UNA CARTOLINA DA TREBLINKA[1]
Di Thomas Dalton, 2012
Quello che segue è un resoconto veritiero della mia visita personale al campo. Certi nomi e certe date sono stati cambiati per proteggere la privacy. Tutte le foto sono mie.
Mezza estate, Varsavia. Parzialmente soleggiata, mite – una bella giornata per visitare un campo della morte. Avevo appena finito una conferenza accademica nei suburbi di Varsavia, e avevo un giorno libero (un martedì) prima di spostarmi per il mio successivo impegno europeo. Tutto ciò fu molto fortunato, poiché sapevo che il campo di concentramento di Treblinka distava solo 100 chilometri e avevo fortemente desiderato di vederlo di persona. I miei contatti locali polacchi erano soccorrevoli, seppur leggermente sconcertati dal motivo per cui un professore americano di discipline classiche si disturbava a visitare un luogo “dove non c’è nulla da vedere”. Un collega polacco, Lech, acconsentì a viaggiare con me. Era sprovvisto di automobile, così noleggiammo un taxi – ad un prezzo ragionevole, considerata la distanza – e alle 9:30 eravamo in viaggio per Treblinka.
Non stavamo arrivando come semplici turisti. Un altro collega aveva in precedenza contattato il campo e aveva parlato con il direttore del museo, Edward Kopowka. Egli accettò di incontrarci, di mostrarci il piccolo museo, e poi di camminare per il campo insieme a noi per due ore intere. Un bene per noi, ma forse non per lui.
Viaggiammo senza intoppi, arrivando a Malkinia prima delle 10:30, e solo a 10 chilometri di distanza dal campo. Ma ecco un problema: il ponte sul fiume Bug era fuori uso. Dovemmo procedere verso il punto di attraversamento successivo a Leg Nurski, a circa 20 chilometri di distanza, e poi riprendere il nostro tragitto verso il campo. Questo contrattempo fece perdere la testa al nostro autista di Varsavia, e con una segnaletica praticamente inesistente, sapevo che eravamo in una situazione fastidiosa. Così attraversammo il fiume, procedemmo verso Kosow Lacki, ci fermammo due o tre volte per valutare le direzioni, oltrepassammo Wolka Okraglik, e arrivammo all’ingresso del campo – dopo 45 minuti extra. Ma noi eravamo lì. Proseguimmo – niente cancello, niente vigilanza, niente biglietto d’ingresso – e parcheggiammo. Solo due altre macchine nel parcheggio, un sollievo; nessuna Disneyland come ad Auschwitz, qui.
Lech ed io ci incamminammo verso il piccolo museo (foto1). Edward era nel suo ufficio, pronto a incontrarci. Era un tipo ben curato, probabilmente nei suoi tardi anni 40, e sembrava felice di vederci. Lech ci introdusse (in polacco), ed io immediatamente appresi che Edward “non parlava inglese”. Lech avrebbe dovuto tradurre avanti e indietro: un certo disturbo, pensai, e strano per qualcuno il cui lavoro è interagire con molti visitatori. Ma qui ero io lo straniero, così non potevo lamentarmi.
Dentro il museo vedemmo una grande mappa sul muro, che mostrava sia la zona del campo riservata al lavoro (Treblinka I) che la zona dello “sterminio”, Treblinka II – vedi la foto 2. In quel momento ci trovavamo nell’estrema destra, vicino al parcheggio “P”, con il museo segnato come “M”.
Edward poi ci presentò – con Lech che pazientemente traduceva – un modello su larga scala del campo di sterminio (foto 3). Edward spiegò il processo di sterminio standard: l’arrivo dei vagoni, la separazione per sesso, il percorso nel “tubo” alle camere a gas, e poi la gasazione – con il gas del motore diesel. Non essendo il vostro tipico turista ignorante, chiesi se il gas diesel aveva abbastanza monossido di carbonio per uccidere in maniera efficiente masse di persone. La risposta di Edward: i tedeschi usavano “combustibile sporco”! Questa per me fu una novità; non conosco nessun testimone o perpetratore che descrisse l’uso deliberato di combustibile diesel contaminato per accrescere il contenuto di CO, né so se tutto ciò potesse funzionare. Ma fu una risposta interessante. A quanto pare costui sapeva che il normale gas diesel non può uccidere masse di persone, così la storia dovette essere modificata. Ma chi sono io per sfidare il direttore del museo di Treblinka?
Edward poi spiegò che nel breve – 11 mesi – periodo di attività del campo vennero uccise 912.000 persone. In realtà questa è esattamente la cifra presentata da Manfred Burba nel suo libro tedesco del 1995, Treblinka. Perché Edward abbia preferito questa cifra rispetto alle stime di altri “esperti” – incluse le 750.000 di van Pelt, le 800.000 di Hilberg, le 870.000 di Arad o le 974.000 di Benz – egli non lo ha detto.
Delle 912.000, le prime 700.000 vennero inizialmente sepolte in fosse comuni, egli disse, poi in seguito vennero esumate per la cremazione in pire all’aria aperta – la solita storia, ma piena di problemi. È significativo che egli non discusse la tempistica, così chiesi (sapendo già la risposta) se tutti i 700.000 vennero inizialmente sepolti, prima dell’esumazione. Egli esitò, ma infine rispose “sì”. Così chiesi: dove esattamente questi 700.000 corpi vennero sepolti? Egli indicò alcune zone segnate come “fosse comuni” sul modello. E quanto spazio richiesero? Molto, egli disse. Quanto erano profonde le fosse?, chiesi. Otto metri – circa 26 piedi, un buco davvero impressionante. Non c’è qui un problema di falda freatica, chiesi, essendo il terreno così vicino al fiume Bug? Nessun problema, Edward replicò: la falda freatica è profonda circa 10 metri. Nessun problema!
Poi procedemmo a camminare verso il campo di sterminio. Uno può notare velocemente che molte cose riguardanti il campo sono “simboliche”: l’entrata simbolica del campo (foto 4), il recinto simbolico (foto 5), le simboliche rotaie ferroviarie (foto 6). Necessarie, Edward sostiene, perché i nazisti cancellarono ogni traccia del campo originale. Quanto è comodo tutto ciò, pensai tra me e me.
Lungo il tragitto passammo davanti ad una grande mappa dell’area del campo (foto 7). Sfortunatamente, essa somigliava assai poco alla disposizione memoriale attuale, e fu praticamente impossibile identificare i vari punti “simbolici” che avevamo visto. Ma forse in questo modo ci sono meno domande difficili a cui rispondere.
Abbastanza presto arrivammo al sentiero (il “tubo” simbolico) che porta al famoso monumento centrale: un monolite simile ad un fungo ubicato sul luogo delle presunte camere a gas (foto 8). Eccoci nel cuore di Treblinka, il sito del più orrendo tasso di uccisioni dell’intero Olocausto: delle 912.000 vittime, 837.000 vennero uccise in soli sei mesi del 1942, secondo il conteggio “ufficiale” del campo (e di Burba). (Le rimanenti 75.000 morirono nel 1943). Tutto ciò equivale a quasi 140.000 al mese, 35.000 alla settimana, o 5.000 al giorno, ogni giorno, con la pioggia o con il sole, per sei mesi. Nemmeno Auschwitz durante il presunto massacro ungherese poteva competere con questo tasso.
Sorprendentemente, gasare così tante persone ogni giorno non era un problema, secondo la visione tradizionale. Treblinka ebbe, per la maggior parte della sua esistenza, 10 camere con una capacità combinata di quasi 40.000 gasazioni al giorno; 5.000 sarebbero state una passeggiata. Lo smaltimento dei cadaveri, d’altro canto, sarebbe stato un incubo. Seppellire le prime 700.000 vittime avrebbe richiesto fosse sbalorditivamente gigantesche. Se accettiamo la tesi di Arad di quattro fosse, ognuna di esse avrebbe dovuto avere una superficie di metri 15×120, e una profondità di 8 metri (come Edward sostiene), per ospitare tutti questi corpi. Combinata, questa è un’area equivalente a 1.4 volte un campo di football professionistico americano, e profonda 26 piedi. (E dove misero tutta questa terra, a proposito?). Nello smaltire i cadaveri per nove mesi, i tedeschi poi, si sostiene, coprirono l’intera rovina – giusto in tempo per cambiare idea e decidere di bruciarli tutti.
Così essi scoprirono le fosse, dragarono 700.000 cadaveri in putrefazione, e li trascinarono su … una fossa ardente. Per bruciarli tutti. Fino alla pura cenere, fino a niente. All’aria aperta. Usando tronchi di legno. Chiesi a Edward dove è avvenuto questo miracolo. Egli ci accompagnò alla fossa “simbolica” dove i tedeschi avevano costruito griglie di binari ferroviari sopraelevati, su cui essi potevano ammassare i cadaveri – vedi le foto 9 e 10. La legna veniva posizionata sotto, accesa, e i corpi venivano praticamente vaporizzati. E non solo essi riesumarono i 700.000 cadaveri ma dovettero anche smaltire il carico in corso di 212.000 cadaveri “freschi” che venivano tuttora gasati – ad un tasso di 5.000 al giorno. Tutti i 912.000 cadaveri, ridotti in cenere, nello stesso luogo in cui noi ci trovavamo. Ed essi fecero tutto ciò in sole 16 settimane, secondo gli esperti – più di 8.000 al giorno, tutti i giorni. Questi tedeschi erano davvero brillanti, ed efficienti.
Dove sono le ceneri? Chiesi. Stanno ancora nel terreno, disse Edward. Egli si abbassò, grattò sulla terra con le mani e disse: “Eccone un po’”. Mi porse 5 o 6 frammenti di qualcosa che certamente sembrava cenere: due erano neri (cenere di legno?), uno era grigio, e due bianchi – frammenti di ossa, forse? Rimasi molto impressionato: qui nella mia mano si trovavano i probabili resti di effettive vittime di Treblinka. Riposi i frammenti di cenere nella mia tasca. Li ho ancora.
Durante la nostra discussione emerse la questione degli scavi. Secondo la versione tradizionale, le ceneri vennero riseppellite nelle fosse che avevano ospitato i cadaveri; anche oggi, vi sarebbero letteralmente tonnellate di esse rimanenti. Ma come sappiamo, non vi sono stati tentativi di scoprire le prove di fosse comuni, o di misurare o quantificare le ceneri o i resti umani – non un solo tentativo, in quasi 70 anni. È quasi come se le autorità non volessero confermare la verità. Forse esse sospettavano, in fondo alle loro menti, che la versione convenzionale degli eventi non avrebbe tenuto. Così, fui molto sorpreso nell’apprendere che un team dell’Università di Birmingham (UK) si stava preparando a condurre uno studio non invasivo delle fosse comuni, usando un georadar. Mi ripromisi di seguire i progressi di questo sviluppo davvero interessante.
Essendo il nostro tempo quasi finito, tornammo al museo. Lungo la strada ci fermammo presso un chiosco negozio di souvenir e comprammo due piccoli libri: un album fotografico intitolato Treblinka: The Stones Are Silent (2007) e una sintesi storica, Treblinka II – The Death Camp (2007). Quest’ultima reiterava che “circa 900.000” ebrei vennero uccisi lì, ma includeva una statistica sorprendente: “un terzo dei deportati erano morti o sul punto di morire quando essi raggiunsero [il campo]” (p. 9). Questo fu uno shock: qualcosa come 200.000 o 250.000 delle vittime di Treblinka erano morte all’arrivo? Non mi risulta una stima del genere in qualunque opera accademica convenzionale; essa altererebbe in maniera significativa l’intera storia.
Il libro menziona anche le 10 camere a gas, ognuna con una superficie di 16 metri quadri, che potevano gasare collettivamente “fino a 5.000 vittime alla volta” (p. 13). Così: 500 vittime per stanza, che equivale a 31 persone per metro quadrato. Evidentemente gli autori ritengono il lettore incapace di fare calcoli di semplice matematica – altrimenti non proporrebbero queste ovvie insensatezze.
Questa fu la mia giornata a Treblinka. Tornati al parcheggio, il nostro tassista ci stava aspettando – risvegliatosi da un sonnellino. Il suo tempo avrebbe potuto essere meglio speso. Tornando a Varsavia prendemmo la “strada diretta”, vale a dire che ci perdemmo altre tre volte. Infine, due ore dopo, arrivammo al nostro hotel. Una gran giornata. Non me la sarei persa per nulla al mondo.
Post scriptum: per molto tempo dopo la mia visita, non seppi nulla di uno studio di Birmingham sul campo utilizzando il georadar. Poi, con mio sbalordimento, solo una settimana fa, è uscito un titolo rovente sul giornale inglese The Daily Mail: “Archeologa inglese distrugge l’argomento dei negazionisti dell’Olocausto con il ritrovamento di fosse comuni nel campo nazista della morte di Treblinka” (18 gennaio 2012). Il breve articolo recita, in parte:
Un’archeologa forense inglese ha portato alla luce nuove prove per provare l’esistenza di fosse comuni nel campo della morte nazista di Treblinka – buttando all’aria le tesi dei negazionisti dell’Olocausto che dicono che esso fu semplicemente un campo di transito. … L’archeologa forense Caroline Sturdy Colls ha ora intrapreso il primo tentativo scientifico coordinato di ubicare le fosse.
Colls viene citata nel modo seguente: “Ho identificato un certo numero di fosse sotterrate usando tecniche geofisiche. Esse hanno dimensioni considerevoli, e sono molto profonde, una in particolare misura metri 26×17”. Questa è la totalità dei dettagli che ci vengono presentati – un segno molto forte che Colls in realtà non ha “distrutto” gli argomenti dei revisionisti. La fossa presumibilmente più grande misura metri 26×17, o 442 metri quadrati. Ricordate sopra dove ho osservato che la storia ortodossa richiede un’area totale di circa 7.200 metri quadrati. Così una grande fossa di Colls è circa il 6% dell’area necessaria. Ella ritiene di aver trovato “un certo numero” di fosse, ma a meno che questo equivalga a 30 o 40, ella ha mancato di molto l’obbiettivo. Più probabilmente, naturalmente, il “numero” è molto piccolo, altrimenti ci avrebbero fornito i dettagli.
Aggiungerei inoltre che, secondo la tesi revisionista, molte migliaia di persone morirono davvero nei campi, per varie cause. Un campo di transito con un elevato numero [di persone] avrebbe ricevuto migliaia di morti in arrivo (ricordate la predetta statistica di “un terzo”), e molti di più sarebbero morti di malattia e, sì, di esecuzioni (probabilmente mediante pallottole) al campo. Così è naturale aspettarsi che nel campo esistano delle fosse comuni. Ma il numero prevedibile delle vittime è molto più piccolo – forse il 10% di quello presunto. Così potremmo aspettarci un volume totale delle fosse che va dai 10.000 ai 12.000 metri cubi, piuttosto dei 120.000 richiesti dal resoconto convenzionale.
E allora quale volume Colls ha trovato? La Radio 4 della BBC ha condotto una trasmissione esclusiva di 30 minuti su questo evento, il 23 gennaio. Ella ha parlato diverse volte, ma ha offerto molti pochi dettagli aggiuntivi. Ella ha confermato che “un certo numero” di fosse sono state trovate, con la più grande menzionata come sopra. Ma naturalmente abbiamo parimenti bisogno di sapere quanto profonde esse sono. Secondo il predetto articolo ella avrebbe detto che sono “molto profonde”. Ma risulta che il suo sistema di rilevazione del terreno ad alta tecnologia non può misurare la profondità! Tutto quello che lei sa è che le fosse sono “profonde almeno quattro metri” – a quanto pare il limite di misurazione del suo sistema. Incredibile. Questo è un caso o di cieca incompetenza o di deliberata negligenza. Ogni serio tentativo di capire le fosse avrebbe ovviamente registrato la loro profondità, almeno fino agli 8 metri asseriti da Edward Kopowka. Allo stato attuale, e per tutto quello che ella sa, le fosse potrebbero essere in realtà non più profonde di 4 metri – nel qual caso, la sua grande fossa di metri “26×17” equivale a un mero 3% della grandezza richiesta.
Colls ha aggiunto un fatto ulteriore durante la trasmissione radiofonica: l’”area principale” delle fosse, proprio dietro le presunte camere a gas, ha mostrato prove di “cinque fosse disposte in fila”. E tutte e cinque, presumibilmente, sono molto più piccole di quella più grande. Tutto ciò suggerisce ancora che ella ha trovato solo una frazione della necessaria area delle fosse. La storia convenzionale, e i 700.000 cadaveri sepolti, potrebbe davvero essere fatalmente minata da quest’ultima scoperta. Ma non lo sapremo fino a quando vedremo i dettagli del suo rapporto – ammesso che esso veda la luce.
Senza i dettagli, è difficile trarre solide conclusioni. Ma tutti i segni vanno in una direzione. Essi implicano che, come a Belzec, lo studio del terreno fornisce molto più sostegno alla tesi revisionista che a quella tradizionale. Le cose sono migliorate; la verità è a portata di mano.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/3171/?lang=en
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