Convenzione del Partito Democratico (quello a denominazione
di origine controllata, non le imitazioni nostrane) si è conclusa con la
scontata consacrazione della candidatura di Hillary Clinton, e, soprattutto,
con il previsto calo
di brache da parte di Bernie Sanders, il candidato danneggiato dalle frodi
della dirigenza del partito a favore della Clinton. Sanders ha lanciato un
appello all’unità del partito attorno alla candidatura Clinton ed ha
giustificato la propria sottomissione con la necessità di fronteggiare il
pericolo rappresentato dal candidato repubblicano, il “bullo” Donald Trump.
D’altra parte, visti gli intrighi perpetrati nei confronti di Sanders, la
stessa candidatura di Trump si espone al sospetto di costituire soltanto
un’ulteriore mistificazione a favore della Clinton, contrapponendole l’unico
candidato disponibile sulla piazza che sia più impresentabile di lei. Il
risultato è che non solo si premia la Clinton per aver barato, ma addirittura la si
santifica come se fosse la nuova Giovanna d’Arco chiamata a salvare il mondo
dalla minaccia Trump.
Ai sostenitori di Sanders rimane anche un altro dubbio, forse più inquietante:
visto che Sanders ha rivelato alla fine di non essere un vero candidato
anti-establishment, che bisogno c’era di farlo fuori con dei trucchi? Ne
potrebbe venir fuori una sorta di paradosso: a volte imbrogliare è necessario
perché non si capisca che imbrogliare non era davvero necessario, cioè che un
candidato vale l’altro, perché tanto non è mica il presidente a comandare.
rovesciare la vicenda delle frodi a proprio favore, accusando Putin di essersi inserito
con le sue spie nel sistema informatico del Partito Democratico. Ammesso che
fosse vero – e probabilmente non lo è -, la filosofia della Clinton consiste
evidentemente nel considerare colpevole non chi commette le frodi, ma chi aiuta
a scoprirle. Quando qualcuno ha accusato la CIA di aver confezionato in funzione anti-Putin i
“Panama Papers”, cioè il dossier sui conti nelle società offshore, nessuno dei
media occidentali ha ritenuto di considerare le accuse contro la CIA più rilevanti di quelle
contro Putin, come invece sta accadendo adesso per le presunte intromissioni
russe nel sistema del Partito Democratico. Tra l’altro nei “Panama Papers”
Putin non è mai nominato, perciò i media sono arrivati a lui per proprietà
transitiva, dato che vi erano i nomi di magnati russi. Cosa ti può fare l’amore
per la verità. Per screditare Putin forse sarebbe stato più attendibile
ricordare più spesso che egli ha ricevuto la cittadinanza di quella entità
extra-territoriale che è la City
londinese, cioè la suprema lavanderia del capitale.
le società offshore, dato che un
“rispettabile” Stato americano come il Delaware è per l’appunto un paradiso
fiscale che ha adattato la propria legislazione in funzione delle società
offshore. Paradisi fiscali non sono soltanto sperdute isole dei Caraibi o
loschi emirati arabi, ma Paesi di serie A. Viene quasi il sospetto che tra le
intenzioni recondite della pubblicazione dei “Panama Papers” vi fosse quello di
screditare un paradiso fiscale ormai sgamato come Panama per accreditare nuove
lavanderie del capitale più titolate e protette come il Delaware.
Lavare/riciclare il denaro costituisce attualmente una delle attività principali,
poiché nella mobilità i capitali si ripuliscono e si rigenerano. Non si tratta
solo di coprire il denaro di provenienza illecita, ma anche di provenienza
lecita. Ad esempio, la
Banca Centrale Europea sta concedendo alle banche europee prestiti
considerevoli a tassi di interesse zero, con l’unica condizione che i fondi
vengano impiegati per aprire credito alle imprese locali.
Per aggirare questo vincolo ed esportare il denaro appena ricevuto, le banche
non devono fare altro che prestare quel denaro a società con sede in Italia ma
che a loro volta siano azioniste di società offshore, dato che nessuna
legislazione lo vieta. In tal modo si perde ogni traccia della fonte originaria
dei soldi. L’offshore non serve solo a ripulire il denaro del narcotraffico e
ad eludere il fisco, ma anche a celare una delle massime vergogne del
capitalismo, cioè che il capitale ha la sua origine nella spremitura del
contribuente, cioè nei finanziamenti che gli Stati elargiscono alle imprese ed
alle banche magari col pretesto di “salvarle”. Dopo le centinaia di miliardi
elargiti direttamente dagli Stati, o tramite quella finzione che è il MES o
Fondo “Salva-Stati” (in realtà salva-banche), le banche sono ancora in crisi.
Le banche italiane sono più nel mirino di altre, ma la tempesta finanziaria
sembra non salvare nessuno.
In nome della mobilità dei capitali si sta assistendo ad un suicidio politico
degli Stati. Sino a qualche decennio fa l’esportazione dei capitali era un
reato penale, mentre oggi gli Stati, attraverso i fondi europei, finanziano
apertamente l’esportazione dei capitali. In altri termini, il lavoratore paga
le tasse per finanziare la delocalizzazione dell’impresa di cui è dipendente,
cioè finanzia il proprio licenziamento. Come è potuto accadere? Il problema è
che lo Stato non esiste: in parte è una superstizione, in parte è un’astrazione
giuridica, ma soprattutto è uno pseudonimo delle lobby finanziarie.
sembrano oggi patire l’eccesso di mobilità dei capitali, tanto che stanno
cedendo l’iniziativa a quelle nuove
creature mostruose (sviluppatesi proprio in funzione del lavaggio dei
capitali) che sono gli “hedge fund”, risultati al centro della speculazione che
oggi colpisce i titoli bancari. Dato che in inglese “hedge” significa siepe,
verrebbe da dire: “il buio oltre la siepe”.
La scelta di abolire qualsiasi ostacolo alla circolazione dei capitali è stata
spacciata come un incentivo allo sviluppo, mentre al contrario si è risolta in
una cronica depressione dell’economia reale a vantaggio di una speculazione
finanziaria sempre più distruttiva e caotica. Per rimettere ordine nella
finanza occorrerebbe rilanciare l’economia reale, un risultato che si può
raggiungere soltanto limitando la mobilità dei capitali e consentendo
investimenti pubblici. In altre parole, sarebbe necessario lasciare che il
denaro pubblico rimanga tale, senza essere “lavato”. Ma da quest’orecchio
l’oligarchia statunitense non ci sente, poiché una ripresa dell’economia
mondiale comporterebbe un ulteriore sviluppo dei cosiddetti “BRICS”, ed in
particolare della Russia. Gli Stati Uniti oggi rappresentano solo un quinto
dell’economia mondiale e non intendono scendere al di sotto di questa soglia di
garanzia per la loro posizione dominante. Secondo settori dell’oligarchia
finanziaria statunitense il caos finanziario dovrebbe quindi trovare il suo
sbocco “naturale” in una guerra contro la Russia. Non sorprende
perciò che si punti sulla Clinton, non perché sarà lei a decidere, ma perché con
il suo look nevrastenico potrà abituare l’opinione pubblica all’idea di una
guerra mondiale.
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