La conferenza cancellata di Faurisson a Beirut nel 2001

È con vivo piacere che presento ai lettori di questo blog la traduzione, ad opera di una valente collaboratrice del professore, del testo della conferenza che Robert Faurisson avrebbe dovuto tenere a Beirut nella primavera del 2001. Quella conferenza faceva parte di un convegno che era stato organizzato nella capitale libanese dall’associazione svizzera Vérité & Justice, all’epoca presieduta da Jürgen Graf, amico e collega di Faurisson. Purtroppo, il convegno venne annullato a causa delle pressioni del governo americano – istigato da certe organizzazioni ebraiche – sul governo libanese. Chi fosse interessato a conoscere i dettagli di questa storia può leggere il capitolo 11 (“La proibizione del convegno di Beirut) del libro Historia Magistra Vitae del predetto Graf (disponibile qui: http://www.lulu.com/shop/j%C3%BCrgen-graf/historia-magistra-vitae/paperback/product-23809367.html?ppn=1). È un piacere e un onore serbare viva la memoria del professor Faurisson.

La conferenza cancellata di Faurisson a Beirut

Robert Faurisson (UK)

31 marzo 2001

Scritta il 22 marzo per il 31 marzo 2001

Per il convegno cancellato di Beirut sul revisionismo e il sionismo

I dirigenti degli Stati musulmani dovrebbero uscire dal silenzio sull’impostura dell’“Olocausto”

 Cinque osservazioni preliminari:

  1. Sottolineo: “i dirigenti”, e non: “gli intellettuali, i docenti universitari, i giornalisti” che, da parte loro, a volte si sono già espressi in merito;
  1. Il termine “Olocausto” (da scrivere sempre tra virgolette) designa il triplo mito del preteso genocidio degli ebrei, delle pretese camere a gas naziste e dei pretesi sei milioni di vittime israelite della seconda guerra mondiale. Nel corso di una lunga storia piena di furore, sangue e fuoco, l’umanità ha conosciuto cento olocausti, cioè, terribili perdite in termini di vite umane o sanguinose catastrofi (presentate, all’origine della parola, come altrettanti sacrifici richiesti da forze superiori); ma i nostri contemporanei sono stati messi nella condizione di ricordare solo un olocausto, quello degli ebrei; quell’olocausto si scrive oggi con la maiuscola; è diventato unico e non occorre più aggiungere: “degli ebrei”. Nessuno dei precedenti olocausti ha dato luogo a indennizzi, riparazioni o compensazioni finanziarie analoghi a quelli reclamati e ottenuti dagli ebrei per una catastrofe o “Shoah” che descrivono come unica e senza precedenti, e che, in effetti, lo sarebbe, se le sue tre componenti (genocidio, camere a gas e sei milioni) fossero state reali. Se molti ebrei europei hanno sofferto e sono morti durante la guerra in questione senza che per questo ciò costituisca quello che intendono con il termine “Olocausto”, molti altri popoli e comunità, in particolare i Tedeschi, i Giapponesi, i Russi e i Cinesi, hanno conosciuto, in realtà, una sorte ben peggiore di quella degli ebrei; basti pensare in questo caso alle tempeste di fuoco generate dalle bombe al fosforo o nucleari nelle quali hanno trovato una morte atroce almeno un milione di Tedeschi e di Giapponesi (e che dire dei feriti e dei mutilati?). È opportuno aggiungere, peraltro, che milioni di ebrei europei sono sopravvissuti a questa pretesa politica di sterminio fisico per conoscere dopo la guerra una potenza e una prosperità senza precedenti nella loro storia. Privilegiare, come si fa oggi, il preteso “Olocausto” equivale dunque a ingigantire oltremisura la qualità e la quantità delle sofferenze degli ebrei e a sminuire analogamente la sofferenza degli altri fino al punto di non darle alcun nome specifico.
  1. L’impostura è una menzogna imposta; si tratta qui di una menzogna storica, vale a dire che, architettata da bugiardi o da mitomani, è stata poi adottata da un’infinità – crescente col tempo – di persone che, in buona fede o in malafede, l’hanno divulgata; in tale circostanza abbiamo dunque a che fare con un esiguo numero di bugiardi e con una pletora di imbonitori;
  1. Il contrario della menzogna, inventata o divulgata, è la verità dei fatti. Tuttavia, poiché la parola verità è vaga e abusata, io le preferisco il termine esattezza. Il revisionismo consiste nel tentare di rivedere e correggere ciò che è generalmente accettato, al fine di stabilire con esattezza la natura di un oggetto, la realtà di un fatto, il valore di una cifra, l’autenticità, la veridicità e la portata di un testo o di un documento.
  1. Il sionismo è un’ideologia mentre il revisionismo è un metodo. In quanto revisionista, formulerò dunque un giudizio non tanto sul sionismo in sè (all’alba del XXI secolo) quanto sull’uso che fa dell’impostura dell’“Olocausto”.

Se i dirigenti degli Stati musulmani prendessero in considerazione la possibilità di uscire dal silenzio su questa impostura e se, così facendo, lanciassero una sfida alla lobby ebraica e sionista, dovrebbero ovviamente a) prendere innanzi tutto la giusta misura dell’avversario, poi b) decidere su una strategia adeguata e, infine, c) fissare il punto esatto su cui concentrare i loro attacchi. Per trattare questi tre aspetti, dividerò la mia relazione in tre parti.

In una prima parte, affinché non ci si sbagli sull’avversario e se ne prenda la giusta misura, spiegherò quali sono innanzi tutto, a mio avviso, gli apparenti punti deboli degli ebrei e dei sionisti, poi i loro veri punti deboli. In una seconda parte, per quanto riguarda la strategia da adottare, riassumerò una parte delle conclusioni a cui sono giunto, nel novembre 2000, a Teheran, in presenza dei rappresentanti del Centro studi strategici della Repubblica islamica d’Iran. Infine, in una terza parte, designerò il bersaglio preciso da colpire: “la magica camera a gas” nazista (la formula è di Louis-Ferdinand Céline).

  1. L’avversario ebreo e sionista

Un avversario ingannevole può manifestare dei timori che in realtà non prova. Espone alla vista di tutti dei punti deboli che non sono tali e cerca di dissimulare ciò che lo preoccupa veramente. Così sarà attaccato là dove non gli importa di esserlo e sarà risparmiato là dove soffrirebbe davvero. In questo caso, l’avversario è quasi indifferentemente ebreo o sionista. Gli ebrei presentano un’incontestabile doppiezza (“Due ebrei, tre sinagoghe”, afferma il proverbio yiddish) e, politicamente, non hanno mai formato un blocco unito, nemmeno di fronte a Hitler; ma, senza ebrei, non c’è sionismo (“Il sionista sta all’ebreo come il martello sta al falegname”, pensa Ahmed Rami) e, salvo rare eccezioni, l’ebreo si sentirà solidale con il sionista e il sionista con l’ebreo, se entrambi constateranno che il loro mito comune dell’“Olocausto” è in pericolo; ecco perché la distinzione che è in genere opportuno fare tra ebreo e sionista è fuori luogo in questo caso.

  1. I falsi timori e gli apparenti punti deboli dell’avversario:
  1. A dispetto dell’ostentato timore di un attacco militare contro lo Stato d’Israele, i sionisti che dirigono questo Stato e gli ebrei della Diaspora che li sostengono non temono veramente la forza militare del nemico perché sanno che quest’ultimo sarà surclassato dall’esercito israeliano grazie alla tecnologia e al denaro, in particolare, degli Americani e dei Tedeschi;
  1. Non temono veramente la varietà di antigiudaismo impropriamete chiamato antisemitismo; al contrario, se ne nutrono; hanno bisogno di poter gridare all’antisemitismo, non foss’altro che per raccogliere più denaro presso la Diaspora; in maniera generale, lamentarsi è per loro un bisogno vitale: “Più piango, più incasso; più incasso, più piango”;
  1. Ebrei e sionisti non temono veramente le denunce ebraiche dello “Shoah Business” e dell’“Holocaust Industry” di Peter Novick, Tim Cole o Norman Finkelstein perché qui si tratta, paradossalmente, di denunce più o meno kosher dove si ha cura di manifestare la propria riverenza per l’“Olocausto” stesso; si noterà, d’altronde, che se lo sfruttamento industriale o commerciale della sofferenza reale o supposta degli ebrei costituisce un filone proficuo, da qualche anno a questa parte, la critica di tale sfruttamento è diventata, un altro filone proficuo; ora, il caso vuole che questi due filoni, soprattutto il secondo, siano strettamente riservati agli ebrei; sono “off limits” e se un gentile si azzardasse a imitare N. Finkelstein nella sua denuncia della mafia dell’“Olocausto”, la muta dei guardiani del tesoro gli darebbe immediatamente la caccia;
  1. Non temono veramente l’antisionismo in quanto tale, a volte ne autorizzano persino l’espressione;
  1. In particolare, non devono preoccuparsi troppo di un antisionismo, diventato banale, che consiste nel prendersela con tutti i miti fondatori d’Israele salvo quello, diventato per loro essenziale, dell’“Olocausto”;
  1. Non devono preoccuparsi delle accuse di razzismo, di imperialismo e di giudeo-nazismo, visto che tali accuse, anche se talvolta sono fondate, assomigliano a slogan rituali, automatici e che portano il marchio di un linguaggio antiquato. Paragonare gli ebrei a Hitler, poi affermare che i sionisti perseguono, come i nazisti, una politica di “genocidio” non dispiace affatto agli ebrei e ai sionisti perché ciò contribuisce a rafforzare l’immagine che questi ultimi sono riusciti a costruire di Hitler e dei nazisti al tempo stesso; ciò li aiuta a imprimere in tutte le menti l’illusione che c’è stato, innanzi tutto e prima di tutto, un “genocidio” degli ebrei. In realtà, Hitler non era un mostro, come pretendono i suoi nemici ebrei, più di quanto Napoleone fosse un “orco”, come assicurava la propaganda inglese. Benché razzista e ostile agli ebrei internazionalisti (ma non agli ebrei sionisti), Hitler non ha mai ordinato né accettato che qualcuno fosse ucciso a causa della sua razza o religione; d’altronde, i suoi tribunali militari o corti marziali hanno condannato, talvolta a morte, dei soldati, ufficiali o funzionari tedeschi che si erano resi colpevoli dell’omicidio di un solo ebreo o di una sola ebrea (anche durante la guerra, in Polonia, in Russia o in Ungheria); si tratta qui di un aspetto storico occultato dagli storici sterminazionisti e malauguratamente trascurato dagli autori revisionisti. Se Hitler fosse stato il mostruoso razzista che ci descrivono, una personalità arabo-musulmana del prestigio del Gran Muftì di Gerusalemme (il Palestinese Hadj Amīn al-Ḥusaynī) non sarebbe rimasta al suo fianco fino alla fine. Nonostante l’episodio del patto germano-sovietico (agosto 1939-giugno 1941), Hitler era fondamentalmente ostile allo stalinismo e a ciò che chiamava, per il contributo decisivo degli ebrei al bolscevismo, il “giudeo-bolscevismo”. Il soldato tedesco così come i volontari europei, russi, asiatici o musulmani che lottavano con lui avevano come nemico primario unicamente il comunismo filosovietico;
  1. Sebbene pretendano il contrario, gli ebrei e i sionisti irridono – non senza motivo – coloro che parlano di “complotto ebraico” o di “cospirazione di Auschwitz”, dato che non c’è nessun “complotto ebraico” (né “complotto” massonico, gesuita, papale, americano o comunista) ma un potere ebraico o un’influenza ebraica; analogamente non c’è nessuna “cospirazione di Auschwitz” ma una menzogna di Auschwitz; del resto, le idee di complotto o di cospirazione, care alla tradizione ebraica dovrebbero restare appannaggio di quest’ultima; faremmo male a farne ricorso.
  1. I veri timori e i veri punti deboli dell’avversario:
  1. In Israele-Palestina, ebrei e sionisti temono veramente le armi dei poveri (le pietre dei bambini, le loro fionde come quella di Davide contro il gigante Golia, gli attacchi suicidi) e tutto ciò che può provocare insicurezza alle persone e al commercio; temono il deterioramento della propria immagine; hanno paura di dover scegliere un giorno tra la valigia e la bara;
  1. Ma ciò che paventano soprattutto è “la bomba atomica del povero”, cioè la disintegrazione, ad opera del revisionismo storico, della menzogna delle camere a gas, del genocidio e dei sei milioni in un sol colpo; temono quest’arma che non uccide nessuno ma che non mancherebbe di far scoppiare la loro Grande Menzogna come un palloncino;
  1. Hanno paura di vedere rivelare pubblicamente che è l’impostura dell’“Olocausto” che ha consentito, all’indomani della seconda guerra mondiale, la creazione, in terra di Palestina, di una colonia ebraica chiamata Israele, e ciò nel momento stesso in cui, nel resto del mondo, eccetto che nell’impero comunista, prendeva avvio un gigantesco movimento di decolonizzazione;
  1. Sanno che perdere l’“Olocausto” significa perdere lo scudo e la spada d’Israele nonché un portentoso strumento di ricatto politico e finanziario; Yad Vashem che, a Gerusalemme, è al contempo un memoriale e un museo dell’”Olocausto” (in corso di ampliamento), è per loro ancor più prezioso del Muro del Pianto; qualsiasi personalità straniera di passaggio in Israele per trattative politiche o finanziarie è costretta, innanzi tutto, a visitare questo museo degli orrori per uscirne impregnata di un senso di colpa che la renderà più malleabile; talvolta, sono dispensati da questa visita i rappresentanti di rare nazioni alle quali gli ebrei e i sionisti non possono comunque rimproverare una partecipazione attiva o passiva al preteso “Olocausto”; è istruttivo allora notare che i responsabili israeliani si lamentano della difficoltà di condurre delle trattative con dei partner che, in via preliminare, non hanno potuto essere messi in condizione di farlo;
  1. Sono consci del fatto che “were the Holocaust shown to be a hoax, the number one weapon in Israel’s propaganda armoury disappears[sic]” (“se fosse dimostrato che l’Olocausto è una mistificazione, l’arma numero uno dell’arsenale propagandistico d’Israele sparirebbe [sic]” N.d.T.) (lettera di W. D. Rubinstein, professore all’Università Deakin di Melbourne, in “Nation Review”, 21 giugno 1979, p. 639);
  1. Sanno troppo bene “the fact that, if the Holocaust can be shown to be a Zionist myth, the strongest of all weapons in Israel’s propaganda armoury collapses” (“che se si può dimostrare che l’Olocausto è un mito sionista, crolla la più potente di tutte le armi dell’arsenale propagandistico d’Israele” (il medesimo docente in “The Left, The Right and the Jews”, “Quadrant”, settembre 1979, p. 27);
  2. Possono essere colti da un senso di vertigine al pensiero che il grande pubblico apprenderebbe finalmente che summa d’iniquità rappresentano tutte quelle epurazioni, tutti quei processi nello stile della buffonata giudiziaria di Norimberga, quelle confessioni estorte a proposito di camere a gas o camion a gas che, in realtà, non sono mai esistiti o ancora quelle confessioni, riguardo a inverosimili massacri imputati agli Einsatzgruppen, quella caccia ai vegliardi fin dentro gli ospizi per la terza età, a più di mezzo secolo dai loro pretesi crimini, quell’indottrinamento di tutte le menti, dalla scuola all’università, nei libri, sui giornali, alla radio, alla televisione, in tutti i continenti, la mattina, a mezzogiorno, il pomeriggio, la sera, la notte; il tutto corredato da una feroce repressione, contro i revisionisti, esercitata soprattutto in una Germania sottomessa ai suoi vincitori (e con la quale non è stato ancora firmato nessun trattato di pace); questi revisionisti hanno commesso il crimine di reclamare semplicemente il diritto di verificare o delle accuse impressionanti mancanti di prove, o delle testimonianze accettate come veritiere pur in assenza di interrogatorio e controinterrogatorio sulla materialità dei fatti addotti e senza nemmeno una perizia preliminare della presunta arma di un presunto crimine;
  1. In sintesi, l’incubo di questi ebrei e di questi sionisti sarebbe di dover sentir ripetere ai quattro venti una certa frase di sessanta parole pronunciata più di vent’anni fa sulle onde di Radio Europe I, dinanzi al giornalista Yvan Levaï, da un revisionista francese, discepolo di Paul Rassinier. Ecco quella frase che, all’epoca, mi avrebbe procurato, a Parigi, una pesante condanna giudiziaria:

Le pretese camere a gas hitleriane e il preteso genocidio degli ebrei formano una sola e medesima menzogna storica, che ha permesso una gigantesca frode politico-finanziaria, i cui principali beneficiari sono lo Stato d’Israele e il sionismo internazionale e le cui principali vittime sono il popolo tedesco – ma non i suoi dirigenti – e l’intero popolo palestinese. 

  1. Come condurre la lotta per uscire da questo silenzio
  1. Nel novembre 2000, ho soggiornato per una settimana in Iran su invito del Centro studi strategici, ufficio direttamente collegato con il presidente della Repubblica Mohammed Khatami. Non ho avuto contatti con la stampa, la radio o la televisione del paese ma solo con alcune personalità bene informate sul revisionismo. Non ho tenuto conferenze pubbliche ma ho beneficiato di un colloquio di alcune ore con il responsabile dell’Institute for Scientific Political Research, professor Soroush-Nejad, e alcuni suoi colleghi. Anche in questo caso mi ha colpito la conoscenza che certi Iraniani potevano avere del revisionismo. Nel frattempo, aveva fatto la sua apparizione in Iran il revisionista svizzero Jürgen Graf e mi rallegro del fatto che qualche mese dopo, grazie alla sua intensa attività e grazie ai contatti che, dal canto mio, dopo il mio rientro in Francia, avevo mantenuto con le autorità iraniane, il Teheran Times” iniziava la pubblicazione di una serie di articoli revisionisti il primo dei quali doveva portare proprio la firma del professor Soroush-Nejad;
  1. In cambio delle informazioni che ho potuto fornirgli, ho chiesto al mio principale interlocutore in seno a tale ufficio perché, fino ad allora, il revisionismo non sembrava aver trovato grande eco nei paesi arabo-musulmani. Mi ha gentilmente elencato otto ragioni. Alla luce di tutti i recenti avvenimenti della Palestina, alcune di queste ragioni, in fin dei conti, sono parse a entrambi obsolete; altre ci sono parse attribuibili a dei malintesi; altre, infine, conservano purtroppo tutta la loro forza e, in particolare, la ragione seguente: nei paesi occidentali, che dovrebbero trascinare con l’esempio prima di lamentarsi del silenzio degli altri, resta irrisorio il numero dei revisionisti che si sono risolutamente impegnati con il proprio nome, senza riserve, né manovre sapienti, sulla via aperta da P. Rassinier;
  1. Ho tentato di spiegare che questo deplorevole stato di cose è in larga parte dovuto a ciò che bisogna proprio chiamare la paura (metus Judeorum) che incute ovunque l’ebreo piagnucoloso e minaccioso (e che già Cicerone percepiva nell’anno 59 a. C.). Io ho aggiunto che ogni responsabile politico attuale, foss’egli iraniano, libanese, cinese o giapponese non poteva che provare questa paura nei confronti di una comunità talmente ricca e potente nel mondo occidentale che i suoi dirigenti sono in grado, in qualsiasi momento, di invadere i media con le loro doglianze e recriminazioni per esigere, alla fin fine, il boicottaggio economico della nazione colpevole i cui dirigenti non farebbero abbastanza rapidamente atto di “pentimento” o resisterebbero alle richieste ebraiche.
  1. Allora ho illustrato le ragioni per le quali, a ragion veduta, i dirigenti degli Stati musulmani dovevano, nondimeno, uscire dal silenzio e come, secondo me, potevano farlo. Non esporrò qui tali ragioni ma riassumerò in questi termini i miei sentimenti sulla via da seguire: è opportuno che uno o più di questi dirigenti varchino il Rubicone con passo deciso e, soprattutto, senza guardarsi indietro. La mia lunga esperienza degli ebrei o dei sionisti in materia mi ha convinto che i mistificatori sono sconcertati dall’audacia di colui che osa affrontarli in piena luce. Così come si deve interrogare il falso testimone, fissandolo negli occhi, purché si possa captarne lo sguardo, così gli Edgar Bronfman, gli Elie Wiesel, i Simon Wiesenthal (gli ultimi due si odiano e si invidiano more judaico), o ancora i rabbini di Los Angeles Marvin Hier e Abraham Cooper devono essere sfidati in proporzione alle loro minacce abituali;
  1. Ho messo in guardia i miei ospiti contro la tentazione di ricorrere, fosse pure in un primo tempo, a una forma di revisionismo asettico; anche qui l’esperienza ha dimostrato che il revisionismo da pulcino bagnato porta alla sconfitta. È inoltre necessario, per rimanere su posizioni saldamente revisioniste, conoscere bene l’argomentazione fisica, chimica, documentale e storica del revisionismo. Ho ricordato loro, per esempio, che il mito delle pretese camere a gas naziste era già morto il 21 febbraio 1979 quando, sul giornale “Le Monde”, trentaquattro storici francesi si erano dimostrati incapaci di raccogliere la mia sfida circa le impossibilità tecniche di questi assurdi mattatoi chimici. Il grande pubblico ignora questo episodio come ignora la serie di sconfitte e di tracolli subiti dal 1985 (data del primo processo Zündel a Toronto) dalla maggioranza degli storici olocaustici. Sta ora ai dirigenti degli Stati musulmani portare alla luce queste notizie che sono ancora tenute nascoste;
  1. In questi paesi, degli istituti di storia, di sociologia o di studi politici dovrebbero dotarsi di una sezione specializzata nel revisionismo storico. Fondi di ricerca e archivi permetterebbero a ricercatori di tutto il mondo, cacciati dalle università, dai centri di ricerca o dalle biblioteche dei loro rispettivi paesi per le loro opinioni o le loro tendenze revisioniste, di venire a lavorare a fianco dei loro colleghi dei paesi musulmani. I vari ministeri dell’istruzione, della ricerca, della cultura, degli affari esteri e dell’informazione collaborerebbero a quest’opera di portata internazionale;
  1. Tenuto conto del fatto che i seguaci della religione dell’“Olocausto” alimentano non solo la menzogna ma anche l’odio, sarebbe opportuno fondare, a livello internazionale, un “Movimento contro l’impostura dell’‘Olocausto’ e per l’amicizia tra i popoli”;
  1. Sarebbe opportuno riequilibrare il rapporto di forza nelle relazioni internazionali invitando a una maggiore modestia la classe politica e i diplomatici delle grandi potenze che, mai avari di lezioni moralizzatrici, dovrebbero sentirsi ricordare che curvano un po’ troppo la schiena dinanzi a una mafia internazionale specializzata nella menzogna, nella truffa e nel disprezzo dei diritti umani; la sedicente comunità internazionale, che non smette d’invocare quei diritti, dovrebbe ristabilirli nel caso dei revisionisti, prima di rimproverare a dei paesi arabi o musulmani l’intolleranza e l’oscurantismo. Simili accuse potrebbero facilmente essere rivolte contro gli Stati che, non tollerando che sia rimessa in discussione una leggenda diventata storia ufficiale e protetta da leggi speciali, vietano di far luce su certi argomenti storici;
  1. Un nuovo e potente mezzo d’informazione, Internet, consente una diffusione accelerata del revisionismo (vedere, in particolare, i siti, con le sezioni in lingua araba, attribuiti a Ahmed Rami); c’è qui una possibilità per gli intellettuali arabo-musulmani, troppo influenzati dall’ideologia dominante delle università occidentali dove spesso si sono formati, di disintossicarsi dalla droga olocaustica;
  1. Tutto sommato, la viva inquietudine manifestata dai dirigenti ebrei e sionisti sia nei confronti dell’Intifada di giovani Palestinesi, che vivono nell’indigenza, che nei confronti delle attività di revisionisti sprovvisti di qualsiasi risorsa economica o finanziaria paragonabile a quelle della Grande Mafia olocaustica fa pensare alla paura ancestrale che provano sia i ricchi di fronte ai poveri che i colonizzatori davanti ai colonizzati e i padroni alla vista dei loro schiavi. I dirigenti ebrei e sionisti piagnucolano, minacciano e colpiscono. Si vedono ricchi (mai abbastanza ricchi, naturalmente), dispongono di armi di ogni sorta (quelle della forza bruta e quelle del ricatto e del racket) e sanno farsi temere da tutti i dirigenti delle nazioni più favorite; sono, in particolare, consci del fatto che i dirigenti tedeschi sono loro succubi, disposti a dare anche il sangue dei soldati tedeschi contro i nemici di Israele e pronti a rafforzare in maniera ancora più spietata la repressione del revisionismo. Eppure, ebrei e sionisti vivono nell’ossesione di dover affrontare il coraggio di quelli che non hanno più nulla da perdere nella doppia Intifada, palestinese o revisionista. I ricchi e i potenti sono furiosi al vedere che possono essere sfidati come è il caso per i Palestinesi, a mani nude con dei sassi, e, per i revisionisti, a mani nude con la sola penna.
  • Il bersaglio principale: “la magica camera a gas” (Céline)

Impariamo a mirare. Non disperdiamo i nostri sforzi. Esercitiamoci a dirigere la nostra attenzione sul centro del dispositivo dell’avversario. Ora, il centro del vasto edificio d’imposture che forma la religione dell’“Olocausto” non è altro che la menzogna di Auschwitz. E il cuore della menzogna di Auschwitz è, a sua volta, costituito dalla prodigiosa “camera a gas”. È lì che si deve mirare. Dei cartelloni branditi da manifestanti arabi o palestinesi e recanti la dicitura: “L’“Olocausto degli ebrei è una menzogna” o ancora: “I Sei Milioni sono una menzogna” preoccuperebbero certamente gli “estortori” ma queste formulazioni restano ancora troppo vaghe; sarebbero meno parlanti, meno precise e farebbero meno effetto della formula: “Le camere a gas sono una menzogna”.

Nessuno è in grado di mostrarci, a Auschwitz o altrove, un solo esemplare di questi mattatoi chimici. Nessuno riesce a descrivercene la forma esatta e il funzionamento. Non se ne trovano né vestigia, né indizi. Non un documento, non uno studio, non un disegno. Niente. Niente se non a volte delle “prove” patetiche, che si dissolvono, quali miraggi, non appena ci si avvicina e che, negli ultimi anni, gli stessi storici ebrei sono stati infine costretti a ricusare. Talvolta, come ad Auschwitz, si fa visitare ai turisti una pretesa camera a gas “ricostruita” ma gli storici, e anche le autorità del museo di Auschwitz, sanno per certo che, secondo le parole dello storico francese antirevisionista Eric Conan, “LÌ TUTTO È FALSO (“Auschwitz: la mémoire du mal”, “L’Express”, 19-25 gennaio 1995, p. 68). Ciononostante, gli ebrei sono fortunati. Si crede loro sulla parola. Quasi nessuno chiede di vedere quel prodigio tecnologico che sarebbe stata la camera a gas nazista, vero e proprio mattatoio chimico su larga scala. Immaginate che vi dicano che esiste da qualche parte un aereo capace di trasportare duemila o tremila persone in mezz’ora da Parigi a New York (secondo la vulgata sterminazionista, in una sola pretesa camera a gas, si riusciva a uccidere un’infornata di duemila o tremila ebrei in mezz’ora). Non chiedereste forse, per cominciare a crederci, che vi presentino almeno un’immagine di quello che costituirebbe un salto tecnologico come la scienza non ne ha mai conosciuti? Non siamo forse nell’era delle scienze esatte e dell’audiovisivo? Perché quest’improvvisa timidezza quando si tratta della nostra camera a gas? I divulgatori hanno gioco facile. Vi mostrano o l’equivalente del vostro garage o quello della vostra doccia e vi dicono: “Ecco il luogo dove i Tedeschi gasavano gli ebrei a gruppi di cento o mille”. E voi vi prestate fede. Vi mettono sotto gli occhi dei capelli come quelli che potreste vedere da un parrucchiere o un parruccaio e vi dichiarano, senza la minima prova, che si tratta di capelli di persone gasate. Vi propongono delle scarpe e si vi si imprime la stampigliatura: “scarpe di gasati”. Vi presentano delle fotografie di persone decedute e voi credete di vedervi delle persone uccise: Vi fanno rabbrividire alla vista dei forni crematori che pure non sono altro che banali. Esiste un mezzo molto semplice di dimostrare che ci ingannano sulla prodigiosa resa dei crematori tedeschi degli anni ’40: è quello di contrapporre, per fare un confronto, la resa attuale dei crematori più moderni delle nostre città. Io conosco anche un metodo impareggiabile di provare che non c’è possibilità che le pretese camere a gas per uccidere gli ebrei con l’acido cianidrico siano mai esistite: basta visitare oggi, come personalmente ho fatto nel 1979, la camera a gas d’esecuzione di un penitenziario americano o informarsi sulla sua natura così complicata, sulla sua struttura tanto impressionante nonché sulla procedura così drastica di una esecuzione con il gas degli anni ’40 o ’50, a Carson City (Nevada), a Baltimora (Maryland) o a Parchmann (Mississippi); proprio queste esecuzioni si effettuavano e si effettuano ancora con l’acido cianidrico. Sono tanto pericolose per gli esecutori che la messa a morte di una sola persona richiede delle drastiche precauzioni e una tecnologia tra le più complicate (a prescindere dalle recenti sofisticazioni tecnologiche dovute al progresso scientifico o a una sovrabbondanza di precauzioni).

Ascoltiamo in proposito… Céline!

Io considero Céline (1894-1961 il più alto genio della letteratura francese del XX secolo. La sua forza, la sua finezza, la sua lungimiranza erano incomparabili. Purtroppo, la sua esistenza fu soprattutto un calvario. Dal giorno in cui, nel 1937, incominciò a manifestare il timore di vedere divampare la seconda guerra mondiale, suggellò la propria rovina. Era stato gravemente ferito durante la prima guerra mondiale e paventava con tutto se stesso una nuova carneficina. Gli ebrei, dal canto loro, non ci sentivano da quell’orecchio. La maggior parte dei loro responsabili reclamava a gran voce una crociata contro Hitler. Céline aveva dunque stigmatizzato questa smania di castigare la Germania e questo frenetico bellicismo. Aveva annunciato la catastrofe, poi, la Gran Bretagna e la Francia prendevano l’iniziativa di entrare in guerra contro la Germania, in seguito non aveva potuto far altro che constatare che “bella rogna” si era procurata la Francia. Nel 1944, sfuggì per poco a una giustizia sommaria animata, in particolare, dagli ebrei e dai comunisti. Si rifugiò nella Germania agonizzante degli ultimi mesi di guerra, poi in Danimarca, paese in cui fu sbattuto in prigione nelle peggiori condizioni, per quasi un anno e mezzo. Quando finì col rientrare in Francia, fu per conoscervi un’esistenza di reprobo. La Francia è un paese perticolarmente crudele per i suoi grandi scrittori. Fatto sta che oggi, a sessant’anni dalla loro pubbliczione avvenuta rispettivamente nel 1937, 1938 e 1941, tre delle sue opere, satire magistrali aborrite dagli ebrei, restano di fatto vietate. Nessuna legge ne impedisce in linea di massima la riedizione ma tutti sanno che le organizzazioni ebraiche inizierebbero la danza dello scalpo se mai la vedova di Céline, tuttora vivente, autorizzasse queste pubblicazioni. Tale è la legge, non scritta, del Talmud moderno.

Si conoscono ben altri esempi di questo privilegio ebraico; è così, per prendere il caso di un docente universitario colpevole di aver scritto un giorno una frase revisionista, che Bernard Notin, dal 1990, non è più stato autorizzato a tenere lezione nella sua università di Lione. Nessuna legge, nessuna decisione giudiziaria o amministrativa è intervenuta per notificargli tale divieto. Oggi, nella stessa università, è il turno del professor Jean-Paul Allard di essere marchiato con il segno di Caino per aver presieduto, più di quindici anni fa, la discussione di una tesi di laurea revisionista. Contro di lui è stata organizzata una vera e propria caccia all’uomo. Un tempo, quando si faceva loro notare che perseguono i revisionisti come selvaggina, gli ebrei protestavano. Osavano pretendere che non era così. Ma i tempi sono cambiati. Gli ebrei non si nascondono più e rivendicano fieramente le proprie azioni violente. Il 1° marzo 2001, il settimanale “Actualité juive” intitolava un articolo: “È aperta la caccia a Jean-Paul Allard”, e il contenuto equivaleva a un appello all’omicidio. Le organizzazioni ebraiche intendono cinicamente farsi temere e, è il caso di dirlo, oggi più che mai, “metus regnat Judaeorum”. Nel caso di J.-P. Allard sembra che stiano riuscendo a raggiungere il loro scopo: di recente, il professore, estenuato da questa caccia all’uomo, è stato ricoverato per un grave ictus e ha perso l’uso normale della parola. Gli ebrei e i loro compari hanno, peraltro, ottenuto l’estromissione dal Centro nazionale della ricerca scientifica (CNRS) di un sociologo e storico di valore, il revisionista Serge Thion, e ciò in base a una procedura tanto arbitraria che il più arrogante degli imprenditori non potrebbe utilizzarla nei confronti del più modesto dipendente senza rischiare una pesante condanna giudiziaria. E non parlo del calvario sopportato dai revisionisti che si sono battuti a viso aperto, il più ammirevole dei quali per intelligenza e cuore è, a mio avviso, il Tedesco Ernst Zündel. Stabilito in Canada da quarant’anni, ha sferrato una lotta titanica contro la lobby internazionale dell‘Olocausto” e affinché fosse resa giustizia alla sua patria diffamata. Senza di lui il revisionismo avrebbe continuato a vivere in penombra. Ma non si può risalire il Niagara nuotando e, di fronte a una onnipotente coalizione di forze politiche, finanziarie e giudiziarie, recentemente ha dovuto lasciare il Canada, nonostante delle vittorie clamorose. Nel suo nuovo esilio, continua con l’aiuto della consorte germano-americana, Ingrid Rimland, a lottare per una giusta causa.

Se, alla fine di questa conferenza, ho appena evocato l’alta figura dell’autore di Viaggio al termine della notte, è che Céline, con uno dei suoi colpi di genio a cui era avvezzo, cinque anni dopo la guerra, aveva già sospettato che il preteso sterminio fisico degli ebrei non poteva essere che una fandonia, un imbroglio. Occorre dire che a partire dal 1945, frotte di ebrei provenienti dall’Europa centrale, che tutti credevano fossero stati sterminati, avevano incominciato a dilagare in Francia, se non in altri paesi occidentali o in Palestina; in Francia erano venuti ad aggiungersi a una comunità ebraica che per i quattro quinti era stata risparmiata dalla deportazione. Nel novembre 1950, sotto l’effetto della lettura della prima grande opera di P. Rassinier, La menzogna di Ulisse, Céline scriveva all’amico Albert Paraz:

Rassinier è certamente un uomo onesto […]. Il suo libro, ammirevole, farà grande scalpore – –  COMUNQUE tende a far dubitare della magica camera a gas! Non è poco! Un intero mondo di odi sarà costretto a strillare all’Iconoclasta! La camera a gas era tutto! Permetteva TUTTO!

Ammiriamo, a nostra volta, questa lucida e folgorante visione delle cose, tanto premonitrice.

Sì, la camera a gas è veramente “magica”. Come ho detto, in fin dei conti, nessuno si è rivelato capace di mostrarcene una o anche di disegnarcene una in risposta alla mia sfida: “Show me or draw me a NAZI gas chamber!” (“Mostratemi o disegnatemi una camera a gas nazista!” N.d.T.). Nessuno è stato in grado di spiegarne il funzionamento. Nessuno è riuscito a dirci come, a Auschwitz, i Tedeschi avrebbero potuto versare dei granuli di Zyklon B, potente insetticida a base di acido cianidrico, attraverso dei pretesi orifizi posizionati sul tetto della “camera a gas”, visto che questa pretesa camera a gas (in realtà, una cella frigorifera per la conservazione dei cadaveri in attesa di cremazione), come un occhio attento può notare tra le rovine, non ha mai avuto neanche uno di questi orifizi. Il che mi ha permesso di concludere con quattro parole: “No holes, no ‘Holocaust’!” (“Niente buchi, niente ‘Olocausto’!” N.d.T.). nessuno è stato in grado di rivelarci per quale arcano motivo delle squadre di ebrei sarebbero riuscite, su ordine dei Tedeschi, a penetrare impunemente, quasi subito dopo il preteso massacro, in questa vasta camera a gas per prelevarne a gran fatica, giorno dopo giorno, delle infornate di parecchie miglia di cadaveri aggrovigliati. L’acido cianidrico è difficile da ventilare e l’aerazione richiede molto tempo; aderisce all’intonaco, ai mattoni, al cemento, al legno, alla vernice e soprattutto, alla pelle e alle mucose; non si può dunque entrare così, muoversi e lavorare in un mare di veleno mortale e toccare dei corpi che, impregnati di tale veleno, avrebbero contaminato coloro che li maneggiavano. Gli specialisti della disinfezione (o disinfestazione) sanno inoltre che, in una simile atmosfera, occorre imperativamente evitare lo sforzo fisico perché, quando si compie un tale sforzo, la respirazione si accelera e il filtro della maschera antigas lascerà allora passare il veleno che ucciderà colui che la porta. Infine, nessuno è stato in grado di farci sapere come questi stupefacenti ebrei del Sonderkommando, becchini dei loro correligionari, potevano compiere simili sforzi prolungati mangiando e fumando (versione della “confessione” attribuita a Rudolf Höss, il più famoso dei comandanti succedutisi a Auschwitz); poiché, se abbiamo capito bene, non portavano nemmeno la maschera antigas e fumavano nei vapori nocivi di un gas esplosivo. Come il fiore immaginario sognato dal poeta Mallarmé che lo chiamava “l’assente da ogni mazzo”, la camera a gas nazista, capace di prodezze deliranti, è “l’assente da ogni realtà”, resta davvero magica, ma di una magia sinistra e disgustosa; non è altro che un incubo che abita nel cervello ebraico mentre, dal canto loro, i sommi sacerdoti della religione dell’“Olocausto” fanno sì che questa macabra chimera venga a infestare il mondo per l’eternità e a mantenerlo in stato di smarrimento; il fatto è che ne va del loro mezzo di sussistenza.

Céline ha avuto ancora ragione di aggiungere a proposito della magica camera a gas che “non è poco!”. In realtà, come dice più avanti, è tutto e permette TUTTO. In sua assenza, crollerebbe  completamente l’edificio olocaustico. Lo stesso Pierre Vidal-Naquet, triste messaggero della lotta antirevisionista, l’ha riconosciuto quando, constatando che certi suoi amici, stanchi di lottare, erano davvero tentati di cancellare queste ingombranti camere a gas, li ha scongiurati di non far nulla e ha lanciato questo grido d’allarme: “Mi perdonino, ma ciò equivale a capitolare in aperta campagna” (“Le Secret partagé”, “Le Nouvel Observateur”, 21 settembre 1984, p. 80). La camera a gas nazista sarebbe la sola prova tangibile – ma, di fatto, introvabile – di uno sterminio fisico che non è mai avvenuto e che per giunta hanno la sfacciataggine di descriverci come concertato, pianificato, di natura mostruosamente industriale e con una resa degna di vere e proprie “officine della morte”.

Céline ha avuto, infine, ragione di concludere: “Un intero mondo di odi sarà costretto a strillare all’Iconoclasta!” Da parte mia, aggiungerò, a più di mezzo secolo da quel pronostico o da quella profezia, che questi strilli, che si fanno sempre più assordanti, non sono cessati un istante contro quegli iconoclasti che sono i revisionisti. Questi ultimi sono oggi battezzati, con un termine barbaro, “negazionisti” mentre in realtà non negano niente ma, al termine delle loro ricerche, affermano che noi viviamo tutti sotto l’influenza di una gigantesca impostura storica.

Conclusioni

I revisionisti infestano i giorni e le notti dei guardiani delle legge ebraica e di quelli che Céline – ancora lui – chiamava “Il trust dei martiri”. Contro i revisionisti che cercano di proteggersi, il suddetto trust si mostra spietato. Spinge al suicidio, ferisce, sfigura, uccide oppure costringe all’esilio. Incendia le case e brucia i libri. Fa appello alla polizia, ai giudici, al carcere. Spreme, estorce e ruba. Ci scatena contro i cani della stampa, ci caccia dal nostro posto di lavoro, ci copre di ingiurie. Dal canto nostro, nessuno di noi, per quanto ne so io, ha mai colpito uno di questi eterni giustizieri. Il 25 aprile 1995, a Monaco, un revisionista tedesco ha finito col darsi la morte immolandosi con il fuoco. Intendeva protestare contro “il Niagara di menzogne” riversate sul suo popolo. Secondo i termini del suo ultimo messaggio, sperava che la fiamma che avrebbe consumato il suo corpo sarebbe arsa come un faro per le generazioni a venire. La polizia tedesca ha proceduto all’arresto delle persone venute a deporre un mazzo di fiori proprio dove si era appena immolato Reinhold Elstner. Il 13 maggio 2000, il Tedesco Werner Pfeiffenberger, professore di scienze politiche di 58 anni, ha finito col suicidarsi al termine di una lunga persecuzione giudiziaria innescata da un giornalista ebreo di Vienna, Karl Pfeifer, che, in uno scritto del docente, aveva rilevato dei rigurgiti di revisionismo (chiamato naturalmente neo-nazismo).

I revisionisti vivono un dramma e i Palestinesi una tragedia. In particolare, numerosi bambini palestinesi sono destinati a una triste sorte. I loro assassini israeliani sono, su modesta scala, i degni successori della US Air Force, il corpo di battaglia che, in tutta la crudele storia umana, ha contribuito ad ammazzare, mutilare, sfigurare o affamare più bambini, prima in Germania e altrove in Europa, poi in Giappone, in Vietnam e altrove in Asia, in seguito nel Vicino e Medio Oriente e, infine, in molte altre parti del mondo dove, ogni volta, il soldato americano riceve dai suoi superiori la missione di dare la caccia a un nuovo “Hitler” e di impedire un nuovo “genocidio”.

Possano i dirigenti degli Stati musulmani sentire gli appelli dei Palestinesi e dei revisionisti! Le nostre sofferenze si assomigliano e la nostra Intifada è identica.

Possano quei dirigenti uscire finalmente dal silenzio sulla più grande impostura dei tempi moderni: quella dell’“Olocausto”!

Possano, in particolare, denunciare la menzogna delle pretese camere a gas naziste! Dopo tutto, dalla parte dei vincitori della seconda guerra mondiale, non uno dei grandi dirigenti alleati, nonostante il loro odio per la Germania hitleriana, si è abbassato  fino al punto di pretendere che queste camere a gas erano esistite. Nei loro discorsi, durante questa guerra, come nelle loro memorie dopo la guerra, né Churchill, né de Gaulle, né Eisenhower hanno menzionato, nemmeno per un istante, questo orrore demoniaco che ben capivano che era stata laboriosamente diffuso durante la guerra dalle officine della propaganda. È passato già un quarto di secolo da quando, in un’opera magistrale, l’Americano Arthur Robert Butz chiamava la grande impostura “The Hoax of the Twentieth Century”, la mistificazione del XX secolo. Questo secolo è passato e la sua mistificazione, dal canto suo, deve sparire nelle pattumiere della storia.

La tragedia dei Palestinesi lo esige, il dramma dei revisionisti lo impone e la causa di tutta l’umanità ce ne fa obbligo storico, politico e morale allo stesso tempo: la Grande Impostura deve essere denunciata. È un fermento di odio e di guerra. È interesse di tutti che i dirigenti degli Stati musulmani escano finalmente dal loro silenzio sull’impostura dell’“Olocausto”.

22 marzo 2001

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