Adolf Eichmann sotto processo |
CASO EICHMANN: CHI E’ DISPOSTO A FAR LUCE?
(La Stanza di Montanelli del 21 aprile 1997):
(La Stanza di Montanelli del 21 aprile 1997):
Caro
Montanelli, Premetto che non ha importanza che questa mia lettera sia
pubblicata. Mi accontento di pensare che probabilmente lei la leggera’ e sara’
incuriosito da cio’ che sto per raccontarle. Ho trascorso quasi tutta la mia
vita all’estero, e vivevo in Argentina quando un commando israeliano sequestro’
Eichmann. Allora ero amico dei signori Foa’, padre e figlio, che lei dovrebbe,
nei suoi viaggi in giro per il mondo, avere probabilmente conosciuto. I Foa’
erano corrispondenti dell’Ansa a Buenos Aires e ci uni’ una buona amicizia
basata sulla comune passione della storia dell’ebraismo. I Foa’ erano israeliti
quasi ortodossi, io invece miscredente e solo attratto dall’ebraismo per vaghi
interessi storici (anche se del tutto dilettantistici) e per le mie radici
sefardite perdute nel ghetto di Livorno. Una sera che il giovane Foa’ ed io
esaltavamo l’impresa dei servizi segreti di Israele, con voce pacata, il
vecchio Foa’ ci interruppe con una dichiarazione che fu per noi una doccia
gelata. Pacatamente ci disse che i servizi israeliani sapevano da anni che
Eichmann viveva in Argentina, senza aver mai pensato di nascondersi. E ci
spiego’ che tutta quella vicenda, che doveva concludersi con il criminale
nazista penzolante da una forca, era in realta’ soltanto una tragica
messinscena per commuovere la ricchissima comunita’ ebrea degli Stati Uniti
affinche’ potesse, sotto quella spinta emotiva, raccogliere nuovi e grandi
contributi finanziari indispensabili per la sopravvivenza dello Stato di
Israele. Devo dirle che il dubbio di quella dichiarazione del signor Foa’ fosse
veritiera e’ ancora dentro di me e di recente e’ stata ravvivata dalle strane
coincidenze con il caso Priebke, tuttora di attualita’. Anche Priebke non
viveva nascosto. E se stavolta non c’e’ stato bisogno di un commando per
portarlo fuori dall’Argentina e’ stato solo perche’ il presidente Menem non ha
voluto che si ripetesse l’umiliazione inflitta tanti anni fa alla sovranita’
argentina con il rapimento di Eichmann. Non voglio stancarla e chiudo. Aggiungo
soltanto che condivido tutto cio’ che lei ha scritto sul caso Priebke. E che
anch’io come lei, ho un grande amore per l’Italia e poco o punto per gli
italiani. Roberto Rocca, Madrid (Spagna)
Montanelli, Premetto che non ha importanza che questa mia lettera sia
pubblicata. Mi accontento di pensare che probabilmente lei la leggera’ e sara’
incuriosito da cio’ che sto per raccontarle. Ho trascorso quasi tutta la mia
vita all’estero, e vivevo in Argentina quando un commando israeliano sequestro’
Eichmann. Allora ero amico dei signori Foa’, padre e figlio, che lei dovrebbe,
nei suoi viaggi in giro per il mondo, avere probabilmente conosciuto. I Foa’
erano corrispondenti dell’Ansa a Buenos Aires e ci uni’ una buona amicizia
basata sulla comune passione della storia dell’ebraismo. I Foa’ erano israeliti
quasi ortodossi, io invece miscredente e solo attratto dall’ebraismo per vaghi
interessi storici (anche se del tutto dilettantistici) e per le mie radici
sefardite perdute nel ghetto di Livorno. Una sera che il giovane Foa’ ed io
esaltavamo l’impresa dei servizi segreti di Israele, con voce pacata, il
vecchio Foa’ ci interruppe con una dichiarazione che fu per noi una doccia
gelata. Pacatamente ci disse che i servizi israeliani sapevano da anni che
Eichmann viveva in Argentina, senza aver mai pensato di nascondersi. E ci
spiego’ che tutta quella vicenda, che doveva concludersi con il criminale
nazista penzolante da una forca, era in realta’ soltanto una tragica
messinscena per commuovere la ricchissima comunita’ ebrea degli Stati Uniti
affinche’ potesse, sotto quella spinta emotiva, raccogliere nuovi e grandi
contributi finanziari indispensabili per la sopravvivenza dello Stato di
Israele. Devo dirle che il dubbio di quella dichiarazione del signor Foa’ fosse
veritiera e’ ancora dentro di me e di recente e’ stata ravvivata dalle strane
coincidenze con il caso Priebke, tuttora di attualita’. Anche Priebke non
viveva nascosto. E se stavolta non c’e’ stato bisogno di un commando per
portarlo fuori dall’Argentina e’ stato solo perche’ il presidente Menem non ha
voluto che si ripetesse l’umiliazione inflitta tanti anni fa alla sovranita’
argentina con il rapimento di Eichmann. Non voglio stancarla e chiudo. Aggiungo
soltanto che condivido tutto cio’ che lei ha scritto sul caso Priebke. E che
anch’io come lei, ho un grande amore per l’Italia e poco o punto per gli
italiani. Roberto Rocca, Madrid (Spagna)
Caro Rocca, Facciamo pur finta, se ci
tieni, di non conoscerci. In realta’ sono sicuro che sai benissimo quali
vincoli di amicizia mi legasssero a tuo padre (o nonno?) Agostino, che io ho
sempre considerato il piu’ brillante imprenditore italiano, costretto ad
emigrare dalla imbecillita’ degli epuratori resistenziali. Agostino avrebbe
potuto fare per la ricchezza dell’Italia
cio’ che poi fece (e la Techint non fu cosa da poco) per la ricchezza
dell’Argentina. Ma lasciamo andare. Altrettanto amico ero dei Foa’, ma li
conobbi a Buenos Aires e li frequentai prima che scoppiasse il caso Eichmann e
quindi ignoravo la loro opinione su di esso. Ne sono, te lo confesso, molto
stupito perche’ e’ la prima volta che ne sento parlare come di una
“messinscena” architettata per spremere contributi dalle tasche –
generosissime – della comunita’ israelitica nordamericana. E’ vero che Ben
Gurion, col quale ero corso a parlarne dopo la sensazionale operazione di
sequestro e deportazione, non se ne mostro’ molto entusiasta. Pero’ la versione
che me ne dette fu questa: che in Israele si era ritenuto necessario inscenare
quel processo per ricordare alle nuove generazioni di ebrei nati in Israele – i
cosiddetti “sabre”, che davano segno di essersene dimenticati – cosa
era stato l’Olocausto. Il vulcanico e passionale Ben Gurion non mi aveva mai
mentito, anche se qualche volta mi aveva vietato di riferire certe sue
“verita” che facevano accapponare la pelle. Ma anche il ricordo che
ho del padre Foa’ e’ quello di un vecchio saggio che sapeva molte cose e le
giudicava senza pregiudiziali, neanche di religione. Se c’e’ fra i miei lettori
qualche ebreo, israeliano o no, in grado di fornire qualche lume su questa
vicenda, lo prego d’intervenire. Ma e’ mai possibile che in tanti anni un
retroscena come questo sia rimasto segreto?
tieni, di non conoscerci. In realta’ sono sicuro che sai benissimo quali
vincoli di amicizia mi legasssero a tuo padre (o nonno?) Agostino, che io ho
sempre considerato il piu’ brillante imprenditore italiano, costretto ad
emigrare dalla imbecillita’ degli epuratori resistenziali. Agostino avrebbe
potuto fare per la ricchezza dell’Italia
cio’ che poi fece (e la Techint non fu cosa da poco) per la ricchezza
dell’Argentina. Ma lasciamo andare. Altrettanto amico ero dei Foa’, ma li
conobbi a Buenos Aires e li frequentai prima che scoppiasse il caso Eichmann e
quindi ignoravo la loro opinione su di esso. Ne sono, te lo confesso, molto
stupito perche’ e’ la prima volta che ne sento parlare come di una
“messinscena” architettata per spremere contributi dalle tasche –
generosissime – della comunita’ israelitica nordamericana. E’ vero che Ben
Gurion, col quale ero corso a parlarne dopo la sensazionale operazione di
sequestro e deportazione, non se ne mostro’ molto entusiasta. Pero’ la versione
che me ne dette fu questa: che in Israele si era ritenuto necessario inscenare
quel processo per ricordare alle nuove generazioni di ebrei nati in Israele – i
cosiddetti “sabre”, che davano segno di essersene dimenticati – cosa
era stato l’Olocausto. Il vulcanico e passionale Ben Gurion non mi aveva mai
mentito, anche se qualche volta mi aveva vietato di riferire certe sue
“verita” che facevano accapponare la pelle. Ma anche il ricordo che
ho del padre Foa’ e’ quello di un vecchio saggio che sapeva molte cose e le
giudicava senza pregiudiziali, neanche di religione. Se c’e’ fra i miei lettori
qualche ebreo, israeliano o no, in grado di fornire qualche lume su questa
vicenda, lo prego d’intervenire. Ma e’ mai possibile che in tanti anni un
retroscena come questo sia rimasto segreto?
Pagina 33
(21 aprile 1997) – Corriere della Sera
(21 aprile 1997) – Corriere della Sera
Commento di Andrea Carancini: ho la sensazione che Montanelli non conoscesse Paul Rassinier e il suo libro
Le véritable procès Eichmann ou les vainqueurs incorrigibles:
Paul Rassinier |
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