Il giornale israeliano ynetnews.com ha riferito l’altro ieri la notizia della pubblicazione, su un libro di testo belga destinato a scolari quindicenni, di una vignetta che lo stesso ynetnews ha giudicato “antisemita”. La vignetta è la seguente:
In essa si vede un ebreo che dorme in una vasca da bagno ricolma d’acqua mentre a fianco viene mostrata una palestinese di fronte a un secchio del tutto privo d’acqua. La didascalia recita:
“Amnesty International: Israele nega ai palestinesi l’accesso all’acqua … mentre i coloni si godono prati lussureggianti e piscine!”.
Commenta ynetnews: “Il capitolo (del libro) in cui la caricatura è apparsa riguarda una presunta ineguaglianza nella distribuzione di acqua tra gli israeliani e i palestinesi che risiedono nella West Bank”.
La pubblicazione della vignetta ha suscitato le ire di Yifa Segal, una lobbista israeliana direttrice dell’International Legal Forum – organizzazione il cui scopo primario è quello di contrastare il movimento BDS, proprio quello impegnato a denunciare l’apartheid israeliano – la quale ha scritto al ministro belga della Pubblica Istruzione reclamando la cancellazione immediata della vignetta, giudicata da Segal, oltre che “antisemita”, anche “immorale” e “illegale”.
In realtà, la situazione raffigurata nella vignetta è la pura verità: l’ineguaglianza tra israeliani e palestinesi non è “presunta”, la privazione dell’acqua di cui soffrono i palestinesi è uno degli aspetti più odiosi dell’occupazione.
Per rendersene conto, basta leggere Limes, una fonte certo non sospetta di antisemitismo:
“Il rapporto della Banca Mondiale sulle restrizioni nello sviluppo della rete acquifera palestinese è più che eloquente. L’acqua è poca, sporca e costa tanto; l’azienda idrica israeliana (Mekort) tiene sotto scacco i territori della striscia di Gaza e della Cisgiordania”.
E ancora:
“Attraversando in macchina l’intero stato di Israele non si hanno visioni di oasi nel deserto, anzi è facile notare come i coloni israeliani utilizzano l’acqua per riempire piscine ed innaffiare prati. In Cisgiordania e nella Striscia di Gaza il panorama cambia: pochi prati da tenere in vita, la scarsa acqua che arriva è utilizzata soprattutto dai contadini che vorrebbero far fiorire la stessa terra che Israele ha già fatto germogliare. Nelle zone di confine, le case dei palestinesi sono facilmente riconoscibili ad occhio nudo anche dai meno esperti. Sono caratterizzate dai cassoni posti sopra i loro tetti con i quali si raccoglie l’acqua piovana. Infatti, se un insediamento israeliano, non appena viene completato, riceve immediatamente elettricità e acqua, le case della Cisgiordania non sono collegate alla stessa rete idrica, per questo di acqua, quella di cui hanno sete un po’ tutti, non solo i contadini, ma anche mamme e bambini, se ne vede poca.
“Nel suo rapporto la Banca Mondiale denuncia tali disparità, mostrando che la quantità di acqua consumata da Israele è quattro volte superiore a quella utilizzata dai palestinesi. Con il passare del tempo Israele si è pian piano appropriato di tutte le risorse idriche e per assurdo i palestinesi sono costretti ad acquistare la propria acqua dalla Mekort. Questa azienda idrica israeliana anno dopo anno non si limita solo a dirottare verso lo Stato ebraico la maggior parte delle riserve di acqua, lasciando solo alcune gocce per la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, ma fa pagare a quei palestinesi che si vogliono accaparrare queste ultime gocce prezzi salatissimi e maggiorati rispetto a quelli vigenti per gli israeliani”.
E non c’è solo il problema dell’acqua: a Gaza, la marina israeliana spara sui pescatori. Lo ha fatto anche il mese scorso, uccidendo un pescatore e ferendone due.
Come riferisce Infopal, “La marina e l’artiglieria israeliana aprono il fuoco sui pescatori palestinesi e sugli agricoltori che lavorano nelle fattorie lungo il confine, violando palesemente l’accordo di cessate il fuoco che è stato siglato dopo l’offensiva del 2014 sull’enclave di Gaza”. Inoltre, l’attuale zona di pesca, di sei miglia nautiche, è drasticamente inferiore alla 20 miglia nautiche assegnate ai pescatori palestinesi negli accordi di Oslo del 1993.
E degli ulivi palestinesi distrutti dai coloni ne vogliamo parlare? Tre anni fa, nel 2015, i coloni hanno distrutto 1.200 ulivi palestinesi vicino a Hebron.
Da quest’ultima fonte, apprendiamo che sono circa 800.000 gli alberi di ulivo sradicati nella Cisgiordania occupata a partire dal 1967.
Il caso della vignetta belga è esemplare del modus operandi degli israeliani e delle loro lobby. Ormai, dire la verità è proibito. Se la dici, sei “antisemita”. E ti può capitare di essere fatto oggetto di dossier spazzatura, come è accaduto ad una meritoria attivista pro-Palestina come Samantha Comizzoli. Dico dossier spazzatura, perché ciò che emerge dal detto opuscolo, a parte le maldicenze e le calunnie, è che certi sedicenti “compagni” hanno assunto la mansione di una vera polizia del pensiero, che passa il tempo a monitorare (e a spiare) quello che uno scrive sui social. E tutto ciò, con la benedizione di un giornale (un tempo) anarchico come “Umanità Nova”.
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