La nuova ondata di omicidi commessi dalle polizie locali negli USA e
la recente strage di poliziotti a Dallas hanno dato il via alla consueta
serie di dotte dissertazioni, tra le quali si è distinta quella di
Gianni Riotta a Rainews24. Riotta, da noto esperto (?) di cose
americane, ci ha spiegato che la maggior parte dei reati è commessa da
persone di colore ed è quindi ovvio che sia di colore anche la
maggioranza degli uccisi dalla polizia. Ma il quotidiano britannico “The
Guardian” ci fa sapere che negli USA la media dei caduti per mano della
polizia è di circa
mille all’anno,
ed il numero di uccisi nel 2016 è già di circa seicento (cifre da far
impallidire il Daesh). La maggioranza degli uccisi è certamente di
colore, ma la questione riguarda ogni etnia, e potrebbe anche darsi che
l’omicidio di bianchi faccia meno notizia perché i casi non potrebbero
essere catalogati e banalizzati nella categoria del tradizionale
razzismo americano.
La realtà sotto gli occhi di tutti è che negli USA bande di criminali
stanno usando la divisa come copertura e si disputano il territorio con
le altre gang. Gli omicidi non servono solo ad eliminare e terrorizzare i
concorrenti nei traffici illeciti, ma costituiscono anche un modo per
suscitare rivolte in cui far largo impiego dei mezzi militari forniti
alle polizie locali dopo l’11 settembre. In tal modo dei territori
vengono occupati e controllati da quelle gang che possono avvalersi
dell’impunità poliziesca. Dovunque questa
impunità
si rende inattaccabile (e in Italia non siamo da meno, visto ciò che è
accaduto dopo il massacro della Diaz), la polizia tende essa stessa a
costituire il maggior problema di ordine pubblico.
Le opposizioni sembrano non porsi il problema di cosa stiano diventando
le polizie: sempre meno meri apparati repressivi, sempre più organi di
provocazione e di destabilizzazione. In Italia assistiamo da tempo al
fenomeno delle
“Carabinieri Productions”,
cioè video prodotti in funzione della diffusione mediatica, tutti tesi a
fomentare l’odio di categoria, con tanto di gag, ovviamente ambientate a
Napoli, un palcoscenico dove ogni azzardo dell’immaginazione può essere
tranquillamente offerto alla credulità dell’opinione pubblica.
Che il male sia spesso costituito dalla cura, è stato ancora una volta
dimostrato dal vertice della NATO di Varsavia concluso qualche giorno
fa, nel quale pare si siano scontrate le divergenti visioni della
Polonia e dei Paesi Baltici da un parte e quelle dell’Italia e della
Francia dall’altra. Polonia e Paesi Baltici sarebbero preoccupati della
minaccia russa, forse dimenticando che il colpo di Stato nazista in
Ucraina l’aveva organizzato la NATO. Che la Russia si riprendesse la
Crimea era nell’ordine delle cose, visto che si tratta di una penisola
strategica per il controllo del Mar Nero; ma appare piuttosto
improbabile che la stessa Russia sia in grado di affrontare nuovamente i
costi proibitivi di un impero nell’Europa dell’Est, nella quale
preferisce clienti che paghino il suo gas, piuttosto che sudditi che
consumino a sbafo come nella vecchia Unione Sovietica.
Tra l’altro la Storia è più complicata di come ci viene presentata dalla
propaganda. Se è vero che i Paesi Baltici furono annessi illegalmente
all’Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale, è anche vero che
il principale Paese Baltico, cioè la Lituania, era stato aggredito dalla
Polonia negli anni dopo la prima guerra mondiale, e che la stessa
Polonia in quel periodo combatté anche guerre per dispute di confine con
la Cecoslovacchia e l’Ucraina. Il velleitario imperialismo polacco
degli anni ‘20 e ‘30 fu uno dei fattori scatenanti della
destabilizzazione europea, e non si può escludere che l’attuale
protagonismo polacco sia dovuto più a mire espansionistiche delle sue
oligarchie che ad effettivi timori circa le intenzioni della Russia.
Per quanto riguarda Italia e Francia, vi è anche nei loro confronti il
legittimo sospetto che vi siano interessi coloniali ben precisi
nell’enfatizzare la minaccia dell’espansionismo islamico a Sud.
L’aggressivo colonialismo francese in Africa costituisce uno di quei
dati di fatto su cui i media glissano in continuazione, mentre dal canto
suo il governo italiano vorrebbe ristabilire il suo primato economico
in Libia, magari con una patente NATO a fare da garanzia nei confronti
di altre aggressioni anglo-francesi contro gli interessi dell’ENI. In
base a testimonianze raccolte dalla Procura di Siracusa, nell’ENI si
starebbe peraltro svolgendo una lotta intestina
che avrebbe dovuto coinvolgere anche Renzi. Risulta per ora difficile
capire se si tratti di realtà o di depistaggi, ma sta di fatto che dal
2011 l’ENI è in confusione ed il suo ruolo coloniale in Africa è rimasto
zoppo.
Un altro dato di fatto è che le milizie islamiche in Libia sono
nell’ordine delle poche migliaia di effettivi e che, se non si
ristabilisce ancora un controllo da parte del governo centrale, è a
causa delle ambiguità occidentali, per cui si lascia che un Paese NATO
come la Turchia rifornisca di armi le milizie islamiche, mentre non si è
consentito al governo di Tobruk ed al generale Haftar di condurre a
termine la liquidazione di quelle milizie,
forse nel timore che dietro di loro vi sia l’Egitto. Si parla spesso
dell’atteggiamento ambiguo dell’Egitto di Al-Sisi, ma occorre chiedersi
se invece l’atteggiamento ambiguo della NATO non rischi di aprire un
fronte a Sud proprio con un Egitto sempre più costretto a diventare
filo-russo, una circostanza che avrebbe ben altra gravità che la
fittizia minaccia delle milizie islamiche .
Nella NATO attuale si scontrano interessi divergenti, ma con un
denominatore comune, l’interesse a mantenere la situazione instabile sia
ad Est che a Sud. Il vertice di Varsavia
ha anche ribadito il patto d’acciaio tra la NATO e l’Unione Europea, la
quale costituisce l’arma economica della NATO, cioè il fattore di
stagnazione mondiale che frena lo sviluppo dei BRICS e della Russia in
particolare. Come a dire che, come sempre, la vera minaccia viene da
Ovest, per la stessa NATO; infatti una cosa è fingere che oggi vi sia
una minaccia russa, altra cosa è rischiare di esasperare la situazione
ad un punto tale da provocare davvero una reazione della Russia.
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