Barbara Cloro: Lo stupro della Libia e la contemporaneità

Da Barbara Cloro ricevo e pubblico:
Lo stupro della Libia
e la contemporaneità
In Libia sta ancora consumandosi una guerra che, se è
silenziosa per quel che riguarda i mass media, che ne tacciono (salvo sfornare
false notizie sulla vita sessuale di Gheddafi) è rumorosissima per quel che
riguarda il dolore, le grida, i lamenti che provengono da quella terra
martoriata e che non trovano orecchie in questo occidente colpevole di
ingordigia capitalistica.
Succede che agli inizi di gennaio, i capi tribù del sud
della Libia decidano di unirsi per proporre un accordo con i sionisti
-principali responsabili dell’attacco del 2011 e oggi veri padroni di quel che
resta della Libia- affinché possano riorganizzarsi politicamente in una
federazione di comunità tribali, avente come statuto politico il libretto verde
di Gheddafi e i principi costituzionali della Jamahiriya, vale a dire l’assetto
fortemente socialista che preesisteva all’attacco militare, ricordiamolo
portato con false motivazioni, e all’assassinio del leader Muammar Gheddafi
stesso.
Di questo avvenimento cui doveva seguire una marcia verso
Tripoli dei delegati delle tribù per trattare con gli aguzzini, i media
italiani non ne hanno dato la minima notizia, che invece veniva propalata dai
siti libici in inglese, che però non vengono aggiornati spesso.
Dopo pochi giorni, le pagine dei giornali italiani (non so
le tv perché non possiedo l’apparecchio televisivo) pullulavano di notizie
circa le abitudini sessuali di Gheddafi che «avrebbe strappato le bambine di 12
anni alle famiglie per avere rapporti sessuali con loro». Nessun particolare in
cronaca, solo si fa riferimento a fantomatiche «testimonianze» di nessun
fondamento reale.
Ora: durante la guerra italo-UE libica sono andata sui siti
degli studenti universitari di quel paese e, sarà forse perché non pagavano
niente per studiare, scrivevano cose che lasciavano presagire chiaramente che
Gheddafi, se anche avesse voluto far l’amore con persone molto giovani, non
avrebbe avuto alcun bisogno di «strappare le ragazzine alle famiglie» per
farlo. La persona di Gheddafi veniva descritta dagli studenti libici -pressoché
in modo unanime- come una persona rispettosa delle leggi, un uomo corretto,
magnanimo, pacifico eppure con tanto carisma.
La Jamahiriya, lo ricordo, è un assetto politico dove il
potere era gestito a livello locale, vale a dire: dalla gente dislocata sul territorio
che s’intendeva modificare. Gli appalti da assegnare (non era vietata la
proprietà privata) erano completamente gestiti dalle persone che vivevano nel
territorio interessato, le quali erano regolarmente elette con frequenti
suffragi.
Insomma: la Jamahiriya era il vero esecutivo del paese,
Gheddafi gestiva solo le grandi aree energetiche e i rapporti con l’estero. Per
la politica interna, fungeva da pura rappresentanza. La sua politica consisteva
in un modello di socialismo a gestione decentrata, con la garanzia, per il
cittadino, dei diritti fondamentali, lavoro, casa, salute, studi.
Importante fu l’apporto di Gheddafi per l’Africa: aveva in
mente gli stati uniti d’africa e aveva finanziato diversi lavori importanti nel
continente, beneficiando di tasca sua cose come il satellite per rendere tutta
l’Africa indipendente dal punto di vista della comunicazione con i cellulari,
ché prima dipendeva da vodafone e dalle compagnie euro-americane.
Il suo progetto prevedeva una confederazione di stati
africani, con parlamento centrale. Stava già costruendo una banca d’africa cui
avrebbero partecipato tutti i governi del continente, a gestione statale.
Gheddafi era un grande uomo politico, con ottime idee e con
una concezione della politica dove, come per rubare le parole al «Che», «il
colore della pelle è come il colore degli occhi».
Lui l’antirazzismo l’aveva realizzato e questa fu, come
quella di Lenin, una grande rivoluzione.
Di Gheddafi han detto di tutto: un cimitero antico in riva
al mare, a Tripoli, fu spacciato dalla stampa come una fossa comune dove ci
mettevano «le migliaia di persone «uccise da Gheddafi». Il presidente a vita
della Jamahiriya veniva descritto come impazzito. Dicevano che mandasse le sue
milizie personali ad uccidere le persone ree di criticarlo casa per casa.
Dissero che il «regime» di Gheddafi fosse di un autoritarismo inaudito.
Poi però, un paio di mesi dopo l’aggressione
ONU-NATO-sionista (e il tradimento vergognoso del nostro governo) succede che
intervistino il direttore di un giornale di opposizione al regime di Gheddafi,
un giornale di Bengasi, che pubblicava tranquillamente i suoi numeri in un
paese descritto come intollerabilmente fascista.
In quest’intervista il direttore diceva che era contento,
all’inizio, che ci fossero manifestazioni di dissenso contro Gheddafi, che
c’erano sempre state, ma che adesso, sull’onda della «primavera araba» sembravano
più decise durando più a lungo. Ma poi, quando aveva visto gli aerei bombardare
le città aveva capito che quelle manifestazioni, stavolta, avevano poco di
spontaneo e che un conto sarebbe stato un affare tra Gheddafi e l’opposizione
interna, dialettica da sempre tollerata e risolta, un conto aerei esteri che
bombardano e mercenari sionisti ai confini, con chissà quali complicità, per
farceli arrivare.
Quell’uomo era visibilmente pentito, il suo giornale aveva
un po’ il ruolo che in Italia poteva avere un «Libero» all’epoca del governo Prodi:
un giornale che «diceva» opposizione e la cavalcava mediaticamente, proprio sul
principale (e unico) motivo di critica a Gheddafi stesso: l’intoccabilità della
sua carica, che oggettivamente, c’era. Ma adesso che «gli occidentali» gli
avevano portato la guerra in casa, non era affatto soddisfatto e diceva che se
fosse tornato indietro avrebbe agito e scritto diversamente.
Oggi, nella nostra mente cercano di imprimere la falsa
immagine di un Gheddafi medievale: che strappa ragazze adolescenti dalle
famiglie e le porta nel suo letto. Tra poco diffonderanno che aveva rapporti
sessuali con la nipote, così «famo er botto» come dicono a Roma.
Ebbene: sostengo che questo tipo di notizie[1]
sono di una falsità gravissima. Notizie guerrafondaie, per dar biada a schifosi
personaggi come Bernard Henri-Levy che durante la guerra libica faceva avanti
indietro tra la Libia e Parigi per dare ordini a mercenari che bruciavano
villaggi e perpetravano vere e proprie pulizie etniche, come Tawergha[2],
di cui nessuno parla più, ma che all’epoca contò 30 mila persone sparite, tra
le uccisioni e le fughe di profughi.
Oggi però, a quasi metà gennaio 2014, oltre ai pettegolezzi
sconci e inaccettabili sulla vita sessuale di Gheddafi, girano delle immagini
che si riferirebbero a libici incarcerati in veri e propri campi di
concentramento. Chi siano e da dove vengano questi poveretti (nelle foto sono
ritratte soprattutto donne) non si sa. potrebbe essere l’esito delle proposte
dei capi-tribù del sud della Libia di cui parlavamo prima. Ma nella precisione
non se ne sa nulla.
Non credete ai giornali. Questo è tutto.

Il libro della giornalista francese che ha dato la stura al gossip postumo su Gheddafi
[1] Vedi ad
esempio il pezzo
“Gheddafi
stuprava minorenni. Nelle ‘stanze segrete’ jacuzzi, film
porno e aborti”
[2] Sulla pulizia
etnica di Tawergha vedi:
LIBIA: IL
GENOCIDIO DI TAWERGHA

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