Rosario Bentivegna |
ARDEATINE: UN PASSATO
CHE AVVELENA IL PRESENTE (La Stanza di Montanelli del 26 marzo 1998)
CHE AVVELENA IL PRESENTE (La Stanza di Montanelli del 26 marzo 1998)
Caro Montanelli, A proposito
della “stanza” del 22 marzo ritengo di doverla sollecitare ad alcune
precisazioni: 1) non mi chiamo Roberto ma Rosario; 2) non ho la medaglia d’oro;
3) la prima edizione della sua (e di Cervi) “Storia della Guerra
Civile” non fu ritirata, come lei afferma, “perche’ su querela degli
attentatori di via Rasella, che noi avevamo indicato come i veri responsabili
della rappresaglia delle Ardeatine, si trovo’ un giudice disposto a ordinarne
il sequestro ecc. ecc.”. Infatti la querela fu presentata da me al
Tribunale di Milano nel 1986 ( e non 25 anni fa) non gia’ in merito all’attacco
partigiano di via Rasella, che nel libro di cui trattasi era stato comunque
presentato in modo ambiguo e scorretto, ma perche’ lei (e / o il suo coautore) vi
eravate lasciati andare a insulti grossolani nei miei confronti, falsando
platealmente la verita’ a proposito di altro episodio che con via Rasella non
aveva niente a che fare. Inoltre non fu un giudice a concludere quella
vertenza, perche’ da parte sua e del suo coautore mi fu proposta una
transazione che comportava per voi il ritiro del libro, il pagamento delle
spese da me incontrate e la pubblicazione su numerosi quotidiani e settimanali
di una rettifica, e per me il ritiro della querela. Per rinfrescarle la memoria
le accludo la copia del comunicato firmato da lei e da Cervi in
quell’occasione… Rosario Bentivegna
della “stanza” del 22 marzo ritengo di doverla sollecitare ad alcune
precisazioni: 1) non mi chiamo Roberto ma Rosario; 2) non ho la medaglia d’oro;
3) la prima edizione della sua (e di Cervi) “Storia della Guerra
Civile” non fu ritirata, come lei afferma, “perche’ su querela degli
attentatori di via Rasella, che noi avevamo indicato come i veri responsabili
della rappresaglia delle Ardeatine, si trovo’ un giudice disposto a ordinarne
il sequestro ecc. ecc.”. Infatti la querela fu presentata da me al
Tribunale di Milano nel 1986 ( e non 25 anni fa) non gia’ in merito all’attacco
partigiano di via Rasella, che nel libro di cui trattasi era stato comunque
presentato in modo ambiguo e scorretto, ma perche’ lei (e / o il suo coautore) vi
eravate lasciati andare a insulti grossolani nei miei confronti, falsando
platealmente la verita’ a proposito di altro episodio che con via Rasella non
aveva niente a che fare. Inoltre non fu un giudice a concludere quella
vertenza, perche’ da parte sua e del suo coautore mi fu proposta una
transazione che comportava per voi il ritiro del libro, il pagamento delle
spese da me incontrate e la pubblicazione su numerosi quotidiani e settimanali
di una rettifica, e per me il ritiro della querela. Per rinfrescarle la memoria
le accludo la copia del comunicato firmato da lei e da Cervi in
quell’occasione… Rosario Bentivegna
Caro
Bentivegna, E sia. Lei si chiama Rosario,
non Roberto. Lei non e’ stato decorato, per l’attentato di
via Rasella, di medaglia d’oro (a me pero’ risulta che ne ricevette una
d’argento di cui mi piacerebbe, per semplice curiosita’ aneddotica sapere da
lei come e dove ando’ a finire perche’, da un articolo comparso, mi pare,
sull'”Espresso” degli anni Ottanta, risulterebbe che, dopo avergliela
assegnata nel 1950, il ministero della Difesa, se la tenne per trent’anni,
“smarrita”, in un cassetto: piccolo dettaglio – se risponde a verita’
– che illustra la funzionalita’ della nostra burocrazia civile e militare). E
sia anche che il libro mio e di Cervi risale a 15, non a 25 anni fa, come io ho
scritto; e che non fu il Giudice a concludere quella vertenza, ma la Casa
editrice Rizzoli a comporla col ritiro dell’intera edizione. Non sono in grado,
caro Bentivegna, di contestarle tutte queste affermazioni. Per due motivi.
Prima di tutto perche’, trovandomi in questo momento lontano da Milano, non
posso mettermi a frugare nei documenti relativi a questa vicenda processuale
nella quale non ebbi nessuna parte diretta, avendola rimessa alla
discrezionalita’ della Casa editrice in quanto ne era essa la piu’ colpita (le
andarono in fumo 30 o 40 mila copie). Ma anche e soprattutto perche’ mi sembra
lontana non soltanto nel tempo, ma anche dalla materia – come si suol dire –
del contendere, e che qui mi vedo in obbligo di riassumere. Rispondendo ad un
lettore che m’interrogava sul processo Priebke, ho detto che lo trovavo
insensato per vari motivi. Prima di tutto perche’ riapriva un caso passato in
giudicato cinquant’anni fa e concluso da una Corte marziale (che io credevo
alleata, e invece lei mi dice italiana: tanto meglio) con una sentenza
implicitamente assolutoria nei confronti dei subordinati di Kappler,
considerato unico responsabile della rappresaglia. Secondo, perche’ si svolgeva
contro un uomo che certamente non era piu’ quello di cinquant’anni prima.
Terzo, perche’ un’assoluzione avrebbe rivelato l’inutilita’ del processo,
mentre una condanna sarebbe stata inapplicabile per l’eta’ dell’imputato.
Quarto – e piu’ decisivo motivo – perche’ il caso delle Ardeatine avrebbe per
forza riaperto quello di via Rasella che ne aveva costituito l’innesco (cosa
che anche lei, immagino, riconoscera’). E tutto questo avrebbe significato la
riapertura di un conto che dopo piu’ di mezzo secolo tutte le persone
ragionevoli e di buon senso aspirano solo a considerare chiuso. Come io voglio
considerarlo anche con lei, caro Bentivegna. Ed e’ per questo che ho censurato
il seguito della sua lettera. Non perche’ mi metta in imbarazzo (come cerchero’
magari di dimostrarle privatamente, quando avro’ colmato i buchi della mia
memoria). Ma perche’ mi rifiuto di continuare ad attizzare un passato che serve
soltanto ad avvelenare il presente e a compromettere il futuro. Spero che anche
lei sia d’accordo. Comunque, questa e’ la mia posizione, dalla quale non
demordo.
Bentivegna, E sia. Lei si chiama Rosario,
non Roberto. Lei non e’ stato decorato, per l’attentato di
via Rasella, di medaglia d’oro (a me pero’ risulta che ne ricevette una
d’argento di cui mi piacerebbe, per semplice curiosita’ aneddotica sapere da
lei come e dove ando’ a finire perche’, da un articolo comparso, mi pare,
sull'”Espresso” degli anni Ottanta, risulterebbe che, dopo avergliela
assegnata nel 1950, il ministero della Difesa, se la tenne per trent’anni,
“smarrita”, in un cassetto: piccolo dettaglio – se risponde a verita’
– che illustra la funzionalita’ della nostra burocrazia civile e militare). E
sia anche che il libro mio e di Cervi risale a 15, non a 25 anni fa, come io ho
scritto; e che non fu il Giudice a concludere quella vertenza, ma la Casa
editrice Rizzoli a comporla col ritiro dell’intera edizione. Non sono in grado,
caro Bentivegna, di contestarle tutte queste affermazioni. Per due motivi.
Prima di tutto perche’, trovandomi in questo momento lontano da Milano, non
posso mettermi a frugare nei documenti relativi a questa vicenda processuale
nella quale non ebbi nessuna parte diretta, avendola rimessa alla
discrezionalita’ della Casa editrice in quanto ne era essa la piu’ colpita (le
andarono in fumo 30 o 40 mila copie). Ma anche e soprattutto perche’ mi sembra
lontana non soltanto nel tempo, ma anche dalla materia – come si suol dire –
del contendere, e che qui mi vedo in obbligo di riassumere. Rispondendo ad un
lettore che m’interrogava sul processo Priebke, ho detto che lo trovavo
insensato per vari motivi. Prima di tutto perche’ riapriva un caso passato in
giudicato cinquant’anni fa e concluso da una Corte marziale (che io credevo
alleata, e invece lei mi dice italiana: tanto meglio) con una sentenza
implicitamente assolutoria nei confronti dei subordinati di Kappler,
considerato unico responsabile della rappresaglia. Secondo, perche’ si svolgeva
contro un uomo che certamente non era piu’ quello di cinquant’anni prima.
Terzo, perche’ un’assoluzione avrebbe rivelato l’inutilita’ del processo,
mentre una condanna sarebbe stata inapplicabile per l’eta’ dell’imputato.
Quarto – e piu’ decisivo motivo – perche’ il caso delle Ardeatine avrebbe per
forza riaperto quello di via Rasella che ne aveva costituito l’innesco (cosa
che anche lei, immagino, riconoscera’). E tutto questo avrebbe significato la
riapertura di un conto che dopo piu’ di mezzo secolo tutte le persone
ragionevoli e di buon senso aspirano solo a considerare chiuso. Come io voglio
considerarlo anche con lei, caro Bentivegna. Ed e’ per questo che ho censurato
il seguito della sua lettera. Non perche’ mi metta in imbarazzo (come cerchero’
magari di dimostrarle privatamente, quando avro’ colmato i buchi della mia
memoria). Ma perche’ mi rifiuto di continuare ad attizzare un passato che serve
soltanto ad avvelenare il presente e a compromettere il futuro. Spero che anche
lei sia d’accordo. Comunque, questa e’ la mia posizione, dalla quale non
demordo.
Pagina 41
(26 marzo 1998) – Corriere della Sera
(26 marzo 1998) – Corriere della Sera
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