PREFAZIONE AL LIBRO DI CARLO MATTOGNO SUGLI EINSATZGRUPPEN
Di Germar Rudolf, 1 novembre 2018
Per tutto il 19° secolo, la Russia zarista fu una società prevalentemente agricola dove molti dei suoi sudditi cristiani in maggioranza ortodossi vivevano come servi della gleba sottoposti ai pochi proprietari terrieri della nobiltà fino a quando i servi vennero emancipati nel 1861. Questo sistema può essere descritto come una blanda forma di schiavitù, solo che, invece di un gruppo etnico o nazionale che ne schiavizzava un altro, come era stata la regola in tutta la storia della schiavitù, in questo caso la maggioranza della classe inferiore di una popolazione era schiavizzata dalla classe superiore di quella stessa popolazione.
L’abolizione della servitù della gleba da parte dello Zar Alessandro II non cambiò il fatto, tuttavia, che la maggior parte della terra era di proprietà della nobiltà, così che i contadini continuavano ad essere alla mercé della nobiltà per guadagnare un introito.
Gli ebrei nella Russia zarista, sebbene nella loro maggioranza non impegnati in attività agricole, avevano i loro motivi di risentimento, i più notevoli tra questi erano il fatto che non fosse permesso loro di stabilirsi dove volevano e che essi fossero sottoposti a certe forme di restrizione nel praticare certe professioni.
Poiché gli altamente urbanizzati ebrei di Russia erano in media molto più istruiti dei loro compatrioti cristiani, gli ebrei erano sovra-rappresentati in molti campi intellettuali, incluse le attività rivoluzionarie. Sebbene i contadini cristiani della Russia avessero un maggior numero di ragioni per lottare in favore di un radicale cambiamento, essi erano in misura non piccola sottomessi al regime zarista innanzitutto a causa della loro mancanza d’istruzione ma anche a causa della chiesa ortodossa, che era in misura non piccola un’estensione del potere zarista. Essa era anche il motore principale dietro i sentimenti antiebraici dei cristiani di Russia.
Naturalmente, la storia delle animosità ebraico-cristiane risale agli anni in cui nacque il cristianesimo. Durante i primi anni della sua esistenza, con gli ebrei che erano in Palestina una potente maggioranza e i cristiani una minoranza senza potere, prevalse la persecuzione ebraica a danno dei cristiani. I ruoli si ribaltarono quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’impero romano. Da allora, l’umanità ha avuto a che fare con una serie di misure antiebraiche da parte dei dirigenti cristiani e del loro popolo. Mentre le masse ignoranti si sollevavano contro gli ebrei con pseudo-argomenti quali “Gli ebrei hanno ucciso Nostro Signore Gesù Cristo” – il che non è neppure vero perché, a rigor di termini, Gesù fu ucciso dai romani, se dobbiamo prendere la narrazione del Nuovo Testamento alla lettera – il clero cristiano ebbe un approccio più sofisticato a questa questione, come è evidenziato per esempio dalla proibizione secolare del Talmud da parte della Chiesa cattolica a causa dei suoi contenuti anticristiani e ostili ai gentili, o dalla critica degli insegnamenti ebraici in questo ambito da parte di Martin Lutero nel suo libro Von den Juden und ihren Lügen (Sugli ebrei e le loro menzogne). Mentre questi atteggiamenti antiebraici erano socialmente accettati in Russia e nella maggior parte dell’Europa durante il 19° secolo, essi sono severamente disapprovati oggi, a dir poco, sebbene studi più recenti abbiano in larga misura giustificato la critica bimillenaria contro le scritture ebraiche e la loro influenza sul comportamento di alcuni – in maggioranza ortodossi e fondamentalisti – ebrei (vedi Shahak e Shahak/Mezvinsky).
Fino a che punto questo atteggiamento antiebraico era all’epoca socialmente accettabile può essere spigolato dall’Antisemitismus–Streit, un argomento coltivato da studiosi ed eminenti personalità che esplose sulla scena pubblica in Germania nel 1879, sebbene avesse covato sotto la cenere presso circoli meno popolari molti anni prima della predetta data e avesse una tradizione che risaliva a Martin Lutero[1].
Il giornale ebraico dei record, The New York Times, commentò su questo argomento in un editoriale del 27 febbraio 1880 come segue:
La guerra, che per qualche tempo è infuriata in Germania tra i nativi e gli ebrei, sembra piuttosto crescere che diminuire in intensità. È qualcosa di più di un pregiudizio popolare, è una passione nazionale e gli uomini più capaci, più dignitosi e più dotti si sono schierati su entrambi i lati. A noi qui sembra molto strano che una tale lotta di razze possa avvenire in una terra di così grande intelligenza e pretenziosità intellettuale, e tutto ciò nell’anno 1880. Il crimine degli ebrei sembra risiedere principalmente nella loro ricchezza finanziaria. Nessun peccato è grande come il successo agli occhi di chi non ha successo. L’accusa è che dei 600.000 israeliti che risiedono nell’impero, quasi nessuno è impegnato nelle attività agricole o mercantili; ma che essi controllano gli affari, i mercati del denaro e che si mangiano il paese con la loro avarizia e con l’usura.
Ma l’invidia sociale e finanziaria era solo un aspetto di questo dibattito tedesco, mentre al suo centro si trovava la critica agli insegnamenti ebraici su come considerare e come interagire con i gentili, per come sono definiti in scritti ebraici quali il Talmud e lo Shulchan Aruch, fatti che il New York Times nascose accuratamente ai propri lettori.
Benzina sul fuoco dei sentimenti antiebraici in Germania e in Russia fu la pubblicazione e l’analisi – in Russia ma anche in lingua tedesca – delle minute del Consiglio degli ebrei del ghetto di Minsk (vedi Brafman), che sorressero le accuse che gli ebrei sono intrinsecamente ostili nei confronti dei gentili. Poiché la nobiltà russa era pesantemente influenzata dalla società tedesca e in larga misura legata alla sua nobiltà, le discussioni politiche e ideologiche che circolavano nell’opinione pubblica tedesca avevano inevitabilmente un impatto sui circoli intellettuali russi.
Naturalmente, tutto ciò è vero anche per i circoli anti-zaristi, che con entusiasmo fecero proprie le idee tedesche del socialismo e del comunismo. Mentre le classi superiori tedesche cercarono di togliere il terreno a queste idee radicali creando una monarchia costituzionale ed un parlamento con ampi poteri (dopo l’unificazione tedesca del 1871), e attuando riforme sociali e sicurezza sociale, la Russia sembrò troppo arretrata per tutto quello che poteva tenere il passo con il percorso di modernizzazione voluto dai radicali.
Di conseguenza, gli ultimi due decenni del 19° secolo come pure i primi due decenni del 20° secolo furono segnati in Russia da diversi tentativi da parte dei politici radicali di rovesciare il regime zarista, a cominciare dall’assassinio dello zar Alessandro II nel 1881, per finire con la riuscita rivoluzione del 1917.
Considerando i precedenti, a volte persino la natura reazionaria del regime zarista e della società russa in generale in quegli anni, si dovrebbe pensare che la maggioranza dei russi cristiani avrebbe dovuto avere un interesse per un cambiamento radicale proprio come ogni altro gruppo svantaggiato. In ognuno di questi tentativi di rovesciamento del regime zarista, tuttavia, individui di origine ebraica erano largamente sovra-rappresentati tra questi radicali. Mentre i cristiani si identificavano con i loro zar teoricamente cristiani e con il loro giogo – o erano spinti ad identificarsi con essi dalla chiesa ortodossa – gli ebrei e altri gruppi religiosi, come pure gruppi etnici marginalizzati, non nutrivano questa fedeltà. Gli ebrei, in quanto stranieri sia come religione che come razza – almeno essi venivano trattati come tali, e molti ebrei si consideravano parimenti allo stesso modo – avevano la più alta probabilità di sostenere i cambiamenti più radicali nel modo più duro. E così fecero.
Mentre c’erano anche dei non ebrei tra questi rivoluzionari, il mainstream russo fu pronto a focalizzarsi sugli ebrei visti come i principali attori dietro questi eventi. Come risultato si ebbero i pogrom contro gli ebrei, e tra questi soprattutto quelli scatenati dall’assassinio nel 1881 dello zar Alessandro II, e dall’abortita rivoluzione del 1905. Ho descritto questi eventi in modo più dettagliato altrove, dove ho anche mostrato che essi furono il terreno fertile per slogan mediatici quali “olocausto”, “sei milioni” e “sterminio” riferiti alla persecuzione degli ebrei in Russia (introduzione a Heddesheimer, pp. 7-37).
È comprensibile che organi di stampa come il New York Times auspicassero degli sviluppi in Russia che creassero qualcosa di simile a ciò che esisteva negli Stati Uniti: una repubblica con diritti civili garantiti a tutti. La speranza che una rivoluzione potesse realizzare quest’opera può essere letta tra le righe di diversi articoli del New York Times di quei giorni.
Nel 1917, la rivoluzione in Russia portò ad una guerra civile che durò diversi anni, e all’inizio non era affatto chiaro che i rivoluzionari avrebbero vinto questa guerra. Mentre essa infuriava, i lettori del New York Times appresero come gli autori e i direttori di quel giornale tremassero al pensiero che la rivoluzione fallisse. Sapevano che questa volta, dopo un così grande spargimento di sangue, i pogrom contro gli ebrei li avrebbero annientati completamente. Ad esempio, in un articolo del 20 luglio 1921 a p. 2 intitolato “Begs America Save 6.000.000 in Russia” [Si implora l’America di salvare 6 milioni in Russia], dove leggiamo nel sottotitolo che “Sei milioni di ebrei in Russia rischiano lo sterminio mediante massacri”, poiché il potere del “movimento contro-rivoluzionario sta guadagnando forza mentre il controllo dei soviet è in declino”.
Naturalmente, a quel punto chiunque non fosse cieco di fronte a fatti lampanti poteva vedere che questi soviet rivoluzionari non pensavano di installare una repubblica nell’Unione Sovietica né di garantire diritti civili a tutti. In realtà, si diffusero notizie in tutto il mondo sui diffusi massacri perpetrati dai soviet contro la nobiltà, il clero cristiano, la “borghesia”, i “kulaki” (piccoli agricoltori indipendenti) e, in realtà, contro chiunque si parasse sulla loro strada. Ma a quel punto, il New York Times e molti altri organi di stampa con una mentalità analoga negli Stati Uniti avevano smesso di riferire la maggior parte delle scioccanti notizie che sarebbe stato opportuno stampare, e nascosero invece con assordante silenzio gli orrori che si svolgevano in Russia. Distogliendo lo sguardo e sostenendo i perpetratori – milioni di dollari vennero raccolti con l’aiuto di questi giornali per sostenere qualunque cosa stesse succedendo in Russia all’epoca – costoro erano diventati complici nel massacro di milioni di persone, in maggioranza di fede cristiana.
La terrificante verità sui molti massacri della Russia sovietica che accaddero durante la guerra civile e nei due decenni successivi, che era evidente per chiunque in Europa, soprattutto in Germania, fu in larga misura nascosta all’opinione pubblica americana per decenni. In realtà, solo la guerra fredda che scoppiò dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, permise una visione più equilibrata di ciò che era accaduto in Russia dal 1917.
Chi era responsabile di questi massacri sovietici?
Robert Wilton, il corrispondente del londinese Times durante la prima guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi, riferì per il suo giornale degli eventi che si svolgevano in Russia durante la rivoluzione. Nel 1920, mentre la guerra civile stava ancora infuriando, egli pubblicò un libro su The Last Days of the Romanovs [Gli ultimi giorni dei Romanov], in cui egli espose l’estrema dominanza di individui di origine ebraica nel portare avanti la rivoluzione, e nell’esercitare la leadership della prima Unione Sovietica. Contributi più recenti hanno poi confermato questa osservazione, sebbene molti di essi non siano disponibili in lingua inglese – e ci si potrebbe chiedere il perché[2].
Più convincenti per molti lettori saranno forse le affermazioni fatte da quegli stessi ebrei che – di fronte a quello che stava succedendo nella Russia sovietica perpetrato in larga misura da individui di origine ebraica – furono non solo inorriditi, ma parlarono anche apertamente per ammonire su quanto significava tutto ciò per gli ebrei in generale. L’ebrea russa Sonja Margolina analizzò alcune di queste voci iniziali nel suo libro in lingua tedesca del 1992 il cui titolo tradotto corrisponde a La fine delle menzogne: la Russia e gli ebrei durante il 20° secolo. Anche questo libro non è mai stato tradotto in inglese. In esso, Margolina esamina nei dettagli un libro che era apparso nel 1924 in Germania con il titolo Rußland und die Juden (La Russia e gli ebrei). Questo libro del 1924 esaminava le cause della partecipazione, enormemente superiore alla media, degli ebrei russi agli eccessi della rivoluzione del 1917 e alla tirannia che ne seguì. Il libro contiene anche un appello degli ebrei tedeschi “Agli ebrei di tutte le nazioni!” dove leggiamo (Margolina, p. 58):
“La partecipazione troppo zelante dei bolscevichi ebrei alla sottomissione e alla distruzione della Russia è un peccato che porta già con sé i semi della sua retribuzione. Perché quale più grande disgrazia poteva accadere ad un popolo di quella di avere i suoi figli coinvolti negli eccessi? Non solo questo verrà contato contro di noi come un elemento della nostra colpa, verrà anche alzato su di noi come un rimprovero per un’espressione del nostro potere, per una lotta per l’egemonia ebraica. Il potere sovietico è equiparato al potere ebraico, e il cupo odio per i bolscevichi si trasformerà nell’odio per gli ebrei […] Tutte le nazioni e i popoli saranno sommersi dalle ondate della giudeofobia. Mai prima d’ora si erano radunate nubi così minacciose sopra le teste del popolo ebraico. Questo è il risultato dello sconvolgimento russo per noi, per il popolo ebraico”.
Margolina cita ancora da questa antologia del 1924 (ivi, p. 60):
“I russi non avevano mai visto prima un ebreo al potere, né come governatore né come poliziotto né come funzionario delle poste. C’erano tempi buoni e cattivi anche in quei giorni, ma il popolo russo viveva e lavorava, e i frutti del suo lavoro erano suoi. Oggi gli ebrei stanno ad ogni angolo e in tutti i livelli del potere. I russi li vedono alla testa della città degli zar, Mosca, e alla testa della metropoli sul fiume Neva e alla testa dell’Armata Rossa, il meccanismo supremo dell’auto-distruzione. […] I russi devono ora avere a che fare con l’ebreo come giudice e come boia; essi incontrano gli ebrei ad ogni passo, non i comunisti che sono poveri come loro ma che nondimeno danno ordini e si prendono cura degli interessi del potere sovietico […]. Non è sorprendente che i russi, paragonando il passato al presente, concludano che il potere attuale è ebraico, ed è così bestiale proprio per questo”.
Nei primi anni ’90, il professore tedesco Ernst Nolte, che era specializzato nella storia delle ideologie totalitarie, fece parimenti notare l’intimo coinvolgimento degli ebrei nel comunismo (Nolte, pp. 92f.):
“Per ragioni sociali apparentemente evidenti, non era la percentuale di persone di estrazione ebraica particolarmente grande tra i partecipanti alla rivoluzione russa, a differenza delle percentuali di altre minoranze come i lettoni? Anche all’inizio di questo secolo i filosofi ebrei additavano ancora con grande orgoglio questa estesa partecipazione degli ebrei ai movimenti socialisti. Dopo il 1917, quando il movimento antibolscevico – o la propaganda – evidenziò l’argomento dei commissari del popolo ebrei sopra tutti gli altri, questo orgoglio non veniva più espresso, […] ma ci volle Auschwitz per trasformare questo argomento in un tabù per diversi decenni.
È a maggior ragione rimarchevole che nel 1988 la pubblicazione Commentary, la voce degli ebrei di destra in America, pubblicò un articolo di Jerry Z. Muller che ricorda questi fatti incontestabili – sebbene naturalmente essi sono aperti all’interpretazione:
‘Se gli ebrei furono altamente visibili nella rivoluzione in Russia e in Germania, in Ungheria sembravano onnipresenti. […] Dei 49 commissari del governo, 31 erano di origine ebraica […]. Rakosi in seguito scherzò dicendo che Garbai (un gentile) era stato scelto per il suo posto ‘così che vi fosse qualcuno che potesse firmare le condanne a morte di sabato’. […] Ma il ruolo cospicuo degli ebrei nella rivoluzione del 1917-19 diede all’antisemitismo (che ‘sembrava in declino dal 1914’) tutto un nuovo impeto. […] Gli storici che si sono concentrati sugli ideali utopistici sposati dagli ebrei rivoluzionari hanno distolto l’attenzione dal fatto che questi comunisti di origine ebraica, non meno delle loro controparti non ebraiche, furono spinti dai loro ideali a prendere parte a crimini odiosi – sia contro gli ebrei che contro i non ebrei ‘”.
Riassumendo quello che ne sarebbe seguito, il giornalista americano Jerry Muller mise i due grandi eventi storici del 20° secolo in questa sintesi:
“I Trotsky fanno le rivoluzioni [vale a dire, i Gulag] e i Bronstein pagano i conti [nell’Olocausto]”.
Quindi, la parola chiave “bolscevismo ebraico”, che venne poi usata dai nazionalsocialisti tedeschi come una ragione per perseguitare gli ebrei, non era un puro frutto dell’immaginazione, e non dobbiamo basarci sulle loro fonti (come Kommos 1938) per apprendere la veridicità delle loro affermazioni.
Le forze controrivoluzionarie che combatterono contro i soviet negli anni dal 1917 al 1921 vennero alla fine sconfitte. Gli ebrei di Russia e i loro confratelli all’estero poterono emettere un respiro di sollievo – per un po’. Più i soviet stabilizzavano la loro tirannia in Russia, più posavano gli occhi su altre nazioni dove progettavano di realizzare rivoluzioni analoghe sul percorso del loro sogno di una “rivoluzione mondiale”. La Germania era considerata il passo più importante per raggiungere questa meta. Ma la Germania, sconfitta e debole dopo la prima guerra mondiale, e in costante tumulto di guerra civile, stava affrontando una dura lotta di resistenza contro una tale rivoluzione sanguinosa. I più radicali tra le forze controrivoluzionarie in Germania erano i nazionalsocialisti, che cercavano di togliere il terreno alla rivoluzione conducendo la loro rivoluzione socialista da cima a fondo a livello nazionale mentre allo stesso tempo combattevano spietatamente tutti i tentativi sovietici di istigare una rivoluzione comunista a guida straniera e dominata dagli ebrei.
Ad un livello nazionale, i nazionalsocialisti conseguirono un successo sensazionale negli anni di pace, ma con questo successo inevitabilmente venne il confronto con altre potenze straniere, tra le quali innanzitutto la Russia sovietica di Stalin, che vide sventati i suoi piani di istigare una rivoluzione in Germania, e quindi considerò la guerra come la sola opzione rimasta per conquistare l’Europa centrale e occidentale.
Lo scontro dei titani tedesco-russo – o piuttosto nazionalsocialista-comunista sovietico – iniziò il 22 giugno 1941. Il presente libro cerca di svelare quello che successivamente accadde agli ebrei che vivevano, o che furono deportati, nei territori dell’Unione Sovietica occupati temporaneamente dai tedeschi. A differenza di quasi tutti gli autori mainstream che scrivono sull’argomento, Carlo Mattogno è consapevole e prende in considerazione che le “informazioni” che abbiamo su questi eventi sono impregnate della sovietica propaganda di atrocità; che le testimonianze e i rapporti peritali sovietici sono crivellati di distorsioni, esagerazioni e invenzioni; che i sovietici non rifuggivano dalle falsificazioni totali, attribuendo persino ai tedeschi i loro stessi massacri, come nel caso della foresta di Katyn. Con una documentazione storica così contaminata dalle menzogne sovietiche, a cosa possiamo credere?
Quindi, lo studioso critico – e di nessun altro tipo di studioso ci si dovrebbe fidare in queste materie – non può dare nulla per scontato; la critica delle fonti è assolutamente cruciale.
Mentre la Germania nazionalsocialista preparava la sua invasione dell’Unione Sovietica, essa operava in tal modo come un potere controrivoluzionario, come un vendicatore del terrore sovietico passato e presente, con l’intenzione di cancellare il giudeo-bolscevismo una volta per tutte. Il lettore di questo libro leggerà ripetutamente che, mentre l’esercito tedesco entrava in una città sovietica dopo l’altra, le autorità tedesche che assumevano il controllo dietro il fronte in avanzata trovavano una conferma dopo l’altra che gli ebrei erano davvero il pilastro del potere e del terrore sovietico a molti se non a tutti i livelli. Ma questo era realmente vero? Possiamo prendere per buone queste affermazioni nei documenti tedeschi dell’epoca?
Nel 2001, il ricercatore russo Nikita Petrov pubblicò una relazione che affrontava la questione di fino a che punto gli ebrei erano coinvolti nella più importante agenzia governativa repressiva dell’Unione Sovietica, il NKVD [il Commissariato del popolo per gli affari interni]. Questo fu possibile perché lo stesso NKVD aveva conservato la registrazione dell’affiliazione etnica dei suoi impiegati e associati, e gli ebrei erano visti come un gruppo etnico separato, non come membri di una religione. Se guardiamo a questi dati – vedi la tabella sotto – emerge che fino al 1937, gli ebrei occupavano quasi il 40% di tutte le posizioni più alte all’interno del NKVD, mentre solo dal 2% al 3% della popolazione sovietica era ebraica all’epoca.
Proporzione degli ebrei nei ranghi superiori del NKVD | |||||||
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10 luglio
34
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1 ottobre
36 |
1 marzo
37 |
1 set.
38 |
1 luglio
39 |
1 gennaio
40 |
26 feb.
41 |
ebrei | 38.54% | 39.09% | 37.84% | 21.33% | 3.92% | 3.49% | 5.49% |
Il drastico declino nella composizione ebraica del NKVD fu dovuto principalmente ai massacri commessi tra tutti gli ufficiali governativi nel corso delle purghe attuate da Stalin negli anni 1937/38. Poiché gli ebrei erano così estremamente sovra-rappresentati tra questi ufficiali, essi figurarono anche tra le principali vittime di queste purghe.
È perciò ragionevole presumere che, quando l’esercito tedesco entrò in Russia nel giugno 1941, la sbalorditiva predominanza degli ebrei nella burocrazia di stato sovietica era ad un grado considerevole una questione appartenente al recente passato.
Ma perché, allora, i rapporti tedeschi dell’epoca citati nel presente libro affermano l’opposto?
La prima domanda a cui rispondere è sempre: come potevano essi sapere? È un fatto che la maggior parte degli ufficiali sovietici fuggirono quando i tedeschi arrivarono. Quello che i tedeschi trovarono sulla composizione etnica del personale governativo poteva essere basato su testimonianze e dicerie piuttosto che sui registri ufficiali. Almeno questa è l’impressione che ho ricevuto leggendo questi rapporti tedeschi, perché essi non menzionano mai l’analisi approfondita dei registri dell’impiego.
La domanda successiva a cui rispondere è: possiamo fidarci di questi testimoni? La risposta a questa è semplice e chiara: no, non possiamo. Chiunque rendeva dichiarazioni di questo tipo ai tedeschi era evidentemente desideroso di collaborare col nemico, e data la reputazione che i tedeschi avevano di odiatori degli ebrei e di antisemiti, molti testimoni possono aver anticipato quello che i tedeschi volevano sentire. Quindi, questo è un chiaro caso di pregiudizio di conferma. I tedeschi probabilmente ascoltarono la loro eco più che dei dati attendibili e raccolti in modo indipendente. È anche possibile che le dichiarazioni sulla dominanza ebraica in posizioni di potere contenute in questi documenti fossero completamente infondate, e quindi inventate per “giustificare” le esecuzioni di massa degli ebrei.
Questo significa che gli ebrei in Russia non erano il nemico che i tedeschi percepivano come tale? Non necessariamente. Se ci mettiamo per un momento nei panni degli ebrei, vi sono principalmente due cosa da considerare.
Primo, sebbene l’apparato del terrore sovietico fosse ad un livello sbalorditivo “ebraico” in natura fino al 1937, questo non significa che la maggior parte degli ebrei fosse coinvolta in questo apparato. In realtà, all’epoca delle purghe staliniane del 1937/38, dovette diventare chiaro a chiunque in Unione Sovietica che letteralmente chiunque era una vittima del terrore sovietico o piuttosto stalinista. Persino i perpetratori di quel regime di terrore vennero catturati da un incubo di orrori da cui non potevano fuggire, e molti di loro furono inghiottiti da questo maelstrom che avevano contribuito a creare e a mantenere. Da questo punto di vista, chiunque in Unione Sovietica aveva bisogno di essere liberato, ebrei e gentili, perpetratori e vittime, funzionari governativi e la popolazione generale. Se i tedeschi fossero venuti con questa attitudine – quella di liberare chiunque dall’incubo bolscevico – avrebbero potuto vincere la guerra. Ma questo non è quello che fecero.
Al contrario, i tedeschi vennero con l’attitudine dell’occhio per occhio. E come Gandhi correttamente osservò, questa attitudine rende semplicemente cieco il mondo intero. Anche se molti degli ebrei di Russia non erano necessariamente ostili ai tedeschi prima della guerra, una volta che i tedeschi ebbero assunto una posizione radicalmente antiebraica mentre avanzavano nell’Unione Sovietica, gli ebrei ebbero la sola scelta di allinearsi all’unico potere che poteva e voleva proteggerli dall’ira contro-rivoluzionaria e antiebraica che i tedeschi portavano con loro e scatenavano presso la popolazione locale non ebraica.
Stalin fu abbastanza intelligente da riconoscere che egli doveva unire i popoli del suo regno e oltre per vincere questa guerra. Così reinventò il patriottismo russo, riesumò la chiesa ortodossa, e radunò gli ebrei attorno a lui – solo per tornare allo stato primitivo dopo la guerra, ma questo è oltre il punto. Quindi, anche se la Russia di Stalin nel 1938 non era più ebraica della Germania di Hitler a quell’epoca, quando le forze tedesche iniziarono a commettere massacri contro gli ebrei nei territori sovietici, la Russia di Stalin divenne ancora una volta il centro del sostegno ebraico – dall’interno dell’Unione Sovietica stessa, ma anche dagli Stati Uniti e altrove.
Mentre Stalin trasformava molti dei suoi ex nemici temporaneamente in “amici” e seminava discordia tra il resto dei suoi nemici, Hitler con la sua posizione radicalmente antiebraica e l’atteggiamento razzista verso gli slavi, seminò discordia tra i suoi potenziali amici e unì i suoi nemici.
Quindi, se alcuni ebrei non erano già ostili verso i tedeschi quando la guerra iniziò, la maggior parte di loro se non tutti diventarono nemici quando essa proseguì. Tutto ciò a sua volta servì da giustificazione per le misure sempre più dure prese dai tedeschi contro gli ebrei. In questo modo, venne creato un circolo vizioso progressivo che trasformò l’intero conflitto in un bagno di sangue. In un certo modo, perciò, i tedeschi crearono, mantennero e aiutarono a far crescere un nemico che non avrebbe mai dovuto esistere. Fu una sorta di profezia auto-realizzante.
Per quanto fosse nobile l’intenzione di uccidere il mostro bolscevico, applicando metodi simili a quelli dei bolscevichi, vale a dire, dichiarando interi settori della popolazione come nemici (la nobiltà e la borghesia qui, gli ebrei e i sovietici lì) – piuttosto che combattendo una guerra semplicemente contro le idee – e perpetrando massacri ad una scala senza precedenti nella storia tedesca, i nazionalsocialisti e con loro molti milioni di leali seguaci tedeschi si trasformarono in un’immagine speculare del mostro che stavano affermando di combattere. È una tragedia che si è ripetuta spesso nella storia del genere umano.
Sebbene questi fatti possano farci capire perché le cose sono andate come sono andate, nessuno di questi può giustificarle.
In questo senso, il presente libro cerca di gettare luce su ciò che esattamente avvenne senza cercare di giustificare o di scusare. I tedeschi andarono in Russia con l’intenzione di massacrare tutti gli ebrei che cadevano nelle loro mani su vasta scala? O fu essa una reazione alle atrocità sovietiche e una percezione che gli ebrei erano i primi responsabili di esse? Cosa accadde esattamente? E quanti ebrei caddero vittime di questi massacri?
L’ultima domanda è probabilmente anche la più sconcertante. Sebbene Carlo Mattogno abbia fornito stime documentate in passato sui probabili, reali, tassi di mortalità di certi campi nazionalsocialisti, il lettore rimarrà deluso a questo riguardo con il presente libro. Sebbene il capitolo 5 della prima parte affronti questa questione, esso ci fa semplicemente capire che è quasi impossibile una cifra anche soltanto approssimativa. In effetti, dopo aver digerito questo voluminoso lavoro, il lettore capirà che c’è un numero di ostacoli apparentemente insormontabili alla determinazione di un tasso di mortalità. Innanzitutto, i numeri forniti dai documenti tedeschi sono tutt’altro che attendibili poiché i dati contenuti in essi sono, per usare le parole di Mattogno, “caotici e disordinati”, e i numeri forniti “non coincidono quasi mai con i totali dichiarati” (vedi p. 271). Molti studiosi hanno sospettato che i numeri di questi documenti possono essere esagerati, ma dopo aver letto l’analisi di Mattogno, si può dire tranquillamente che sono interamente inattendibili, e che tutto è possibile: esagerazioni e minimizzazioni.
Poi, c’è una ragione per sospettare che i documenti tedeschi non includano tutti i massacri che sono avvenuti. La maggior parte di questi sospetti sono basati su mere dicerie di massacri che non sono confermate dai documenti. Sebbene le mere dicerie dei testimoni non provino che un massacro sia avvenuto, se una squadra forense trovasse una fossa comune in base a tali testimonianze, e non vi sono documenti tedeschi che confermino che c’è stato un massacro, questo può significare o che esso non è stato documentato, oppure che questa fossa comune contiene invece altre vittime, come quelle di un massacro perpetrato dai sovietici. Mattogno discute uno di questi casi nel paragrafo 1.6 della seconda parte. Naturalmente, è possibile anche l’altro estremo, e cioè che gli eventi delle esecuzioni di massa riferiti nei documenti tedeschi possano essere stati inventati di sana pianta. Anche questa possibilità è discussa da Mattogno.
Alla fine, la sola cosa che potrebbe risolvere la questione quanto alla possibilità che le cifre del tasso di mortalità nei documenti tedeschi siano corrette sarebbe quella di effettuare numerose complete e approfondite riesumazioni di tutte le vittime trovate in una fossa comune associata ad un massacro documentato, determinare nel miglior modo possibile il numero e le identità delle vittime, la causa probabile e l’epoca approssimativa della morte, e i probabili perpetratori. Questa è la procedura standard in ogni altro caso di sterminio.
Ma come Mattogno ha documentato in modo approfondito, sono in particolare le autorità religiose ebraiche che oppongono con successo il veto a che tali esami avvengano. È difficile dire se questa posizione intenzionalmente o involontariamente ostruttiva cambierà mai, o se le autorità governative non ebraiche avranno abbastanza spina dorsale per fare quello che avrebbe dovuto essere fatto molto tempo fa, indipendentemente da quello che alcune personalità ebraiche desiderano. Per ora, tutto quello che possiamo fare è aspettare e sperare. Naturalmente, mentre i decenni passano, questo compito non diventerà affatto più facile, poiché le prove necessarie per arrivare a conclusioni chiare si deteriorano pesantemente.
Le stime mainstream del tasso di mortalità per i massacri compiuti dagli Einsatzgruppen e dalle unità tedesche loro associate variano di solito dal meno di un milione (Hilberg 2003, p. 408) fino a tre milioni (Schwarz, p. 220). Per ora, poco può essere detto su queste cifre a parte che esse sono basate più su speculazioni che su dati solidi e confermabili. Anche se il loro ordine di grandezza potrebbe essere corretto. se fosse così, questi sono davvero numeri scioccanti. Ma se confrontiamo queste cifre con il tasso di mortalità delle atrocità sovietiche compiute dal 1917 fino allo scoppio della guerra tedesco-sovietica, abbiamo a che fare con “noccioline”. Le stime di questo tasso di mortalità sovietico fino al 1941 assommano a decine di milioni, quindi a un fattore dieci volte più alto di quello degli ebrei (e dei non ebrei) presumibilmente uccisi dai tedeschi in Unione Sovietica.
Eppure quando andiamo nelle librerie del mondo occidentale, troviamo più di 100.000 libri sull’Olocausto ebraico della seconda guerra mondiale, ma solo pochissime opere che trattano i massacri sovietici negli anni 1917-1941 – e oltre. Perché?
Mentre gli studiosi mainstream sostengono che l’Olocausto ebraico è uno dei genocidi meglio indagati – e nel modo più approfondito – nella storia del genere umano, o addirittura di ogni evento importante nella storia della nostra specie, i massacri sovietici – una serie di molti genocidi e di stermini non genocidari di grandezza molto più vasta – non vengono quasi mai indagati in modo sistematico e approfondito da nessuno nel mondo occidentale. I paesi occupati ex-sovietici che hanno molto sofferto sotto il giogo sovietico, come l’Ucraina e i Paesi Baltici, hanno compiuto la loro parte di indagini dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, ma hanno ottenuto poca attenzione in occidente. Perché?
La risposta a queste questioni può essere trovata quando realizziamo chi detiene l’egemonia culturale nel mondo occidentale. Questa egemonia evidentemente ha come conseguenza questa prospettiva storica unilaterale e sbilanciata e trasforma la storia in un’inintelligibile immagine in bianco e nero di un male presuntamente assoluto contro un bene presuntamente innocente. Le forze che realizzano tutto ciò sono le stesse forze che, negli Stati Uniti per molti anni a partire dal 1917, hanno in larga misura nascosto all’opinione pubblica quello che accadeva in Unione Sovietica.
Il libro che tenete nelle vostre mani presenta i risultati del primo sforzo revisionista di indagare in modo esaustivo le attività degli Einsatzgruppen dietro il fronte tedesco-sovietico durante la seconda guerra mondiale. Secondo le fonti mainstream, gli omicidi perpetrati dagli Einsatzgruppen e dalle altre unità tedesche loro associate abbracciano grosso modo un terzo dell’Olocausto, da un punto di vista quantitativo (più o meno un milione di vittime, a seconda della fonte). È un vasto argomento sotto molti rispetti: per il numero degli eventi asseriti, per la dimensione dell’area geografica dove questi eventi si dice siano avvenuti, per la quantità delle fonti materiali disponibili, e per il numero degli studi – quasi esclusivamente mainstream – già pubblicati su di esso. Carlo Mattogno ha intrapreso un compito gigantesco.
L’edizione italiana originale di questo libro è stata pubblicata nel 2017. Questa edizione ha attirato l’attenzione di un gruppo di commentatori ostili che, nell’agosto 2018, hanno iniziato ad analizzarla e a criticarla in una serie di articoli di blog disponibili in rete[3]. In quel momento, gli sforzi di editing della presente traduzione in lingua inglese del libro di Mattogno erano in pieno corso. Poco dopo essere stato informato di questi articoli critici, ne ho informato Carlo Mattogno. Poiché era ovvio che questi articoli erano appena iniziati e che sarebbero continuati, probabilmente per molti mesi a venire, reagire ad essi avrebbe significato sospendere l’intero progetto, aspettare che i blogger finissero la loro critica, poi intraprendere ulteriori ricerche e infine riscrivere il libro dove fosse stato necessario, prima in italiano, poi in inglese. Tutto ciò avrebbe ritardato l’edizione inglese di un anno, se non più. Aggiungiamo a tutto ciò la natura volatile degli articoli dei blog, che possono essere cambiati o cancellati da un momento all’altro. In altre parole, Carlo Mattogno non voleva proseguire su una falsa pista solo per confutare qualche blogger. Se la loro critica verrà pubblicata in un formato a stampa convenzionale dove i contenuti sono fissati, allora egli li prenderà in considerazione. Altrimenti, egli non darà a qualche critico ostile il potere di far posporre la pubblicazione del suo libro ad indefinitum.
Il lettore, d’altro canto, è invitato a prendere nota degli argomenti di entrambi i lati di questo dibattito. Quando leggiamo le obiezioni dei blogger riguardanti i commenti di Mattogno allo “Jäger Report”, per esempio, notiamo prima di tutto che l’alfa e l’omega della storiografia – la critica delle fonti – è qualcosa che ai blogger evidentemente non piace affatto. Tutto quello che Mattogno fa a questo riguardo nel presente libro è di sollevare alcuni interrogativi su questo documento. Egli fa lo stesso con i famigerati Rapporti Evento degli Einsatzgruppen. Gli interrogativi riguardanti la critica delle fonti non sono illegittimi, come i blogger suggeriscono, ma essenziali. Già questo mostra l’approccio totalmente non professionale e fazioso di questi blogger. La cosa successiva da notare riguardo allo “Jäger Report” è che i blogger accusano Mattogno di affermazioni o errori che egli, in realtà, non ha fatto. Basta leggere attentamente quello che Mattogno ha scritto e quello che i blogger sostengono (ammesso a questo punto che essi non lo abbiano cambiato), e comprenderete la loro prospettiva distorta. Se questo è dovuto alla loro incompetenza o alla loro mendacità sarà il lettore a deciderlo.
In un altro articolo, essi accusano Mattogno di non aver usato tutte le fonti secondarie disponibili su qualche aspetto del presente studio, e di aver preso in considerazione solo un numero limitato di testimonianze. Queste accuse sono inevitabili e irragionevoli. Sono inevitabili, perché è fisicamente impossibile coprire tutte le fonti esistenti in un libro di dimensioni ragionevoli scritto da un solo autore in un intervallo di tempo finito. Inoltre, citare tutte le fonti secondarie esistenti – sono migliaia – sarebbe stato un esercizio che avrebbe solo annoiato il lettore senza aggiungere molte informazioni. Alla fin fine, uno studio come questo deve essere basato principalmente su fonti primarie, non sulle opinioni di altri studiosi.
Inoltre, quando si tratta di testimonianze, queste accuse sono parimenti irragionevoli, perché questo libro prova con abbondanti esempi che molte se non la maggior parte delle testimonianze sono piene di affermazioni assurde che danno adito alla conclusione che semplicemente non possiamo basarci su di esse. Aggiungere ulteriori migliaia di queste dichiarazioni qualche volta assurde e persino grottesche non cambierà questa conclusione. Una tale espansione del complesso dei dati può solo confermarlo.
Alla fin fine, non importa quanti testimoni hanno affermato che le streghe cavalcano su manici di scopa e fanno sesso con il diavolo (non necessariamente entrambe le cose alla volta né in questo ordine). Se può essere mostrato che molte di queste dichiarazioni sono inaffidabili, abbiamo bisogno di cercare tipi di prova migliori e più attendibili. Nel nostro caso, come già detto, il tipo di prova necessaria consiste in esami forensi approfonditi e indipendenti delle fosse comuni che possono essere localizzate. Nient’altro li potrà sostituire. Se queste prove non verranno mai elaborate o presentate, il mondo dovrà vivere per tutta l’eternità con voci critiche, scettiche o addirittura negatrici riguardanti i presunti massacri degli Einsatzgruppen.
Germar Rudolf, 1 novembre 2018
Fonti:
- Brafman, Jacob A., “Das Buch vom Kahal”: Materialien zur Erforschung der jüdischen Sitten, 2 Vols., Vilnius, 1865/St. Petersburg 1875
- Frey, Thomas (= Theodor Fritsch), Antisemiten-Katechismus, Verlag von Th. Fritsch, Leipzig, 1887
- Heddesheimer, Don, The First Holocaust: The Surprising Origin of the Six-Million Figure. 5th ed., Castle Hill Publishers, Uckfield, 2018
- Hilberg 2003, Raul, The Destruction of the European Jews. Third Edition. Yale University Press/ New Haven and London, 2003
- Kommos, Rudolf, Juden hinter Stalin: Die Vormachtstellung jüdischer Kader in der Sowjetunion auf der Grundlage amtlicher sowjetischer Quellen dargestellt. Nibelungen-Verl., Berlin/Leipzig 1938
- Margolina, Sonja, Das Ende der Lügen: Rußland und die Juden im 20. Jahrhundert. Siedler, Berlin, 1992
- Nolte, Ernst, “Abschließende Reflexionen über den sogenannten Historikerstreit,” in Uwe Backes, Eckhard Jesse, Rainer Zitelmann (eds.), Die Schatten der Vergangenheit: Impulse zur Historisierung des Nationalsozialismus. Propyläen, Berlin, 1992, pp. 83-109
- Petrov, Nikita. “Die wichtigsten Veränderungstendenzen im Kaderbestand der Organe der sowjetischen Staatssicherheit in der Stalin-Zeit,” Forum für osteuropäische Ideen- und Zeitgeschichte, Vol. 5, No. 2, 2001; www1.ku eichstaett.de/ZIMOS/forum/docs/petrow.htm
- Schwarz, Solomon M. The Jews in the Soviet Union, Syracuse Univ. Press., Syracuse 1951
- Shahak, Israel, Jewish History, Jewish Religion: The Weight of Three Thousand Years. Pluto Press, London 1994
- Shahak, Israel, Norton Mezvinsky, Jewish Fundamentalism in Israel. Pluto Press, London 1999
- Solschenizyn, Alexander, 200 Jahre zusammen, 2 vols., Herbig, Munich 2003
- von Bieberstein, Johannes Rogalla, Jüdischer Bolschewismus: Mythos und Realität, Edition Antaios, Dresden, 2002
- Weber, Mark 1994. “The Jewish Role in the Bolshevik Revolution and Russia’s Early Soviet Regime,” Journal of Historical Review, 14(1) (1994), pp. 4-14
- Wilton, Robert. The Last Days of the Romanovs, George H. Doran, New York 1920
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://germarrudolf.com/en/2018/11/forword-to-carlo-mattognos-book-einsatzgruppen/#_ftnref3
[1] Una bibliografia abbastanza esaustiva degli scritti antiebraici principalmente in Germania dall’anno 1500 fino al 1887 può essere trovato in Frey, pp. 209-219.
[2] Vedi per esempio Weber 1994; von Bieberstein 2002; Solgenitsin 2003.
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