoprì che stavamo costruendo dieci ulteriori camere a gas, più spaziose delle vecchie, di metri 7×7 o di circa 50 metri quadri. Da 1.000 a 1.200 persone potevano essere rinserrate in una camera a gas”[12].
Nella sua testimonianza al processo Eichmann, Wiernik fornì l’altezza del soffitto delle nuove camere a gas, corrispondente a metri 1.90[13].
Lo storico Yitzhak Arad d’altro canto afferma che le camere nel vecchio edificio misuravano ognuna metri 4x4x2.6[14], mentre le nuove camere misuravano metri 4x8x2[15]. La ragione per aver collocato più in basso il soffitto nelle nuove camere fu, secondo Arad, che esso
“riduceva il volume cubico totale delle camere, riduceva il fabbisogno di gas richiesto per l’uccisione delle vittime, e abbreviava il tempo di soffocamento”[16].
Sebbene Arad non fornisca nessuna fonte, è chiaro che egli basa la sua descrizione sul verdetto del processo Treblinka di Düsseldorf del 1964-1965, che assevera le stesse dimensioni; secondo lo stesso verdetto, ogni camera del vecchio edificio poteva contenere da 200 a 350 persone, mentre la cifra corrispondente per il nuovo edificio era da 400 a 700 vittime[17].
Nella tabella sottostante ho riassunto i predetti dati riferiti alle dimensioni e alla capienza delle singole camere:
Vecchie dimensioni | Vecchia capienza | Nuove dimensioni | Nuova capienza | |
Rajchman | ? | 450-500 | 7x7x? | 400 |
Wiernik | 5x5x1.9 | 450-500 | 7x7x1.9 | 1000-1200 |
Verdetto del 1965 | 4x4x2.6 | 200-350 | 4x8x2 | 400-700 |
L’incongruenza tra le descrizioni è evidente. Mentre Rajchman non chiarisce le dimensioni delle vecchie camere a gas, dalla capienza ad esse attribuita consegue che dovevano essere più grandi delle nuove camere a gas. Wiernik d’altro canto sostiene che le nuove camere erano grandi il doppio rispetto alle vecchie, con un corrispondente accrescimento della capienza. Questa contraddizione è resa ancor più lampante dal fatto che Rajchman e Wiernik concordano perfettamente sulla capienza delle vecchie camere e sulle dimensioni delle nuove. Infine, il verdetto processuale è in disaccordo sia con Rajchman che con Wiernik sulle dimensioni delle nuove camere e con Wiernik sull’altezza del soffitto delle vecchie camere.
La pretesa di Wiernik che 20-25 persone potessero rientrare in un metro quadro è chiaramente assurda. La pretesa di Rajchman di 8 persone per metro quadro è certamente meno assurda, ma non è ancora facilmente concepibile. Inoltre, i “pomelli di doccia, da cui entrava il gas” non sarebbero stati frequentemente danneggiati dalle vittime atterrite nei loro spasimi mortali? Sembra parimenti estremamente improbabile che le finestre di osservazione sulle porte sarebbero state di qualche utilità, poiché la vista sarebbe stata sicuramente ostruita in modo permanente dalla testa o dal torso di qualcuno.
- Il tempo richiesto per le gasazioni e l’aspetto delle vittime
Quanto ci voleva per uccidere le vittime nelle camere a gas? Rajchman ci informa:
“In questo edificio [il vecchio edificio più piccolo] la gasazione richiedeva venti minuti, mentre nell’edificio nuovo richiedeva circa quarantacinque minuti” (p. 87).
Alcune pagine più avanti leggiamo:
“I cadaveri avevano un aspetto differente a seconda che provenissero dalle camere a gas più grandi o da quelle più piccole. In quelle più piccole la morte sopraggiungeva più velocemente ed era più facile. A giudicare dall’aspetto delle loro facce, si sarebbe potuto pensare che stessero semplicemente dormendo: i loro occhi erano chiusi e solo qualcuno dei gasati aveva la bocca deformata con una bava insanguinata sulle labbra. I cadaveri erano ricoperti di sudore. Prima della morte le persone rilasciavano urina ed escrementi. I cadaveri provenienti dalle camere a gas più grandi, in cui la morte avveniva più lentamente, avevano subito una terribile trasformazione. Avevano facce completamente nere, come se fossero state bruciate, e i loro ventri erano gonfi e di colore blu” (pp. 90-91).
È strano che Rajchman qui chiami le vecchie camere a gas “quelle più piccole” e le nuove “le camere a gas più grandi”, mentre le capienze attribuite ad esse indicano chiaramente che le vecchie camere avevano dimensioni maggiori di quelle nuove. È possibile che o Rajchman o il traduttore confondano la grandezza dei rispettivi edifici con la grandezza delle camere (un risultato della parola “camera a gas” spesso usata come sinonimo dell’”edificio di gasazione”). Poiché il nuovo edificio presuntivamente conteneva dieci camere invece di tre, era naturalmente il più grande dei due edifici.
Ad ogni modo, viene detto chiaramente che le gasazioni nelle nuove camere richiedevano almeno il doppio del tempo rispetto a quelle vecchie. Ma poi, come mostrato in precedenza, il verdetto del processo su Treblinka del 1965 asserì che le nuove camere erano state costruite con un soffitto molto più basso per abbreviare il tempo richiesto dalle gasazioni! Va sottolineato inoltre che è difficile da credere che i tedeschi avrebbero costruito le nuove camere in modo che fossero non solo più piccole di quelle vecchie ma anche meno rapide. Cosa accadde alla famosa “efficienza tedesca”?
Quanto alla descrizione dell’aspetto delle vittime, si tratta di un’altra prova dell’inattendibilità di Rajchman. Tutti gli attuali storici riconosciuti dell’”Olocausto” concordano che le vittime a Treblinka venivano uccise con il monossido di carbonio prodotto dal gas di scarico esalato da un motore che veniva pompato nelle camere a gas. Come ho dimostrato in un altro articolo[18], in almeno il 95% di tutti i casi di avvelenamento mortale da monossido di carbonio appare un caratteristico scolorimento rosso-ciliegia – provocato dall’assorbimento del monossido di carbonio nelle cellule del sangue (carbossiemoglobina). Perché Rajchman non notò questo peculiare colore rosso-ciliegia, e invece descrive i cadaveri come o neri e blu o privi di scolorimento?
- Il metodo di uccisione
Come abbiamo visto in precedenza, Rajchman chiaramente sostiene nelle sue memorie che l’aria veniva pompata fuori dalle camere a gas e poi, di solito, sostituita con il gas di scarico[19]. Il 12 ottobre 1945, Rajchman (come Henryk Reichman) testimoniò quanto segue:
“Le uccisioni venivano effettuate o pompando l’aria fuori o mediante l’introduzione di CO [monossido di carbonio]. Una volta, quando arrivavano meno trasporti, i tedeschi condussero un esperimento: pomparono fuori l’aria senza introdurre il veleno. Quando le porte si aprirono dopo 48 ore, trovammo dentro alcune persone ancora vive”[20].
Non è chiaro a quale dei due “edifici di gasazione” il nostro testimone si riferisce qui[21], ma comunque l’evento descritto è impossibile, per non dire assurdo, dato che venivano presuntivamente rinserrate in ogni camera tra le 450 e le 500 vittime, e che le porte che si aprivano sulle camere erano “sigillate tutt’intorno”. Anche senza che l’aria venisse pompata fuori, e con “solo” un centinaio di vittime, sicuramente terrorizzate, chiuse dentro la camera sigillata ermeticamente, l’ossigeno si sarebbe consumato dopo poche ore[22].
La pretesa che il vuoto venisse utilizzato come l’agente omicida si trova in molti dei primi rapporti dei testimoni oculari di Treblinka[23]. Un’altra variante, che si trova occasionalmente in successive dichiarazioni testimoniali (molto tempo dopo che il vuoto come pure il vapore erano stati scartati come armi del delitto dai cronisti dell’Olocausto), è che l’aria venisse prima espulsa, e poi sostituita dal gas di scarico di un motore[24]. Sembra che Rajchman sostenga questa seconda versione. L’idea stessa di questo metodo di uccisione è così palesemente falsa che è sorprendente che possa essere sopravvenuta in una persona capace di pensiero razionale. Perché disturbarsi a introdurre gas di scarico letale nella camera, quando le vittime sarebbero morte comunque, e nel giro di alcuni minuti, a causa della privazione di ossigeno?
Incidentalmente, dovrebbe essere menzionato che durante il processo Demjanjuk a Gerusalemme, Rajchman non fu capace di indicare l’ubicazione del motore che produceva il gas, e che non conosceva il numero dei motori utilizzati[25].
- Le fosse comuni e il numero delle vittime
Rajchman sostiene di aver lavorato per un tempo considerevole alle fosse comuni. Nel seguente passaggio, egli presenta la sua stima delle dimensioni di queste fosse:
“Circa dieci di essi [i prigionieri ebrei al lavoro] stanno dentro la fossa, collocando manualmente la testa morta, in modo da disporre quanti più cadaveri possibile nella fossa. Un altro gruppo copriva ogni strato con la sabbia, prima che lo strato successivo di cadaveri venisse collocato sopra di essa. Le fosse comuni venivano scavate da uno scavatore (in seguito ce n’erano tre). Esse erano enormi, lunghe approssimativamente cinquanta metri, larghe trenta metri e profonde diversi piani – secondo la mia stima, quattro” (p. 91).
Quattro piani corrispondono ad una misura tra gli otto e i dodici metri. Assumiamo, per esporre un argomento a fortiori, una profondità di dodici metri. Le fosse comuni descritte dal nostro testimone misurerebbero allora 50x30x12=18.000 metri cubi. Assumendo un massimo teorico di otto cadaveri per metro cubo[26], una tale fossa avrebbe una capienza di (18.000×8=) 144.000 cadaveri. Dato che ogni strato di cadaveri era coperto con uno strato di sabbia, è ragionevole ridurre questa capienza di un terzo, così che ogni fossa poteva contenere (144.000×0.66=) 95.000. In realtà, tuttavia, non si sarebbe potuto scavare una fossa tanto profonda con muri verticali, poiché vi sarebbe stato un rischio di crollo – i muri dovevano essere obliqui, riducendo ulteriormente la capienza[27]. Inoltre, una profondità tanto estrema sembra assai irrealistica a causa del rischio di raggiungere l’acqua freatica – e Treblinka è ubicata solo a pochi chilometri a sud del grande fiume Bug, su un terreno sabbioso!
Riguardo alle dimensioni delle fosse osserviamo ancora che Rajchman su questo punto è contraddetto da un altro testimone, Eliahu Rosenberg[28], che come Rajchman sostiene di aver lavorato nel Campo 2. Rosenberg affermò in una deposizione del 1947 che le fosse misuravano metri 120x15x6, e cioè 10.800 metri cubi.
Quante ce n’erano di queste immense fosse comuni? Rajchman le menziona in un passaggio concernente lo svuotamento e la ripulitura delle fosse comuni nel giugno 1943:
“Anche la ripulitura delle fosse procede ad un ritmo più spedito. Dieci di esse sono già svuotate. L’undicesima e ultima è una delle quattro grandi, contenente circa un quarto di milione di cadaveri” (p. 128).
Così c’erano in totale undici fosse comuni, di cui quattro erano più grandi delle altre. Le dimensioni fornite a p. 91 si riferiscono a quelle più piccole o a quelle più grandi? Questo nel testo non è chiaramente precisato, ma considerando la capienza attribuita alle fosse più grandi, sembra ragionevole che le dette dimensioni si riferiscano a quelle più piccole. In via teorica, tuttavia, assumeremo le stesse dimensioni per tutte le fosse comuni.
Se quattro delle fosse contenevano ognuna “un quarto di milione di cadaveri” o addirittura “più di 250.000 cadaveri” (p. 119), ne consegue che queste fosse contenevano complessivamente circa 1 milione di cadaveri. Anche se assumiamo, che le sette fosse rimanenti contenessero “solamente” 80.000 cadaveri – la stima espressa nel verdetto del processo su Treblinka del 1964[29] – questo significa una cifra totale delle vittime di almeno 1.560.000. Poiché sappiamo dal documento Höfle che durante il 1942 vennero deportati a Treblinka 713.555 ebrei, e poiché tutti gli storici concordano che solo un numero relativamente piccolo di deportati ebrei vennero deportati a Treblinka durante il 1943, avendo come risultato una cifra massima ipotetica delle vittime di circa 800.000, ne consegue che Rajchman ha esagerato il numero ipotetico delle vittime del 100%.
Nella sua intervista del 1988 per il USHMM, Rajchman asserì che i tedeschi “uccidevano ogni giorno circa 15.000 persone”[30], vale a dire 450.000 morti al mese, e nelle memorie (p. 95), egli scrive che “fino al 15 dicembre i trasporti arrivarono regolarmente, con circa diecimila persone al giorno”, significando che circa 600.000 ebrei sarebbero stati uccisi nel campo solamente nel periodo compreso tra l’arrivo di Rajchman e la data menzionata. In realtà, meno della metà di questo numero di ebrei venne deportato al campo durante questo periodo[31].
Sulla mappa redatta dal sopravvissuto Trautsolt alla fine del 1945, il Campo 2 è mostrato come un quadrilatero irregolare con un’area di approssimativamente 14.000 metri quadrati (1.4 ettari)[32]. Le fosse comuni di Rajchman coprono un’area totale di almeno (50x30x11=) 16.500 metri quadrati! Dato che le fosse avrebbero dovuto essere separate ognuna dall’altra da spessi muri di terra, la loro area totale avrebbe riempito completamente il Campo 2, anche se le sue dimensioni erano invece quelle indicate dalla “Mappa Memoriale del Campo della Morte di Treblinka”[33] redatta da Peter Laponder, vale a dire approssimativamente 2 ettari. In altre parole, non sarebbe rimasto nessuno spazio nel Totenlager per le camere a gas o per le “griglie” utilizzate per incenerire le vittime.
Le dimensioni fornite dal nostro testimone appaiono anche più false quando le consideriamo in rapporto alle fosse comuni identificate dall’archeologo polacco Andrzej Kola a Bełżec alla fine degli anni ’90. Il volume attuale di quelle trentatré fosse ammonta a 21.310 metri cubi. Nessuna delle fosse (che vennero rilevate da sonde perforatrici ma che non vennero scavate) era più profonda di 5.20 metri. Dodici di queste fosse coprivano aree più piccole di 100 m2, mentre undici erano più grandi di 200 m2[34]. Il numero massimo ipotetico delle vittime di Bełżec, fornito dal documento Höfle, ammonta a 434.508. Secondo la storiografia vigente, queste vittime furono tutte interrate prima di essere riesumate e cremate. Così lo spazio totale utilizzato per la loro sepoltura eguagliava grosso modo il volume di una delle undici fosse comuni di Rajchman. Come quadra tutto ciò se, come il nostro testimone sostiene, il seppellimento a Treblinka utilizzava lo spazio disponibile nel modo più efficiente possibile? (In realtà, le fosse comuni a Bełżec avrebbero potuto contenere solo una frazione delle presunte vittime)[35].
Nel dicembre 1945, Rajchman visitò l’ex sito del “campo della morte” insieme a Rachel (Ruchl) Auerbach e ad altri membri di una “commissione storica”[36]. Perché, ci potremmo domandare, questi inquirenti non riuscirono a scoprire le prove delle enormi fosse comuni descritte dai testimoni?[37] Dopo tutto, non disponevano dello stesso signor Rajchman come loro guida?
- L’incenerimento dei cadaveri
- Quando cominciarono le cremazioni?
A pagina 113 delle sue memorie, Rajchman scrive:
“Nel dicembre 1942 vennero erette delle pire per la cremazione dei cadaveri. Ma i cadaveri non bruciavano. Venne perciò costruita una pira seguendo speciali istruzioni. Mentre un motore forniva aria fresca, veniva versata sui cadaveri una grande quantità di benzina. Tuttavia questi ancora non bruciavano in modo soddisfacente. Almeno un migliaio di cadaveri vennero cremati usando questo metodo, ma tutto ciò per gli assassini non era abbastanza”.
In conseguenza di questo fallimento, le SS si rivolsero ad uno specialista, identificato dal curatore francese delle memorie come l’SS-Scharführer Herbert Floß[38]. Rajchman afferma che Floß arrivò al campo nel gennaio 1943 e iniziò a costruire “griglie” per le cremazioni già “dopo pochi giorni” (p. 114). Secondo lo storico Arad d’altro canto, le cremazioni nel campo iniziarono nel marzo 1943[39].
- La costruzione delle “griglie”
È comunemente ritenuto che a Treblinka tutti i cadaveri vennero inceneriti su pire primitive fornite di grate ricavate da binari ferroviari – le cosiddette “griglie”. Nelle sue memorie, Rajchman descrive la costruzione di questi impianti di cremazione all’aperto nel modo seguente:
“Egli [l’”esperto di cremazione”] aveva disposto più di trenta metri di scartamento ferroviario. Proprio sulla superficie del terreno vennero gettate un paio di fondazioni di cemento, entrambe con un’altezza di circa 50 centimetri. Una pira era larga un metro e mezzo. Sopra le fondazioni vennero collocate sei rotaie ferroviarie: questo era tutto. “L’Artista” [=l’”esperto”] ci ordinò di mettere delle donne, in particolare donne grasse, sul primo strato della griglia, faccia a terra. Il secondo strato poteva consistere di qualunque cadavere venisse portato – uomini, donne o bambini – e così via, strato su strato come una piramide, fino all’altezza di due metri.
I morti venivano gettati sulla pira da un commando speciale, la Feuerkolonne. Due lavoratori addetti alla pira ricevevano i cadaveri portati dai carrelli. Il primo afferrava la mano e il piede sul lato sinistro del corpo, mentre il secondo afferrava la mano e il piede sull’altro lato, dopo di che gettavano il morto in cima alla pira. Circa 2.500 cadaveri venivano collocati su tale pira. Poi l’”esperto” ci ordinava di mettere rami secchi sotto la griglia e di accenderli. Nel giro di pochi minuti il fuoco si sviluppava in modo tale che era difficile avvicinare il crematorio fino a cinquanta metri di distanza” (pp. 114-115).
Nella testimonianza polacca dell’ottobre 1945, Rajchman sostenne che
“Non c’erano crematori con forni a Treblinka. C’era solo un assemblaggio primitivo di grate ricavate da rotaie collocate su sostegni di cemento armato che potevano contenere 2.500 cadaveri”[40].
Nella sua testimonianza al processo Demjanjuk, Rajchman specificò che ogni griglia era lunga 30 metri con rotaie collocate ogni 15 cm sulle fondamenta costituite da mattoni – non da cemento armato – alte 50 cm[41].
Nell’intervista del 1988 con il USHMM, Rajchman asserì che Floß
“prese 5 o 6 binari ferroviari lunghi ognuno 30 metri. Intorno ad esso [sic], egli costruì un muro di mattoni. Egli dispose le rotaie a distanza di 15 centimetri […] e ad un metro e mezzo sopra il terreno. […] li coprimmo con 2.500 cadaveri, contando”[42].
Qui il numero delle rotaie e la loro lunghezza è lo stesso, ma le fondamenta – qui a quanto pare un muro di mattoni che correva intorno all’intero dispositivo – sono alte il triplo.
L’idea che tutti i cadaveri venissero contati prima di essere cremati appare anche nelle memorie (p. 126). Qui Rajchman sostiene che un gruppo speciale di lavoratori avevano il compito di contare tutte le vittime (o piuttosto le teste delle vittime, nel caso che esse venissero separate dai corpi – il nostro testimone non vuole risparmiare al lettore i dettagli orripilanti…) e riferirne il numero all’ufficiale SS al comando del Totenlager.
La descrizione di Rajchman nelle memorie e nella testimonianza al processo Demjanjuk è simile alle risultanze del processo su Treblinka di Düsseldorf del 1964:
“[Ogni griglia] consisteva di una base di cemento spessa approssimativamente 70 cm, sulla quale da 5 a 6 rotaie di una lunghezza pari a forse 25-30 metri erano disposte a piccoli intervalli. Sotto le rotaie bruciava un fuoco, mentre da 2.000 a 3.000 dei corpi degli ebrei uccisi nelle camere a gas venivano scaricati sulla grata e quindi cremati”[43].
Jankel Wiernik d’altro canto diede delle griglie la seguente descrizione:
“Questo è il modo in cui egli fece iniziare l’inferno. Egli mise in moto una macchina per la riesumazione dei cadaveri, uno scavatore che poteva dissotterrare 3.000 cadaveri alla volta. Una grata ardente costituita da rotaie venne collocata sopra fondamenta di cemento da 100 a 150 metri in lunghezza. I lavoratori ammucchiavano i cadaveri sulla grata e davano loro fuoco”[44].
Così Wiernik ricordava le griglie da 3 a 5 volte più lunghe di quanto i ricordi di Rajchman avrebbero voluto che fossero!
- Il numero delle “griglie”
La capacità di incenerimento totale naturalmente dipenderebbe dal numero delle “griglie”. Nelle memorie, Rajchman scrive che nel marzo 1943, “ce n’erano già sei” (p. 117). Tuttavia, questo numero si dimostrò insufficiente:
“Nella seconda metà di aprile riceviamo la visita dei membri dello staff del campo guidati dal capo del nostro campo, Matias [Heinrich Mattes]. […] Un altro forno con una capacità molto più grande deve essere costruito nelle immediate vicinanze delle camere a gas, così che i cadaveri possano essere bruciati subito. Questo lavoro richiede dieci giorni. […] Alla fine di aprile tuttavia il forno non è ancora pronto. Il capo del campo ordina che un altro forno debba essere costruito vicino alle camere a gas entro le prossime ore” (pp. 123-124).
Questo dovrebbe significare che nel complesso c’erano otto “griglie”, una o due delle quali più grandi delle altre. Ma nella testimonianza dell’ottobre 1945 il numero totale delle grate di cremazione è menzionato come da cinque a sei[45].
La ragione per la nuova – o per le nuove – griglia sembra essere stata – che ci crediate o no – il progettato sterminio di un gruppo di ebrei fuori dalla portata dei tedeschi:
“Reichman disse anche che i nazisti avevano preparato uno speciale inceneritore a Treblinka per ebrei inglesi, che avrebbero dovuto essere deportati in base al piano di Adolf Hitler per un’Europa libera dagli ebrei. ‘Questo era l’inceneritore per gli ebrei inglesi’, egli disse, indicando un diagramma di Treblinka. ‘I tedeschi progettarono di portarli lì quando avrebbero conquistato l’Inghilterra. Venne costruito in modo molto solido e non poteva essere trasportato. Rimase lì fino alla fine’”[46].
La semplice idea che i tedeschi tre mesi dopo Stalingrado nutrissero speranze di sconfiggere l’Inghilterra e di trasferire tutti gli ebrei dell’isola in Europa per gasarli non è altro che ridicola.
È interessante confrontare l’affermazione di Rajchman di 6-8 griglie con il resoconto del testimone chiave Jankel Wiernik:
“Poiché avevano fretta, i tedeschi costruirono cinque ulteriori grate e aumentarono le squadre che li servivano, così che venivano cremati da 10.000 a 12.000 cadaveri alla volta”[47].
Poiché Wiernik affermò che potevano essere caricati 3.000 cadaveri per grata, ne consegue che le “griglie” erano al massimo quattro. D’altro canto, la mappa del campo redatta da Wiernik, come pure la mappa utilizzata durante il processo su Treblinka di Düsseldorf, mostrano solo due grate[48].
- I cadaveri decomposti bruciano più facilmente?
Nella descrizione delle memorie del processo di cremazione troviamo la seguente affermazione:
“Si è scoperto, che i cadaveri riesumati bruciano molto meglio di quelli appena usciti dalle camere a gas” (p. 117).
Ma è proprio vero che i cadaveri decomposti bruceranno più facilmente di quelli “freschi”? La risposta è un semplice no, poiché il processo di decomposizione provoca una perdita di grasso (un’importante risorsa nell’equilibrio termico della cremazione), e poiché la maggior parte se non tutto il metano prodotto durante lo stesso processo (una possibile risorsa) si sarebbe persa durante il processo di riesumazione. Un cadavere decomposto è perciò più difficile da bruciare di uno fresco[49].
- Il tempo richiesto per le cremazioni individuali
Riguardo a quanto tempo ci voleva per trasformare una pira piena di cadaveri in cenere, Rajchman scrive:
“Le griglie venivano caricate durante il giorno e quindi accese alle sei e mezzo” (p. 117).
Al processo Demjanjuk di Gerusalemme, Rajchman testimoniò:
“Essi accendevano il fuoco con alcuni stecchi asciutti come gli stuzzicadenti. Venivano accesi con un normale fiammifero e collocati sotto la fornace e il fuoco iniziava lentamente, ma poi bruciava con una tale intensità, che a 50 metri di distanza dalla fornace, era impossibile rimanere. Fino alla mattina tutto era quasi bruciato nella fornace”[50].
Anche nelle memorie viene affermato (p. 139) che l’incenerimento era completato alla mattina, dopo essere stato iniziato la sera del giorno precedente. Se noi prendiamo generosamente l’espressione “fino alla mattina” per significare fino alle ore 10 del mattino, le dichiarazioni di Rajchman starebbero a significare che l’intero processo di cremazione richiedeva circa 15 ore e 30 minuti. Che la durata asserita dal nostro testimone non sia molto realistica può essere visto dalla documentazione di una cremazione di carcasse animali che ebbe luogo a Whithorn, in Scozia, nell’aprile 2001. In questa occasione, i cadaveri di 511 bovini, di 90 pecore e di 3 maiali vennero cremati su due pire con un’area di superficie totale di 150 metri quadrati (rispetto ai 45 metri quadrati di Rajchman). La cremazione durò per tre interi giorni[51].
D’altro canto, due ebrei chiamati Motke Zaïdl e Itzhak Dugin, che presuntivamente lavorarono alla cremazione dei cadaveri di ebrei fucilati dagli Einsatzgruppen in Lituania su pire simili a quelle presuntivamente utilizzate a Treblinka, hanno affermato che il processo di cremazione all’aperto richiedeva non meno di “sette o otto giorni”[52].
- La capacità delle “griglie” e il fabbisogno di legna
Come abbiamo visto in precedenza, la maggior parte delle griglie di Rajchman avevano un’area di superficie di metri 30×1.5=45 m2. Data la costruzione riferita (da cinque a sei rotaie lunghe 30 metri collocate sopra fondazioni di cemento o di mattoni) sembra più logico che i cadaveri venissero collocati paralleli al lato più corto della pira.
Quanti cadaveri potevano allora essere collocati su ogni strato della griglia? Come Carlo Mattogno, assumeremo per un corpo medio un’area di superficie teorica di 1.75×0.50, incluso il necessario spazio intercorrente per il passaggio dei prodotti della combustione[53]. Ne consegue che ogni strato sulla griglia di Rajchman poteva contenere 60 cadaveri. Assumeremo per ogni strato di cadaveri un’altezza di 20 centimetri. Poiché Rajchman afferma che i cadaveri venivano ammucchiati “fino ad un’altezza di due metri” sopra la grata, vi sarebbe stato spazio per dieci di tali strati, equivalenti a 600 cadaveri. Tuttavia, Rajchman afferma anche che i cadaveri venivano sistemati “come una piramide”, e cioè che ogni nuovo strato era più corto del precedente. Se vista di lato la pira appariva come una tipica piramide egizia, e cioè come un triangolo regolare, la cui capacità sarebbe stata la metà di 600, e cioè 300 cadaveri. Ma saremo generosi, e assumiamo che venissero caricati 400 cadaveri. Tuttavia, questo è solo il 16% della cifra di Rajchman di 2.500 cadaveri caricati per griglia. Una griglia caricata con questo numero di corpi sarebbe stata alta 9 metri, se ogni strato fosse stato della stessa lunghezza, e circa due volte tale altezza, se fosse stata impiegata la forma della piramide.
Ma quanti cadaveri la pira descritta dal nostro testimone poteva contenere ogni volta, nella realtà? Il ricercatore revisionista Carlo Mattogno ha accertato, in base alla documentazione dell’incenerimento all’aperto di cadaveri umani su pire con grate metalliche in India e all’incenerimento di cadaveri animali, come pure in base ai propri esperimenti, che per incenerire un chilo di sostanza organica si richiedono circa 3.5 chili di legna, anche nel caso dell’incenerimento di massa di cadaveri parzialmente decomposti[54]. Dobbiamo sottolineare qui che per legna, intendiamo quella stagionata, e cioè la legna secca. Come ho dimostrato in un altro articolo[55], la legna utilizzata per le cremazioni a Treblinka avrebbe dovuto essere verde, e cioè legna fresca, che ha un valore termico considerevolmente più basso a causa del suo contenuto più alto di umidità. Questo significa che la quantità di legna combustibile necessaria per chilogrammo di sostanza organica avrebbe dovuto essere più alta del 100%. Nondimeno, per rendere più forte il nostro argomento, assumeremo una quantità di combustibile necessaria per chilogrammo di cadavere di chili 3.5 di legna. Così possiamo trascurare nei nostri calcoli l’eventuale contenuto di calore supplementare fornito dall’uso ipotetico di combustibile liquido (come la benzina o il cherosene).
Come Mattogno, assumeremo un peso medio di 45 chili per i cadaveri, prendendo in considerazione la presenza di bambini tra le ipotetiche vittime e la perdita di peso nel cadavere dovuta all’essiccazione[56]. Per cremare un cadavere vi sarebbe stato perciò bisogno (45×3.5=) approssimativamente di 160 chili di legna.
La griglia avrebbe dovuto contenere (30×1.5×0.5=) 22.5 metri cubi di legna, se dobbiamo dare credito alle memorie di Rajchman, o (30×1.5×1.5=) 67.5 metri cubi di legna, se dobbiamo credere all’affermazione di Rajchman nell’intervista al USHMM. Dobbiamo osservare qui che mentre il nostro testimone menziona “stecchi asciutti” utilizzati per accendere le pire, egli non menziona mai le gigantesche cataste di legna che avrebbero dovuto essere utilizzate per alimentare le “griglie”.
Il peso di un metro cubo di legna da ardere normalmente accatastata può essere usualmente fissato tra i 340 e i 450 chili[57]. Alcune fonti forniscono stime leggermente più alte, come A. Marcantonio, che ha fornito il peso di 1 metro cubo di legna da ardere come equivalente a 600 chili[58]. Mentre questa stima può riferirsi a legna da ardere accatastata in modo assai denso – e la legna utilizzata in una pira non potrebbe essere accatastata troppo densamente in quanto si vorrebbe mantenere l’afflusso di ossigeno libero per quanto possibile – noi la useremo in via puramente teorica.
La griglia di Rajchman poteva perciò utilizzare una quantità massima di (22.5×600=) 13.500, o di (67.5×600=) 40.500 chili di legna da ardere. Questa a sua volta corrisponde a (13.500÷160=) 84, o a (40.500÷160=) 253 cadaveri. La griglia poteva così, al massimo, contenere il 10% dei 2.500 cadaveri presunti da Rajchman. L’eventuale contro-argomentazione che si sarebbe potuto aggiungere più combustibile al fuoco durante la cremazione è confutata dall’affermazione di Rajchman che il calore del fuoco rendeva “difficile avvicinare il crematorio da una distanza minore di cinquanta metri”.
Se assumiamo che le “griglie più grandi” menzionate da Rajchman potevano smaltire un carico doppio rispetto a quelle più piccole, allora le 6 griglie di dimensioni normali e le due più grandi potevano bruciare al massimo 2.530 cadaveri alla volta. Come detto in precedenza, è ragionevole assumere che ci vogliano 3 giorni per incenerire una pira, piuttosto che le 15 ore circa suggerite da Rajchman. Di nuovo, saremo generosi, per rendere il nostro argomento a fortiori, e assumiamo che il commando addetto alle cremazioni in qualche modo riuscisse a caricare, incenerire e raffreddare una pira ogni 48 ore. Questo significherebbe una capacità massima di incenerimento di 1.265 cadaveri al giorno. Di conseguenza, ci vorrebbero 632 giorni – o 1 anno, 8 mesi e 23 giorni – per incenerire le presunte 800.000 vittime di Treblinka (questa è la cifra asserita nell’ultima edizione dell’opera classica di Raul Hilberg La distruzione degli ebrei d’Europa)[59]. Come abbiamo visto, Rajchman sostiene che solo 1.000 cadaveri vennero bruciati durante il dicembre 1942[60], e che le “griglie” vennero attivate nel gennaio 1943, con le ultime due pire costruite alla fine di aprile. Sarebbe stato perciò necessario arrivare come minimo alla fine del settembre 1944 per completare la cremazione delle presunte 800.000 vittime. In realtà, il “campo della morte” di Treblinka venne liquidato nel settembre 1943, e l’Armata Rossa raggiunse l’area nell’agosto 1944.
Così di nuovo, vi sono ulteriori fattori sfavorevoli per le affermazioni di Rajchman. Innanzitutto, il predetto calcolo assume che tutte le griglie fossero operative nello stesso momento, il che non era il caso secondo la nostra vittima. In secondo luogo, è irragionevole assumere che le griglie fossero operative per 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno, anche sotto la neve o la pioggia. Terzo, è inevitabile che le rotaie utilizzate nelle griglie si sarebbero guastate a causa della pressione e del calore e che avrebbero dovuto essere sostituite di tanto in tanto, così che si sarebbe perduto ulteriore tempo. Infine, deve essere di nuovo sottolineato che (almeno da quanto mi risulta) Rajchman è il solo testimone che sostiene che c’erano 6 o 8 griglie in uso a Treblinka.
Tutto indica il fatto che, a Treblinka e negli altri campi dell’Aktion Reinhardt (Bełżec e Sobibór), i cadaveri venivano cremati su pire munite di grate ma che i detti marchingegni erano di dimensioni spaventosamente inadeguate a smaltire le molte centinaia di migliaia di presunte vittime, e la ragione era che c’erano realmente solo alcune decine di migliaia di cadaveri da bruciare in ognuno di questi siti, poiché i campi erano in realtà non “campi di sterminio”, ma campi di transito.
- La visita di Himmler a Treblinka
Secondo le memorie di Rajchman, il Reichsführer Heinrich Himmler visitò Treblinka per ispezionare il processo di ripulitura:
“È ovvio che gli assassini dovranno finire il loro lavoro entro una certa data. Nel Campo 1 questo è previsto per il 1 luglio. Apprendiamo che è atteso un ospite speciale: Himmler. Sono in corso le preparazioni per la sua accoglienza. Due giorni prima della scadenza il lavoro è completato.
È il 1 luglio. Avremmo dovuto lavorare anche nel pomeriggio, ma all’ultimo momento c’è stato un contrordine.
Siamo chiusi dentro la nostra baracca. Attraverso una piccola finestra vediamo che un grande numero di guardie sono state posizionate tutt’intorno al luogo. Pochi minuti dopo arriva Himmler con il suo seguito. Egli ispeziona le camere a gas e poi si dirige verso il luogo dove si trovavano le fosse comuni e dove ora ogni cosa è pulitissima. Himmler appare molto soddisfatto. Ride, e i suoi sottoposti, che stanno a qualche metro di distanza, sorridono compiaciuti” (p. 129).
I documenti tedeschi dell’epoca, tuttavia, mostrano che Himmler visitò le “installazioni dell’Aktion Reinhardt” durante il marzo 1943. Dallo stesso materiale è chiaro che Himmler ispezionò Sobibór[61], e sebbene il nome Treblinka non compaia, il comandante di Treblinka a quell’epoca, Franz Stangl, viene elencato come raccomandato per la promozione[62], il che indica il fatto probabile che il campo era stato incluso tra le “installazioni” visitate da Himmler.
Perché Rajchman colloca la visita in estate, mentre in realtà ebbe luogo alla fine dell’inverno o durante i primi giorni di primavera? Questa contraddizione diventa anche più evidente quando si considera quello che la storiografia ortodossa ha da dire sulla visita di Himmler. Yitzhak Arad scrive:
“L’ultimo campo dove la cremazione dei cadaveri venne istituita fu Treblinka. Durante la visita di Himmler al campo alla fine di febbraio/inizi di marzo 1943, egli rimase sorpreso di scoprire che a Treblinka i cadaveri di oltre 700.000 ebrei che erano stati uccisi lì non erano ancora stati cremati. Il fatto stesso che la cremazione iniziò immediatamente dopo la sua visita rende più che possibile che Himmler, che era molto attento alla cancellazione dei crimini commessi dalla Germania nazista, avesse personalmente ordinato la cremazione dei cadaveri lì”[63].
Così le circostanze della visita di Himmler come sono state descritte dal nostro testimone sono piuttosto l’opposto di quelle asserite dagli storici (che a loro volta si basano su dichiarazioni rese da altri testimoni oculari, particolarmente Wiernik): nel resoconto del primo, Himmler visita Treblinka il 1 luglio e trova le fosse comuni vuote e “pulitissime”, mentre secondo Arad, il Reichsführer-SS ispeziona il campo “alla fine di febbraio/inizi di marzo” e trova le fosse comuni piene di cadaveri non cremati!
Come abbiamo visto in precedenza, Rajchman afferma (a p. 128) che delle undici fosse, dieci erano state svuotate e ripulite nel giugno 1943, e che l’intero lavoro era stato completato il 1 luglio. Jankel Wiernik afferma, tuttavia, che rimaneva da completare un quarto del lavoro alla fine di luglio:
“Luglio stava finendo e il tempo era rovente. Il lavoro più duro era alle fosse comuni, e gli uomini che riesumavano i cadaveri per la cremazione riuscivano appena a stare in piedi a causa degli odori nauseabondi. Ora circa il 75% dei cadaveri era stato cremato”[64].
Si potrebbe pensare che questa contraddizione sia trascurabile. Tuttavia, il resoconto di Wiernik implica che una buona parte del lavoro di riesumazione era ancora incompiuta all’epoca della rivolta dei prigionieri e della fuga di massa del 2 agosto 1943, mentre Rajchman sostiene che il lavoro era stato completato e che ogni cosa era “pulitissima” più di un mese prima della rivolta. Dato che i due resoconti vennero presuntivamente messi per iscritto circa nella stessa epoca, più o meno dalla viva memoria dei rispettivi autori, questa discrepanza è più importante di quanto sembrerebbe a prima vista.
Si potrebbe eventualmente sollevare la contro-argomentazione che Rajchman si riferisce ad un’altra visita di Himmler, forse ad un’ispezione successiva. Questo argomento, tuttavia, incontrerebbe due seri ostacoli. Innanzitutto, perché Rajchman dimenticò di menzionare la prima visita? In secondo luogo, come mai questa ipotetica visita del 1 luglio non compare in nessun’altra testimonianza oculare?
- Miscellanea di anomalie e di assurdità
- I “dentisti”
Secondo le memorie (p. 84), il “commando dei dentisti” nel Campo 2 consisteva di 20 prigionieri. Alcune pagine dopo, tuttavia, egli afferma che l’estrazione dei denti veniva effettuata da “uno o più gruppi di sei uomini” secondo le dimensioni del trasporto arrivato, mentre gli altri membri lavoravano alla pulitura e alla messa in ordine dei denti e delle dentiere d’oro estratti (p. 86). Come abbiamo visto in precedenza nel paragrafo 4, il nostro testimone afferma nelle sue memorie che “fino al 15 dicembre [1942] i trasporti arrivavano regolarmente, con circa diecimila persone al giorno”. Questo significherebbe un carico di lavoro quotidiano di 500 cadaveri per “dentista”[65]. Bisogna considerare in questo contesto che il sopraggiungere del rigor mortis (l’irrigidimento del corpo morto) avrebbe reso problematica l’estrazione dei denti:
“Il rigor mortis inizia a comparire nei muscoli delle palpebre e delle mascelle (al più presto circa 20 minuti dopo la morte): queste ultime iniziano a serrarsi a causa dell’irrigidimento dei muscoli della masticazione. Dopo di che la rigidità post-mortem inizia a colpire gruppi di muscoli più grandi con l’irrigidimento dei gomiti e delle giunture delle ginocchia approssimativamente da 2 a 6 ore dopo a morte[66]. […] Quando si è sviluppato completamente, il rigor mortis può indurre una tale rigidità del corpo da poter sostenere l’intero peso del corpo. In tali casi, anche gli sforzi più energici di spezzare il rigor mortis potrebbero essere inutili[67]. Nelle zone a clima freddo e temperato l’allentamento del rigor mortis, riflesso da un rilassamento secondario dei muscoli (il che significa una diminuzione della tensione dopo il pieno sviluppo dell’irrigidimento muscolare post-mortem) inizia approssimativamente da 24 a 36 ore dopo la morte”[68].
I “dentisti” avrebbero dovuto perciò forzare la bocca della vittima prima di estrarre i denti o le dentiere d’oro presenti.
Bisogna osservare che un altro testimone del Campo 2, Eliahu Rosenberg, in un’intervista video-registrata per lo Yad Vashem ha affermato che il “commando dei dentisti” consisteva di soli 3-5 uomini[69]. Secondo la testimonianza al processo Eichmann dell’ex “dentista” Avraham Lindwasser, la squadra inizialmente consisteva di 4-6 uomini, ma venne accresciuta fino a 12 uomini all’epoca in cui iniziò la riesumazione delle fosse comuni (e cioè all’inizio del 1943)[70].
- Il trasporto da Ostrowiec
Alle pagine 95-96 delle memorie, Rajchman parla di un raro caso di resistenza da parte delle presunte vittime:
“Il 10 dicembre un trasporto ebraico da Ostrowiec arrivò alla stazione ferroviaria. L’amministrazione del campo venne informata, che un altro trasporto sarebbe arrivato a Treblinka la mattina dopo. Venne deciso che gli ebrei da Ostrowiec sarebbero stati gasati la sera stessa. L’ordine venne eseguito. Eravamo chiusi dentro le baracche e non potevamo vedere nulla. Sentivamo soltanto le solite urla. Quando andammo nei nostri luoghi di lavoro la mattina dopo, tuttavia, scoprimmo tracce di ciò che era accaduto durante la notte. […] Un gruppo consistente di diverse dozzine di uomini si era rifiutato di entrare nelle camere a gas. Nudi come erano, avevano usato i pugni come difesa e non si erano fatti sospingere dentro. Dopo di che le SS avevano aperto il fuoco con le loro mitragliatrici e avevano ucciso i ribelli sul posto”.
Il traduttore tedesco aggiunge in una nota a p. 95 che “Il trasporto con gli ebrei da Ostrowiec arrivò in realtà il 12 ottobre”. Questo è confermato da Yitzhak Arad, che nella sua opera classica sui campi Reinhardt non elenca trasporti da Ostrowiec dopo il 12 ottobre 1942[71]. La cosa curiosa è che a p. 63, Rajchman menziona un trasporto da Ostrowiec arrivato nell’ottobre 1942, solo alcuni giorni dopo il suo stesso arrivo! Perché il bisogno di inventare un secondo trasporto dalla stessa città?
- “Iwan”
Come è stato già menzionato, Rajchman comparve come testimone nel processo di Gerusalemme del 1987-1988 contro John Demjanjuk, come pure al processo dell’estradizione americana che lo precedette. All’epoca, Demjanjuk venne accusato di essere “Ivan il Terribile”, un guardiano ucraino particolarmente malvagio che non solo aveva azionato il motore che produceva il letale monossido di carbonio utilizzato per uccidere le vittime nelle presunte camere a gas di Treblinka, ma che aveva anche effettuato di sua iniziativa un gran numero di mostruose atrocità contro gli ebrei deportati al campo. Nella sua intervista per il USHMM, che ebbe luogo sette mesi dopo che Demjanjuk era stato riconosciuto colpevole e condannato a morte il 25 aprile 1988, Rajchman raccontò:
“Sono stato un testimone in un procedimento giudiziario contro John Demjanjuk. A suo tempo negli Stati Uniti e ora in Israele. Lo avevo conosciuto come il “diavolo Ivan”. Non sapevo allora che il suo nome era Ivan Demjanjuk. […] Operava come il sicario che faceva penetrare il gas nella camera a gas. […] Era un sadico, che provava piacere nel suo lavoro”[72].
Un episodio di crudeltà particolarmente degno di nota ebbe presuntivamente luogo nel campo della morte vero e proprio, quando Rajchman ed un altro detenuto di nome Leon Finkelstein lavoravano come “dentisti” estraendo i denti d’oro dai cadaveri e pulendoli. Nelle memorie l’evento in questione è descritto nel modo seguente:
“Un giorno, mentre io ed un altro dentista di nome Finkelschtejn stavamo lavando i denti [estratti dalle vittime] vicino al pozzo, Iwan venne da noi con in mano un attizzatoio. Ordinò a Finkelschtejn di sdraiarsi sul terreno e poi gli tirava stilettate alla schiena con l’attizzatoio. Chiamava questo un gioco. Il poveruomo non gridò nemmeno una volta, limitandosi a gemere piano. Iwan rideva e gli gridava: “Stai giù, o ti sparerò” (p. 132).
Al processo Demjanjuk, Rajchman presentò una versione della storia praticamente identica:
“Egli ferì quel Finkelstein, egli perdeva sangue e soffriva molto, ma non gli era permesso di gridare, perché Ivan gli aveva dato un ordine: “Se urli, ti sparerò”[73].
Nell’intervista con l’USHMM del 1988, tuttavia, raccontò la stessa storia così:
“[Egli] prese un trapano che veniva usato per praticare fori nel legno e conficcò il trapano nel sedere di Finkelstein. Nel sedere…ridendo, ridendo in continuazione. Egli urlò: ‘Gevalt!’ Finkelstein allora stava gridando…[Iwan] gli disse persino che se non avesse cessato di urlare, egli avrebbe…egli disse…aveva così tanta gioia nel fare questo”[74].
Osserviamo qui che è probabilmente Finkelstein, non “Iwan”, che si presume abbia urlato “Gevalt”, poiché questa è un’esclamazione Yiddish di incredulità. Così nella prima versione, Finkelstein “non urla nemmeno una volta”, mentre nell’altra Iwan lo minaccia poiché egli “non smette di urlare”!
Incredibilmente, sembra che né Rajchman né lo stesso Finkelstein – che parimenti sopravvisse alla guerra per testimoniare davanti alla commissione d’inchiesta polacca – pensarono che valesse la pena di ricordare questa grottesca tortura nel 1945. In un editoriale scritto nel 1990, mentre Demjanjuk era ancora nel braccio della morte, Patrick Buchanan scrisse che
“tra le atrocità per cui Demjanjuk deve essere impiccato c’è quella di aver usato un trapano per perforare il retto del prigioniero Finkelstein. Però, nella sua testimonianza giurata del 1945, Finkelstein non menzionò questo. Né Henryk Reichman, che testimoniò al processo di Gerusalemme che egli aveva visto Demjanjuk usare il trapano, menzionò quest’orrore nella sua dichiarazione giurata”[75].
Ciò che rende il racconto di Rajchman anche più falso è il modo in cui descrive il trattamento complessivo dei detenuti ebrei a Treblinka:
“Reichman ha detto alla corte che i detenuti del campo cercavano di assolvere tutti i loro compiti “piegati, perché se qualcuno stava dritto sarebbe stato picchiato…e voi sapevate che se foste stati picchiati sul viso, sareste morti quella notte’”[76].
Rajchman ripeté la stessa affermazione nell’intervista del 1988 con il USHMM:
“Dovevamo continuamente avere cura che i nostri volti fossero privi di ferite e non mostrassero segni o cicatrici. Chiunque aveva un viso sanguinante o cicatrici veniva portato fuori la sera, messo in riga e fucilato. Essi guardavano se potevamo sollevare ancora le nostre gambe. Se non potevamo, essi li portavano [sic] fuori e ci uccidevano”[77].
Ma se i prigionieri con ferite visibili, e quelli che non potevano “sollevare le loro gambe” venivano fucilati, come fece Leon Finkelstein, che presuntivamente era stato brutalmente trafitto da “Iwan” e che aveva perso abbondantemente sangue dalla schiena, a sopravvivere alla sua permanenza nel campo? Rajchman asserisce nelle sue memorie (p. 133) che un detenuto medico, il dr. Zimerman, si prese cura della ferita di Finkelstein, ma è davvero plausibile che egli avrebbe potuto lavorare senza che le guardie avessero notato che egli era stato ferito?
Quando Rajchman venne intervistato dall’Office of Special Investigations nel marzo 1980, gli venne mostrata una fotografia di Demjanjuk scattata nel 1951, che egli identificò come la sadica guardia “Iwan”. All’epoca gli venne parimenti mostrata una foto di Demjanjuk scattata durante la guerra, che egli non identificò come “Iwan”. Tuttavia, un anno dopo, ad un processo di estradizione a Cleveland, nell’Ohio, egli identificò la stessa immagine come ritraente la guardia in questione[78].
Alla fine, la sentenza di Demjanjuk venne annullata. Emerse che i testimoni ebrei – incluso Rajchman – si erano “sbagliati”: John Demjanjuk non era stato “Iwan il Terribile”, e l’elemento di prova più cruciale contro di lui, una carta d’identità proveniente dal campo delle SS di Trawniki, si era rivelato un falso. Nel 1993 Demjanjuk ritornò negli Stati Uniti come un uomo libero (sebbene, come è ben risaputo, la caccia alle streghe nei suoi confronti non terminò)[79].
- Treblinka I
Nelle sue memorie, Rajchman scrive che gli insorti avevano progettato di assaltare il vicino campo di lavoro conosciuto come Treblinka I dopo la loro fuga dal “campo della morte”:
“Non appena fummo liberi, andammo nel campo di lavoro di Treblinka per liberare i cristiani e gli ebrei detenuti lì” (pp. 140-141).
Quando testimoniò al processo Demjanjuk di Gerusalemme, Rajchman dichiarò che i tedeschi “avevano costruito a 2 chilometri di distanza da Treblinka un secondo campo che era per contrabbandieri”[80], e nell’intervista con il USHMM egli dice che i tedeschi
“occultarono i loro misfatti a tal punto che a due chilometri dal campo originale costituirono un […] campo penale, per contrabbandieri e criminali. Anche questo campo lo chiamarono Treblinka. Essi vollero questo campo come una copertura per il futuro. Se qualcuno avesse scoperto la vera Treblinka con le loro [sic] camere a gas, essi avrebbero avuto un luogo per mostrare che questo era un luogo per criminali”[81].
Rileviamo qui l’uso della parola “originale”. In realtà, Treblinka I venne eretta nell’autunno 1941, più di sei mesi prima dell’apertura di Treblinka II il 22 luglio 1942[82]. L’affermazione di Rajchman perciò non ha senso (sebbene potrebbe forse essere spiegata come la ripetizione di una diceria).
- La frottola del sangue infiammabile
Ho tenuto in serbo fino all’ultimo il racconto orrifico più sbalorditivo di Rajchman:
“Ad un certo punto erigemmo una griglia vicino ad una grande fossa, in cui più di 250.000 cadaveri erano stati gettati. La griglia venne caricata come al solito e accesa di sera. C’era un forte vento, e il fuoco bruciò così intensamente, che arrivò fino alla grande fossa aperta. Il sangue di un quarto di milione di esseri umani andò a fuoco e bruciò fino alla sera del giorno seguente.
Tutti i dirigenti del campo accorsero per guardare questa meraviglia. Essi si meravigliarono di questo incredibile fuoco. Il sangue affiorava alla superficie del terreno e bruciava come combustibile” (p. 119).
Che il sangue, il cui plasma consiste al 90% di acqua, certamente non è infiammabile, difficilmente merita di essere fatto notare. Il racconto di Rajchman è perciò nient’altro che nonsense.
Come menzionato in precedenza, Rajchman accompagnò la scrittrice Yiddish Rachel Auerbach nella sua visita all’ex “campo di sterminio”. È perciò possibile che il nostro testimone sia la fonte per la di lei affermazione sensazionalistica, trovata nell’articolo del 1946 “In the fields of Treblinka”, secondo cui il sangue è “un materiale combustibile di prima classe”[83]. Così parlano le voci della “verità e della memoria”!
- Conclusione
Il resoconto di Chil Rajchman del presunto campo di sterminio di Treblinka II è pieno di contraddizioni e assurdità più o meno evidenti. Per dare credito a quest’uomo sulla sua parola che il campo di Treblinka era provvisto di camere a gas omicide, dove centinaia di migliaia, se non milioni di ebrei vennero uccisi a sangue freddo – a dispetto della completa mancanza di prove materiali (o documentarie) a sostenere quest’accusa – bisognerebbe essere degli emeriti stupidi.
Come mostrato nel primo paragrafo di quest’articolo, il testo pubblicato delle memorie data come minimo dal febbraio 1945. Poiché il libro di Jankel Wiernik “Rok w Treblince” venne pubblicato clandestinamente a Varsavia già nel 1944, è decisamente possibile che Rajchman lo abbia letto e lo abbia utilizzato almeno parzialmente come un modello per i suoi “ricordi”. D’altro canto, alcune delle affermazioni di Rajchman nelle memorie contraddicono palesemente il resoconto di Wiernik, come le descrizioni della capienza delle camere a gas e delle dimensioni delle pire di cremazione. Tuttavia i due resoconti provengono a quel che si dice all’incirca dallo stesso periodo – meno di un anno dopo la fuga dai presunti orrori di Treblinka. Perché allora queste manifeste discrepanze, se davvero siamo di fronte qui a dei ricordi di un autentico sterminio perpetrato mediante camere a gas?
La parte più rivelatrice del resoconto di Rajchman concerne le cremazioni nel campo. Come Richard Glazar, che rilasciò un’importante dichiarazione riguardante il reperimento di legna da ardere a Treblinka[84], Rajchman ha involontariamente e inconsapevolmente rivelato il fatto che solo una parte degli ebrei deportati al campo avrebbero potuto essere cremati lì. Poiché nessuno è riuscito a scoprire i resti di centinaia di migliaia di cadaveri non cremati nel sito dell’ex campo[85], ne consegue che Rajchman ha in tal modo indirettamente confermato l’ipotesi revisionista di Treblinka II come campo di transito, da cui la grande maggioranza dei deportati ebrei venivano inviati nei territori occupati all’est.
Come nella maggior parte degli altri resoconti di Treblinka, la funzione reale del campo appare nelle memorie di Rajchman come un elaborato strattagemma, una finzione intelligente diffusa dai tedeschi per ingannare gli ebrei nei ghetti:
“Vicino a me [sul treno per Treblinka] siede un altro amico, un ingegnere di nome Katz. Egli mi assicura, che stiamo andando in Ucraina, che saremo reinsediati lì, e che lì potremo coltivare la terra. Egli sa questo, poiché un ufficiale tedesco glielo ha detto. Il tedesco era l’amministratore di una fattoria di proprietà del governo a Jedlinka, a sei chilometri dal nostro Shtetl. Egli gli ha detto questo confidenzialmente, per gratitudine del suo lavoro di riparazione su un motore elettrico” (p. 30).
Le guardie ucraine sul treno, che vengono descritte (p. 29) nell’atto di terrorizzare i deportati e di derubarli dei loro averi, avevano parimenti la loro parte nel continuare il presunto strattagemma:
“Gli chiesi [ad una guardia ucraina], per quanto tempo avremmo viaggiato. Egli rispose: tre giorni[86], perché andiamo in Ucraina” (p. 31).
Ma naturalmente, gli storici ortodossi ci assicurano, tali parole erano solo parte di un’enorme, cinica menzogna. D’altro canto la verità storica incontestabile e innegabile, essi ci dicono, ci è stata detta da persone come Chil Rajchman!
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://inconvenienthistory.com/2/1/1916
[1] Intervista con Chil Rajchman, 7 dicembre 1988; Archivi del USHMM RG-50030*0185, p. 14.
[2] Ibidem. Qui Rajchman afferma inoltre che il governo polacco insistette con lui usando il nome Romanowski (Ruminowsky) mentre lavorava come “direttore di una grande azienda”.
[3] Ivi, p. 16; “Siamo onorati di visite nella nostra casa del Vice Presidente della Repubblica (…) Stiamo aiutando il nostro paese a sviluppare nuove industrie”.
[4] Testimonianza di Chil Rajchman a Gerusalemme il 10 marzo 1987; Demjanjuk Trial Proceedings Transcript, Vol. 4, T002199-T002216.
[5] Chil Rajchman, Ich bin der letzte Jude. Treblinka 1942/43. Aufzeichnungen für die Nachwelt, Piper, Munich 2009.
[6] Chil Rajchman, Ich bin der letzte Jude, op.cit., informazione sulla pagina del copyright non numerata.
[7] Testimonianza di Chil Rajchman a Gerusalemme il 10 marzo 1987; Demjanjuk Trial Proceedings Transcript, Vol. 4, T002168f., T002184. Secondo la prefazione dell’edizione tedesca delle memorie, “una copia del dattiloscritto yiddish è conservata nella Maison de la culture Yiddish – Bibliothèque Medem a Parigi”; Chil Rajchman, Ich bin der letzte Jude, op. cit., p. 27 (nota a piè di pagina non numerata).
[8] In questo caso ho dovuto basarmi su un riassunto delle trascrizioni in inglese del processo che è disponibile in rete a: https://web.archive.org/web/20120317175331/http://members.fortunecity.com/zuzak/transcripts/transcripts01.html
[9] Yitzhak Arad ad esempio fa un totale di 25 riferimenti al resoconto di Wiernik nella sua opera classica sui campi Reinhardt: Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University press, Bloomington/Indianapolis 1987.
[10] Alexander Donat (ed.), The Death Camp Treblinka: A Documentary, Holocaust Library, New York 1979, p. 157.
[11] Ivi, p. 158.
[12] Ivi, p. 161.
[13] State of Israel. The Trial of Adolf Eichmann. Record of Proceedings in the District Court of Jerusalem, Jerusalem 1993, Vol. III, p. 1205.
[14] Yitzhak Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka, op.cit., p. 42.
[15] Ivi, p. 119.
[16] Ibidem.
[17] Adalbert Rückerl, NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse, dtv, Frankfurt am Main 1977, p. 203, 224-226.
[18] “LO SCOLORIMENTO DELLA PELLE PROVOCATO DALL’AVVELENAMENTO DA MONOSSIDO DI CARBONIO – La realtà contro le testimonianze oculari dell’Olocausto”, in rete: https://web.archive.org/web/20101007170158/http://ita.vho.org/045_Scolorimento.htm
[19] A p. 88 delle memorie Rajchman scrive che “gli uomini delle SS o gli ucraini guardavano attraverso le finestre di osservazione per vedere, se tutti erano morti in modo che le porte [esterne] potessero essere aperte”. Questo significa che l’estrazione dell’aria sarebbe avvenuta prima dell’immissione del gas di scarico, e non dopo (come mezzo di ventilazione) poiché l’apertura delle grandi porte esterne avrebbe reso una tale scambio meccanico di aria più o meno irrilevante.
[20] Zdzisław Łukaszkiewicz, Obóz straceń w Treblinke, Państwowy Instytut Wydawniczy, Warsaw 1948, p. 12.
[21] Le memorie (p. 88), suggeriscono tuttavia il nuovo edificio.
[22] Secondo il verdetto del processo su Treblinka del 1965 ognuna delle nuove camere aveva un volume di 64 metri cubi. In via puramente teorica assumeremo, tuttavia, il volume più grande asserito da Wiernik, e cioè 93 metri cubi. I polmoni di un essere umano medio hanno una capienza totale di 4.000-6.000 centimetri cubi (4-6 litri), mentre un respiro medio contiene 500 centimetri cubi di aria (di cui il 21% è ossigeno). Un adulto medio emette 10-20 respiri al minuto e inala in totale 11.000 litri di aria al giorno (https://en.wikipedia.org/wiki/Human_lung). Anche se assumiamo il numero più basso di respiri al minuto (per compensare la presenza di bambini tra le ipotetiche vittime) le centinaia di vittime del nostro esempio inalerebbero ([500×10]x100=) 500.000 centimetri cubi o 0.5 metri cubi di aria al minuto, da cui segue che l’aria nella camera sarebbe tutta consumata entro approssimativamente (93÷0.5=) 186 minuti, ossia 3 ore e 6 minuti. Tuttavia, questa lunghezza di tempo è chiaramente esagerata, poiché non abbiamo considerato il volume totale del corpo delle vittime.
[23] Jürgen Graf & Carlo Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, Theses & Dissertations Press, Chicago 2004, pp. 64-68.
[24] Cf. T. Kues, “Treblinka – More Bumblings from Bomba (part 1 of 2)”, Smith’s Report, No. 166 (November 2009), p. 9. Vedi anche T. Kues, “Israel Cymlich e Oskar Strawczynski: Fuggire dall’inferno di Treblinka”, in rete: https://www.andreacarancini.it/2010/05/escaping-hell-in-treblinka-recensito-da/
[25] Testimonianza di Chil Rajchman a Gerusalemme il 10 marzo 1987; Demjanjuk Trial Proceedings Transcript, Vol. 4, T002265f.
[26] Jürgen Graf & Carlo Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., p. 137.
[27] Al processo Eichmann, sessione 66, Eliahu Rosenberg testimoniò che le fosse erano “costruite con un’inclinazione, in forma conica”; in rete: http://www.nizkor.org/hweb/people/e/eichmann-adolf/transcripts/Sessions/Session-066-07.html
[28] Jürgen Graf & Carlo Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op. cit, p. 138.
[29] Adalbert Rückerl, NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse, dtv, Frankfurt 1977, p. 205.
[30] Intervista con Chil Rajchman, 7 dicembre 1988; op. cit., p. 7.
[31] Arad elenca più di 400.000 ebrei come deportati a Treblinka fino all’ottobre 1942; Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka, pp. 392-395.
[32] J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., p. 91.
[33] In rete: http://www.deathcamps.org/treblinka/pic/bmap12.jpg
[34] Cf. Carlo Mattogno, Belzec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research, and History, Theses & Dissertations Press, Chicago 2004, p. 73.
[35] Ivi, pp. 85-91; vedi anche C. Mattogno, “Bełżec e le controversie olocaustiche di Roberto Muehelenkamp”, in rete: https://web.archive.org/web/20110728155553/http://ita.vho.org/BELZEC_RISPOSTA_A_MUEHLENKAMP.pdf
[36] Testimonianza di Chil Rajchman a Gerusalemme il 10 marzo 1987; Demjanjuk Trial Proceedings Transcript, Vol. 4, T002194-T002195.
[37] Cf. J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., pp. 82-89.
[38] Bisogna rilevare che nell’intervista con il USHMM (p. 8) Rajchman fornisce il nome di quest’uomo come “Wait” (trascrizione fonetica, potrebbe forse essere Weitz o Weiss). Wiernik descrive l’esperto come avente circa 45 anni di età (A. Donat, The Death Camp Treblinka, op. cit., p. 170). Herbert Floß nacque il 25 agosto 1912, il che faceva di lui un trentenne all’epoca in questione; le immagini di lui superstiti mostrano un uomo che difficilmente avrebbe potuto essere scambiato per un quarantacinquenne (cf. http://www.deathcamps.org/treblinka/perpetrators.html). L’identificazione di Floß come l’”esperto” sembra essere basata su una dichiarazione rilasciata da Heinrich Matthes, l’ufficiale SS al comando del Campo 2 (cf. Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka, op.cit., p. 174).
[39] Yitzhak Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka, op.cit., p. 173
[40] Citato in: Polish Charges against German War Criminals, Submitted to the United Nations War Crimes Commission by Dr. Marian Muszkat, The Polish Main National Office for the Investigation of German War Crimes in Poland, Warsaw 1948, p. 194.
[41] Testimonianza di Chil Rajchman a Gerusalemme il 10 marzo 1987; Demjanjuk Trial Proceedings Transcript, Vol. 4, T002153f.
[42] Intervista con Chil Rajchman, 7 dicembre 1988; op. cit., p. 8.
[43] A. Rückerl, NS-Vernichtungslager, op.cit., p. 205.
[44] Alexander Donat (ed.), The Death Camp Treblinka, op.cit., p. 170f. In J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., p. 147, leggiamo che “i particolari forniti qui sono chiaramente il frutto di un inserimento successivo”. Gli autori quindi indicano il fatto che le dimensioni della griglia non sono presenti nella traduzione americana del 1944 dell’opuscolo di Wiernik. Questo assunto tuttavia non è corretto. Nell’edizione polacca originale le dimensioni sono parimenti fornite: “Na filarach betonowych 100-150 m. długości układano ruszt z szyn kolejowych”; J. Wiernik, Rok w Treblince, Nakładem komisji koordynacyjnej, Warsaw 1944, p. 13.
[45] Z. Łukaszkiewicz, Obóz straceń w Treblinke, op.cit., p. 31.
[46] Mary Sedor, “Weak, injured shot at roll call, survivor says”, Chronicle Telegram (Elyria, Ohio), Wednesday, March 11, 1987.
[47] A. Donat (ed.), The Death Camp Treblinka, op.cit., p. 171.
[48] Cf. J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., il documento 5 a p. 319 e il documento 12 a p. 326.
[49] Per un’analisi dettagliata di questa questione, vedi C. Mattogno, “Bełżec e le controversie olocaustiche di Roberto Muehlenkamp”, op. cit., paragrafo 4.2. “Il fabbisogno di legna”.
[50] Testimonianza di Chil Rajchman a Gerusalemme il 10 marzo 1987; Demjanjuk Trial Proceedings Transcript, Vol. 4, T002177.
[51] Paul Watkiss and Alison Smith, AEA Technology Environment, CBA of Foot and Mouth Disease Control Strategies: Environmental Impacts, https://web.archive.org/web/20110318145339/http://www.defra.gov.uk/foodfarm/farmanimal/diseases/atoz/fmd/documents/environmental_report.pdf
Vedi anche J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., pp. 148-149
[52] Claude Lanzmann, Shoah, Da Capo Press, New York 1995, p. 10.
[53] J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., p. 148.
[54] Per una dettagliata discussione di questo argomento, vedi J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., p. 149; C. Mattogno, “Bełżec e le controversie olocaustiche di Roberto Muehlenkamp”, op. cit., paragrafo 4.2.
[55] Thomas Kues, “Disboscamenti a Treblinka”, in rete: https://www.andreacarancini.it/2018/09/thomas-kues-disboscamenti-treblinka/
[56] C. Mattogno, “Bełżec e le controversie olocaustiche di Roberto Muehlenkamp”, op. cit., paragrafo 4.2.
[57] J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., p. 148.
[58] A. Marcantonio, I legnami. Gestioni forestali e gestioni mercantili, Milano, 1939, p. 33.
[59] Raul Hilberg, The Destruction of the European Jews, Yale University Press, New Haven / London 2003, p. 1320.
[60] Nella traduzione svedese (che è stata fatta direttamente dall’Yiddish) il passaggio rilevante recita: “Al massimo circa mille cadaveri venivano bruciati quotidianamente. Ma gli assassini non erano soddisfatti di questo numero basso”; Chil Rajchman, Jag är den siste juden, Norstedts, Stockholm 2010, p. 88. Se questa traduzione è corretta, allora le cremazioni sarebbero durate invece fino all’inizio o alla metà di settembre.
[61] Cf. https://www.hdot.org/browning/#browning_553_n157
[62] Diversi altri uomini delle SS che erano di guarnigione a Treblinka all’epoca compaiono parimenti nell’elenco delle promozioni, ad esempio Kurt Franz, Willy Mätzig, Gustav Müntzberger, Arthur Dachsel, Kurt Seidel e Willy Großmann.
[63] Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka, op.cit., pp. 173-174.
[64] A. Donat (ed.), The Death Camp Treblinka, op.cit., pp. 180-181.
[65] Arad afferma che i dentisti, il cui numero egli fornisce come “da venti a trenta” parimenti “esaminavano i corpi, specialmente quelli delle donne morte, in cerca di preziosi nascosti negli orifizi del corpo”; Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka, op.cit., p. 112.
[66] Michael Tsokos (ed.), Forensic Pathology Reviews, Vol. 3, Humana Press, New Jersey 2005, p. 199.
[67] Ivi, p. 202.
[68] Ivi, p. 203.
[69] In rete: https://www.youtube.com/watch?v=ogmBWA9Y7Bk
[70] In rete: http://www.nizkor.org/hweb/people/e/eichmann-adolf/transcripts/Sessions/Session-066-09.html
[71] Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka, op.cit., p. 395 (Ostrowiec era ubicata nella contea di Opatów).
[72] Intervista con Chiel Rajchman, 7 dicembre 1988; op.cit., p. 6.
[73] Criminal Case No. 373/86, State of Israel vs. Ivan (John) Demjanjuk, Verdict, p. 186; citato in J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., p. 171.
[74] Intervista con Chiel Rajchman, 7 dicembre 1988; op.cit., p. 6.
[75] Patrick Buchanan, “Coming Death of John Demjanjuk,” The New York Post, March 17, 1990, p. 26.
[76] Mary Sedor, “Weak, injured shot at roll call, survivor says”, op.cit.
[77] Intervista con Chiel Rajchman, 7 dicembre 1988; op. cit., p. 7.
[78] Testimonianza di Chil Rajchman a Gerusalemme l’11 marzo 1987; Demjanjuk Trial Proceedings Transcript, T002340. Vedi anche “Two Treblinka survivors identify ‘Iwan’ photos” [“Due sopravvissuti di Treblinka identificano foto di ‘Iwan’”], Chronicle-Telegram (Elyria, Ohio), February 19, 1981, p. C 1.
[79] Cf. J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op cit., pp. 169-175.
[80] Testimonianza di Chil Rajchman a Gerusalemme il 10 marzo 1987; Demjanjuk Trial Proceedings Transcript, Vol. 4, T002156.
[81] Intervista con Chiel Rajchman, 7 dicembre 1988; op.cit., p. 9.
[82] Cf. Israel Cymlich & Oskar Strawczynski, Escaping Hell in Treblinka, Yad Vashem, New York/Jerusalem 2007, pp. 31-32, nota 8.
[83] A. Donat (ed.), The Death Camp Treblinka, op.cit., p. 38.
[84] Cf. Thomas Kues, “Disboscamenti a Treblinka”, op. cit.
[85] Cf. J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., pp. 77-90.
[86] Che ci volessero approssimativamente 3 giorni per viaggiare dalla Polonia in Ucraina con il treno in quest’epoca è confermato dalle note personali dell’attaché militare svedese Curt Juhlin-Dannerfelt, che nell’estate del 1942 viaggiò in treno da Berlino in Crimea. Il 23 luglio il suo treno partì da Varsavia, dove aveva fatto una breve sosta, oltrepassò Dnipropetrovsk in Ucraina. Il treno viaggiava ad una velocità variante dai 20 ai 40 chilometri all’ora, probabilmente a causa delle scadenti condizioni della ferrovia. Staffan Thorsell, I hans majestäts tjänst. En berättelse från Hitlers Berlin och Stalins Moskva, Albert Bonniers Förlag, Stockholm 2009, pp. 149-150. In un decreto tedesco indirizzato al Consiglio Ebraico nel ghetto di Varsavia e datato 22 luglio 1942 – il giorno prima che Treblinka entrasse in funzione – viene affermato che ogni deportato ebreo avrebbe dovuto portare con sé “una provvista di cibo per tre giorni”; J. Graf & C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., pp. 277-278. Nell’edizione inglese di questo libro (ma non nell’originale tedesco) la data di questo documento è erroneamente fornita come 22 luglio 1943.
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