UN FALSO TESTIMONE OCULARE DELLO STERMINIO A BELZEC[1]
Di Theodore J. O’Keefe, 2000
Il Museo del memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti sfrutta consapevolmente una truffa risaputa per diffondere la teoria del “genocidio”. Pochi dei presunti testimoni oculari dei campi nazisti di “sterminio” sono stati influenti, e onorati, come Jan Karski. Karski, che lavorò come spia e come corriere nella resistenza polacca durante la seconda guerra mondiale, informò personalmente leader americani quali il giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter su ciò che aveva visto in incognito a Belzec, dove si dice che centinaia di migliaia di ebrei siano stati sterminati.
Ma due recenti biografi di Karski – con il consenso di Karski – hanno scritto che questo rinomato “testimone oculare” fece le sue osservazioni sullo sterminio di Belzec – non a Belzec, ma piuttosto a Izbica Lubelska, una città distante quaranta miglia da Belzec che non è mai stata considerata un campo della morte.
I revisionisti, che sfidano la storia canonica dell’Olocausto, vengono spesso messi di fronte all’argomento che il numero – apparentemente – schiacciante dei testimoni e delle testimonianze è una prova delle camere a gas. La risposta dei revisionisti è stata quella di esaminare le testimonianze di questi testimoni una per una, iniziando da quelle più credibili che i sostenitori della teoria delle camere a gas possono offrire. Se c’è mai stata una star tra i testimoni dell’Olocausto questa sembra essere Jan Karski e, in effetti, per cinquant’anni è stato Jan Karski.
Nato Jan Kozielewski nella Polonia governata dalla Russia nel 1914, Karski ebbe una brillante carriera come soldato e diplomatico al servizio dei polacchi, e, dopo la guerra, come professore all’università di Georgetown. Egli intraprese diverse missioni pericolose per il governo polacco in esilio nella Polonia occupata dai tedeschi, venne catturato, torturato e si rese protagonista di una fuga audace. Per quanto non fosse ebreo, Karski lavorò per pubblicizzare la versione ortodossa dell’Olocausto usando la sua autorità di “testimone oculare” segreto dei presunti crimini nazisti a Belzec, nel ghetto di Varsavia, e altrove per più di cinquant’anni.
Nel 1943 informò il Presidente Roosevelt e il giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter in persona su quello che sosteneva di aver visto con i propri occhi. Poco dopo, scrisse un libro sulle sue missioni di guerra, inclusa la sua presunta visita a Belzec: The Story of a Secret State (Boston: Houghton Mifflin, 1944). Questo libro vendette negli Stati Uniti oltre 400.000 copie. Nel 1982, Karski venne nominato Giusto tra le nazioni dallo Yad Vashem, l’agenzia israeliana che commemora l’Olocausto. Tre anni dopo, prese parte a Shoah, il film di nove ore sull’Olocausto del regista francese Claude Lanzmann (in cui Karski inscenò una drammatica ed emotiva intervista – ma senza dire nulla sulla sua pregressa affermazione di aver visitato il “campo di sterminio” di Belzec).
Nel 1991, Karski venne premiato con la Eisenhower Liberation Medal dal US Holocaust Memorial Council. Il 12 maggio 1994, ricevette la cittadinanza onoraria di Israele. Sebbene ultra-ottuagenario, Karski continuò a diffondere la propria testimonianza olocaustica con gli auspici sia del Museo del memoriale dell’Olocausto che dell’Anti-Defamation League. L’ex funzionario dell’USHMM Michael Berenbaum ha riassunto in modo stravagante il significato del suo eroe:
“Jan Karski ha riscattato l’immagine dell’umanità precisamente nel momento in cui con il suo stesso essere, con le sue azioni eroiche, egli accusa l’immagine dell’umanità” (Karski, p. 257).
Per oltre mezzo secolo, il centro della testimonianza olocaustica di Karski e del suo monito al mondo è stata la sua presunta infiltrazione nel campo tedesco di Belzec, nella Polonia del 1942. Nel suo libro Story of a Secret State, Karski fu molto preciso sull’ubicazione del “campo della morte” nazista in cui sostiene di essere entrato travestito da guardiano:
“Pochi giorni dopo la mia seconda visita al ghetto di Varsavia, il leader del Bund predispose un’opportunità per me di vedere il campo della morte ebraico. Il campo era ubicato vicino alla città di Belzec circa cento miglia ad est di Varsavia ed era ben conosciuto in tutta la Polonia dai racconti di orrore che circolavano su di esso. Il rapporto comune era che ogni ebreo che lo raggiungeva, senza eccezioni, veniva messo a morte. Il leader del Bund non era mai stato lì ma aveva le informazioni più dettagliate sulle sue operazioni” (p. 339).
“Arrivammo a Belzec poco dopo mezzogiorno e andammo direttamente nel luogo dove l’estone stava aspettando per darmi la sua uniforme. Era una piccola drogheria che era appartenuta ad un ebreo (p. 340). Il campo distava un miglio e mezzo dalla drogheria (p. 341). Si trovava su una grande pianura piatta e occupava circa un miglio quadrato” (p. 344).
Questo è quello che Jan Karski ha scritto, ed è quello che gli operativi del Museo dell’Olocausto degli Stati Uniti hanno pubblicamente approvato in modo tale che il pubblico continua a berlo. Tuttavia una recente biografia elogiativa – Karski: How One Man Tried to Stop the Holocaust (New York: John Wiley & Sons, 1994) di E. Thomas Wood e Stanislaw Jankowski – contraddice il resoconto pubblicato da Karski nel 1944 di una visita al campo di Belzec nel 1942. Gli autori ci assicurano che essi hanno ricevuto la piena collaborazione di Karski: “Non solo il professor Karski ci ha aperto il suo archivio personale, ha sostenuto molti giorni pieni di domande e ha rivisto con minuziosa attenzione il manoscritto per la precisione” (p. XV). Ecco il loro verdetto sull’affermazione di Karski di aver visitato il “campo della morte”:
“Il villaggio che Jan raggiunse non era Belzec, né Jan pensava che lo fosse quando era lì. Quando egli parlò inizialmente di questa missione dopo aver raggiunto Londra tre mesi dopo, egli descrisse il sito come un “punto di smistamento” ubicato a circa cinquanta chilometri dalla città di Belzec, sebbene nella stessa dichiarazione egli si sia riferito all’ubicazione del campo come “alla periferia di Belzec” (Il vero campo di sterminio di Belzec si trovava nella città di Belzec, a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria). In un rapporto dell’agosto del 1943, Karski dapprima pose il campo a dieci miglia, poi dodici chilometri fuori da Belzec. Quando iniziò a raccontare pubblicamente la sua storia nel 1944, la città che aveva raggiunto era diventata la stessa Belzec”.
Così l’autorità di un altro autoproclamato testimone oculare dei “campi di sterminio”, e uno dei pochissimi ad aver visto Belzec, si è rivelata una bancarotta. Gli orrori che Karski disse al mondo di aver visto a Belzec – fucilazioni di massa di ebrei e l’ammassamento di migliaia di essi in vagoni coperti di calce viva, dopo di che costoro venivano inviati agonizzanti a morire in un sito distante ottanta miglia (“I miei informatori mi hanno descritto minutamente l’intero viaggio”, dice Karski in Secret State, p. 350) – si rivelano essere le fantasie di un propagandista professionista, sfruttato senza vergogna dal Museo dell’Olocausto degli Stati Uniti.
Per qualche tempo, non solo gli studiosi revisionisti ma anche certi difensori accademici della storia dell’Olocausto hanno gettato dubbi sulla testimonianza di Belzec di Karski. Così Raul Hilberg, autore dell’opera standard La distruzione degli ebrei europei ha detto di Karski: “Non lo metterei in una nota a piè di pagina del mio libro” (intervista con Ernie Meyer, Jerusalem Post, 28 giugno 1986, p. 9). Questo fu 13 anni fa – ma il Museo dell’Olocausto, intento a zittire i revisionisti con la “verità”, ancora lo utilizza. I tentativi imbarazzanti dei biografi di Karski di trasferire le presunte atrocità che Karski sostiene di aver visto a Belzec in un oscuro “punto di smistamento” a Izbica Lubelska servono solo a confermare il commento di Hilberg.
Più di uno studioso che ha esaminato le attività di Karski per conto del governo polacco in esilio durante la seconda guerra mondiale ha notato la sua elasticità con la verità messa al servizio della propaganda del suo governo. Così David Engel ha notato come Karski abbia aiutato a riscrivere le scoperte che egli aveva fatto sulle tensioni polacco-ebraiche nella Polonia orientale occupata dai sovietici.
Engel nota che Karski originariamente scoprì che i polacchi provavano risentimento nei confronti degli ebrei, molti dei quali si erano schierati con i sovietici, e così i polacchi erano vulnerabili alla propaganda antisemita nazista. Ma il rapporto pubblicato dal governo polacco in esilio presentava i polacchi come profondamente solidali con gli ebrei e disgustati dal trattamento nazista degli ebrei (David Engel, “An Early Account of Polish Jewry under Nazi and Soviet Occupation Presented to the Polish Government in Exile, February 1940,” Jewish Social Studies, Vol. XLV, no. 1, inverno 1983).
Qualunque fossero gli scopi di Karski durante la seconda guerra mondiale, viene ora ammesso da lui e dai suoi biografi che egli aveva mentito sull’essere riuscito ad entrare a Belzec e ad aver osservato il presunto sterminio dell’ebraismo polacco. Ma l’ammissione che Karski è un bugiardo e un calunniatore emerge nella biografia in modo distaccato, e non ha provocato nessun osservabile scalpore nell’industria dell’Olocausto. Karski continua a essere tirato in ballo dal Museo memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti, dall’ADL e da altri gruppi non solo come un testimone oculare che “prova” la storia standard, ma come una grande autorità morale.
Nel frattempo, studiosi e ricercatori revisionisti come Robert Faurisson, David Irving, Wilhelm Staeglich, Fred Leuchter e molti altri, che hanno messo in pericolo la carriera, la libertà personale e la vita accertando i fatti dell’Olocausto, subiscono la costante calunnia del mondo accademico e dei media. È tempo che il pluridecorato, venditore di fumo e falso Jan Karski (e soprattutto quelle istituzioni che sfruttano la vecchia truffa) venga sottoposto ad un rigoroso standard di accuratezza, moralità e verità su quello che egli vide – o non vide – a Belzec, o dovunque lui e i suoi sostenitori affermino che Karski si sia trovato.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://vho.org/tr/2000/1/tr01karski.html
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