Dal giudice Guido Salvini ricevo e volentieri pubblico questo articolo commemorativo sull’ispettore di Polizia Michele Cacioppo, recentemente scomparso. Ricordo che oggi è uscito sull’Espresso un articolo di Andrea Sceresini sulla morte, avvenuta un anno fa, di Ivano Toniolo, esponente di spicco del gruppo ordinovista implicato nella strage di piazza Fontana:
12 dicembre 2016: in ricordo di Michele Cacioppo l’ispettore che studiava le carte sulle stragi e della storia dell’agenda dimenticata dalla Procura di Milano
Proprio pochi giorni prima dell’anniversario della strage di piazza Fontana è scomparso Roma in un banale incidente stradale l’Ispettore di Polizia in congedo Michele Cacioppo. Anche chi ha continuato a seguire in questi anni la storia delle indagini sulle stragi e sui progetti eversivi probabilmente non sa chi fosse e che ruolo vi abbia avuto l’ispettore Cacioppo.
Non era un ispettore qualsiasi. Si era occupato a Roma per la Direzione Centrale Antiterrorismo dei casi più importanti da Ustica all’Aginter Press al “Noto Servizio” la struttura occulta che aveva fatto fuggire Kappler dall’Ospedale Celio. Sapeva tutto degli ordinovisti veneti. Da ultimo seguiva gli sviluppi del caso Moro
Da molti anni lavorava come consulente soprattutto per la Procura di Brescia. Aveva una capacità straordinaria di studiare, collegare e analizzare i volantini, i documenti strategici, le relazioni delle fonti informative, i reperti e ogni altra cosa sequestrata ai gruppi eversivi.
L’esito favorevole dell’ultima sentenza sulla strage di Brescia con la condanna degli ordinovisti Maggi e Tramonte deve molto anche a lui, che non saliva alle luci della ribalta, e al suo lavoro
Ho già scritto più volte dell’insipienza con cui invece la Procura di Borrelli e di d’Ambrosio aveva trattato l’indagine di piazza Fontana affidandola a sostituti alle prime armi che non avevano mai fatto un’indagine in materia di terrorismo. Una dei quali per di più pensava di saper fare tutto da sola e dedicava molto del suo tempo a mandare esposti al CSM contro chi scrive, che allora era il Giudice Istruttore, con l’obiettivo di levarlo di mezzo.
Ne è la prova quello che non è stato fatto, l’approccio superficiale e come conseguenza la carta d’accusa decisiva dimenticata in un armadio. Allora la Procura Milano era in concorrenza con tutti persino sul personale di polizia giudiziaria cui affidarsi per le indagini: mai e poi mai chi era considerato vicino al Giudice Istruttore o alla Procura di Brescia. Se l’ispettore Cacioppo fosse stato chiamato invece a svolgere il lavoro in cui era esperto oggi molto probabilmente non ricorderemo il 12 dicembre come un giorno di giustizia mancata.
Provo a raccontare una storia che, oggi 12 dicembre, non deve essere dimenticata.
Sull’esito del processo di Appello aveva fatto la differenza, era stato uno dei punti centrali della assoluzione, il mancato ritrovamento del casolare isolato nelle campagne di Paese, vicino a Treviso, di cui collaboratore Carlo Digilio aveva a lungo parlato. Quel casolare era utilizzato come “santabarbara” dagli ordinovisti veneti tra cui l’affittuario Ventura, Freda, Pozzan e i mestrini Zorzi e appunto Digilio per custodirvi armi ed esplosivi e in esso, con l’aiuto dello stesso Digilio, erano stati approntati molti degli ordigni usati per la campagna di attentati del 1969. L’urbanizzazione e il quasi completo mutamento dei luoghi dopo trent’anni ne avevano impedito la localizzazione.
Vi era stata, anche in vista del dibattimento, una spedizione organizzata, con un certo sfoggio di pubblicità, dal sostituto Grazia Pradella alla Corte di Assise di Catanzaro. Non aveva ovviamente avvisato il Giudice Istruttore e utilizzava una polizia giudiziaria diversa da quella che con il Giudice Istruttore aveva seguito la maggior parte delle indagini, secondo la tecnica del “chi arriva prima” e una logica non di collaborazione ma di concorrenza, sempre poco fruttuosa in indagini così complesse. A Catanzaro bisognava acquisire le carte che già nel primo processo potevano rappresentare un importante riscontro al racconto di Digilio. La visita a Catanzaro aveva portato alla fotocopiatura di molti atti e tra essi l’agenda di Giovanni Ventura dell’anno 1969 in cui erano annotati tutti i suoi contatti, i suoi appuntamenti, i luoghi che frequentava.
Ma una volta arrivate le fotocopie a Milano, erano rimaste ferme nei faldoni della Procura, non ne era stato fatto uno studio metodico da parte di un esperto nell’analisi di quel tipo di documenti
Le conseguenze di questo errore sono risultate ancor più catastrofiche di quanto si potesse immaginare.
Anni dopo, nel 2011, a processo di piazza Fontana ormai concluso, la Procura di Brescia, con l’impegno che non le è mai venuto meno, aveva deciso di consultare a Milano gli atti fotocopiati a Catanzaro che potessero essere utili come conferma a Digilio anche per le indagini su piazza della Loggia. Aveva mandato a Milano il suo consulente Michele Cacioppo. Subito non era sfuggita all’Ispettore la presenza in un faldone, il faldone 89, dell’agenda di Ventura. Era un faldone, come mi aveva raccontato Cacioppo ancora pochi mesi fa, immacolato, del tutto intonso, pacchetti di fogli come appena usciti dalla fotocopiatrice. Nessuno dopo l’acquisizione a Catanzaro li aveva più consultati e studiati. Erano rimasti in sonno su uno scaffale.
Era bastato all’Ispettore sfogliare l’agenda per trovarvi il nome di Digilio accanto quello di Ventura proprio nelle date del 1969 indicate dal collaboratore, il nome della località di Paese e soprattutto, accanto ad essi, il nome di un avvocato di Treviso, l’avv. Sbaiz
Non si era fermato qui. Aveva rintracciato e sentito l’avvocato Sbaiz e avuto da lui conferma che negli anni ‘60 si era occupato di stipulare il contratto di affitto di un casolare a Paese tra il proprietario, suo cliente, e Giovanni Ventura. Aveva quindi rintracciato il proprietario. Questi aveva confermato tutto e addirittura aveva narrato che si era molto preoccupato di quanto succedeva in quei locali. Aveva fatto di nascosto una visita al vecchio rustico che aveva affittato e si era accorto che Ventura non lo usava per depositarvi attrezzi e sementi: c’erano invece delle armi. Aveva quindi cercato di allontanare il pericoloso inquilino. E ha indicato dove era ancora il casolare, da tempo ristrutturato. L’Ispettore lo ha trovato e fotografato.
Il casolare è in via della Libertà 1 a Paese. Ha un cancello rosso bordato di rampicanti, è circondato da un muretto. Intorno nel 1969 c’erano solo campi coltivati. Le fotografie sono agli atti della Procura di Brescia.
Una conferma di pietre e di mattoni che, se la Procura di Milano avesse portato nell’aula di Assise, avrebbe cambiato l’esito dell’ultimo processo di piazza Fontana nei confronti di Maggi e Zorzi. Infatti nella sentenza di assoluzione della corte d’Assise d’Appello si legge che per affermare la colpevolezza degli ordinovisti era mancato solo il riscontro decisivo al racconto di Digilio costituito dal ritrovamento del casolare di Paese di cui aveva parlato. La base logistica che avrebbe costituito, secondo la sentenza, anche il dato mancante, la prova del fatto che la cellula padovana e la cellula mestrina fossero in sinergia operativa già prima della strage. Ed infatti, ma la prova è arrivata solo nel 2011, grazie ai colleghi di Brescia e all’Ispettore Cacioppo, purtroppo a partita chiusa, a Paese maneggiavano gli esplosivi i padovani Ventura e Pozzan e i mestrini Zorzi e Digilio
Avevo preannunziato poco tempo fa all’Ispettore che avrei raccontato questa storia e la scoperta che lui aveva fatto in un libro a cui sto lavorando sull’intera vicenda di piazza Fontana. Un libro che parla senza autocensure anche degli errori, della logica di “concorrenza”, degli atteggiamenti presuntuosi della Procura di Milano. Con la conseguenza di portare il processo all’ esito che conosciamo.
L’Ispettore ne è stato contento. Non potrà leggere quel libro ma questo ricordo è un sentito omaggio a quello che lui, lavorando in silenzio, ha fatto.
Guido Salvini
già Giudice Istruttore dell’indagine su piazza Fontana
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