Robert Faurisson |
Robert FAURISSON
20 agosto 2012
Auschwitz’”
questione delle camere a gas naziste. È indirizzato unicamente al profano che
sarebbe desideroso d’apprendere in quali circostanze Le Monde è giunto, nel 1978, a darmi la parola su un tale
argomento e quale è stato il seguito della faccenda nei 34 anni che si sono
succeduti. Per facilitare la lettura di queste righe mi astengo dal menzionare
un buon numero di fonti, di riferimenti e di dettagli che il lettore potrà
trovare consultando principalmente nel mio blog i due testi seguenti: “Le
Vittorie del revisionismo” (11
dicembre 2006) e “Le
Vittorie del revisionismo (seguito)” (11 settembre 2011). Per la stessa
ragione elimino ugualmente un grandissimo numero di articoli di Le Monde o di altre pubblicazioni
francesi o straniere che vertono sia sull’“affare Faurisson”, sia sull’“affare
delle camere a gas”. Infine supponendo che un lettore particolarmente parco del
proprio tempo voglia arrivare al più presto possibile al cuore stesso
dell’argomento, gli consiglio la lettura complessiva di quattro articoli: da
una parte, l’articolo
del 29 dicembre 1978 che viene completato da quello del 16 gennaio 1979 intitolato “Une
lettre de M. Faurisson” e, d’altra
parte, il “dossier” di Jean Planchais del 21 febbraio 1979 su “I campi nazisti
e le camere a gas” che contiene contemporaneamente un articolo di George Wellers,
intitolato “Un roman inspiré”, e un lungo testo che ha per titolo: “La politique hitlérienne d’extermination : une déclaration
d’historiens”. Firmata da 34
storici, fra cui Fernand Braudel, questa dichiarazione, che mi era decisamente
ostile, è importante. Tenendo conto del fatto che le mie ricerche mi hanno in
sostanza spinto a concludere che la tesi dell’esistenza delle camere a gas
cozza con delle impossibilità fisiche e tecniche, questi 34 professori
concludevano così la loro dichiarazione: “Non bisogna chiedersi come, tecnicamente,
un tale massacro di massa è stato possibile. È stato tecnicamente possibile
perché è avvenuto. Tale è il punto di partenza obbligato di ogni ricerca
inchiesta su questo argomento. Questa verità, ci spettava semplicemente di
ricordarla: non c’è e non ci può essere alcun dibattito circa l’esistenza delle
camere a gas”. Invece, il dibattito stava bellamente per aver luogo, anche se
talvolta nelle peggiori condizioni per i revisionisti, in Francia come
all’estero. E questo dibattito ha visto la vittoria dei revisionisti. Il gran
pubblico è largamente tenuto nell’ignoranza di questa vittoria ma, grazie in
particolare ad Internet, comincia a sospettare che, sul piano strettamente
storico e scientifico, gli avversari dei revisionisti, dopo 34 anni, si sono
mostrati incapaci di raccogliere la sfida che gli era stata lanciata ne Le
Monde, il 29 dicembre 1978. È da otto mesi che, in un editoriale
apparso il 23 dicembre 2011 ed intitolato “Les lois mémorielles ne servent à
rien. Hélas!”, i responsabili del Monde, stilando una sorta di
bilancio, dichiaravano: “Dopo la votazione di questa legge, i negazionisti
[trattasi di revisionisti – RF] ed i teorici del complotto hanno beni al sole come
non mai, grazie particolarmente ad Internet”. Facendo eco a questo editoriale, Serge Klarsfeld, il 4 gennaio
2012, rispondeva con un articolo intitolato: “Oui, les lois mémorielles sont
indispensables” in cui faceva notare che la legge Gayssot “ha imbavagliato lo
storico Robert Faurisson ed i suoi emuli, tranne che su Internet dove le
opinioni espresse in questo senso non sono da prendersi in considerazione più
che delle lettere anonime”. S. Klarsfeld finge di dimenticare che dopo l’instaurazione
di questa legge Fabius-Gayssot del 13 luglio 1990 ho pubblicato migliaia di
pagine e ciò principalmente in un’opera in sei volumi che sarà in un prossimo
futuro completata da altri due volumi. Certo i revisionisti non hanno beni al sole dal momento che, dopotutto, a
differenza di tanti loro avversari, non godono sicuramente di una facile
situazione, di una solida fortuna o d’una reputazione che sia invidiabile ma
non c’è nessun dubbio che la loro presenza sul piano storico e scientifico, essa, s’impone e che i detentori della storia ufficiale sono stati ben obbligati a
moltiplicare le concessioni o le ritirate, se non addirittura le pure e
semplici capitolazioni. La storia così vince sulla “Memoria” ed è tanto di
guadagnato per la scienza. Di conseguenza, senza volerlo ed anche suo malgrado,
il giornale Le Monde ha, il 29 dicembre 1978, dato l’impulso ad
un movimento che, dopo Paul Rassinier nel 1950 ed Arthur Robert Butz nel 1976,
ha rinnovato e rinnova ogni anno ancora un po’ di più la nostra visione della
storia della Seconda guerra mondiale.
Orwell pone il seguente interrogativo: “È vero quello che si dice dei forni a
gas [gas ovens] in Polonia?” (Notes
on Nationalism, maggio 1945, ripubblicato in The Collected Essays,
Londra, Penguin Books, 1978).
Rassiner pubblica La Menzogna d’Ulisse.
Poliakov scrive a proposito “della campagna di sterminio degli ebrei”: “Nessun
documento è rimasto, forse non è mai esistito”.
Broszat dichiara: “Né a Dachau, né a Bergen-Belsen, né a Buchenwald sono stati
gasati ebrei o altri detenuti”.
Wormser-Migot scrive a proposito della camera a gas che milioni di turisti
vistano a Auschwitz-I che questo campo è “senza camera a gas”; essa è scettica
sui casi di Ravensbrück e Mathausen.
Uniti, il professor Arthur Robert Butz pubblica la prima edizione della sua
magistrale opera, The Hoax of the Twentieth Century (la mistificazione del XX° secolo).
Da parte mia, il
19 marzo 1976, scopro le planimetrie, fino a quel momento nascoste, di tutti i
crematori di Auschwitz e di Birkenau:
in questi crematori i vani ritenuti esser
stati camere a gas omicide non possono assolutamente aver
servito come mattatoi chimici; erano principalmente dei tipici e classici luoghi di deposito di cadaveri
in attesa della cremazione (Leichenhalle, Leichenkeller, …),
degli spazi totalmente sprovvisti del formidabile macchinario che
sarebbe stato indispensabile per provvedere all’evacuazione
del gas cianidrico impregnante i luoghi e i
corpi (vedete
la camera a gas americana funzionante precisamente con del gas cianidrico).
antirevisionista del 13 luglio 1990
il risultato delle mie ricerche. Sono aggredito. Le Monde riporta
l’aggressione ma non rivela nulla delle mie argomentazioni
che eppure conosce visto che, nell’arco di quattro anni, io gliele ho esposte
in testi o lettere di cui non ho mai potuto ottenere la pubblicazione.
Ricorrendo al “diritto di risposta”
all’articolo sull’aggressione, chiedo al giornale di pubblicare infine le mie
due pagine su “La
Diceria di Auschwitz”, cosa che
viene eseguita il 29 dicembre 1978. Ne consegue una valanga di reazioni e di
articoli, in Francia come all’estero, oltre che un importante processo contro
la mia persona per “danno ad altri” tramite
“falsificazione della storia”. Il 16 gennaio 1979, usando di nuovo il mio
diritto di risposta,
pubblico un seguito a “La Diceria di Auschwitz”; vi pongo
nuovamente l’accento sul fatto che la credenza nelle pretese camere a gas si
scontra con delle impossibilità materiali o tecniche e che nessuna delle
testimonianze invocate ci permette di trarre conclusioni sulla loro esistenza.
La replica più importante alle mie conclusioni appare il 21 febbraio 1979. Si
tratta di una dichiarazione firmata da 34 storici (vedete sopra). Questa
dichiarazione, che René Rémond aveva rifiutato di firmare, costituiva una scappatoia di fronte alla difficoltà di dovermi
rispondere; d’altronde, dopo il processo di Norimberga fino ad oggi mai si è
potuta produrre una sola perizia criminale che descrivesse l’arma del crimine
ed il suo funzionamento.
Jean-Gabriel Cohn-Bendit scrive in Libération: “Battiamoci perché
si distruggano queste camere a gas che si mostrano ai turisti nei campi in cui
oggi si sa che non ve n’erano, pena che non si creda
più a ciò di cui siamo sicuri”.
americane permettono a due ex membri della CIA di pubblicare delle fotografie
aeree d’Auschwitz scattate durante la guerra. Queste sono destinate nelle intenzioni degli autori a provare
“l’Olocausto” ma, in realtà, contraddicono l’esistenza di tutta una serie di
oggetti materiali con cui sarebbero state accompagnate la gasazione e la
cremazione, giorno dopo giorno, di migliaia di vittime; nessuna delle foto
prese durante le 32 missioni aeree degli Alleati sopra il complesso d’Auschwitz
mostra file d’attesa all’entrata dei crematori, né
rivela l’esistenza delle vere montagne
di coke che sarebbero state necessarie per delle gigantesche cremazioni; i
giardinetti dei crematori II e III, ben disegnati, non recano l’impronta di
nessun calpestio di vittime giorno dopo giorno; si scorgono nelle loro
vicinanze un campo di calcio, un campo di volley-ball, numerosi baraccamenti
ospedalieri, bacini di decantazione, l’ampia “sauna”, etc.
un’associazione è fondata a Parigi per “lo studio degli omicidi mediante il gas
sotto il regime nazional-socialista” (ASSAG); in trent’anni (1982-2012) non ha
trovato nulla da pubblicare. Sul caso di Chambres à gaz, secret d’Etat,
vedete le mie osservazioni nelle “Conclusions dans l’affaire Wellers”, Ecrits
révisionnistes (1974-1998), p.
1001-1046, in particolare p. 1020-1021; http://robertfaurisson.blogspot.it/1990_03_01_archive.html.
responsabilità di François Furet e Raymond Aron, un
lungo simposio internazionale, non
pubblico, contro R. Faurisson ed “un pugno di anarco-comunisti” (allusione a
Pierre Guillaume, Serge Thion, Jean-Gabriel Cohn-Bendit, Jacob Assous, Claude
Karnoouh, Jean-Luc Redlinski, Jean-Louis Tristani, Vincent Monteil, …).
Conclusione della conferenza stampa finale aperta al pubblico: “Malgrado le più
erudite ricerche” non si è trovato alcun ordine di Hitler di uccidere gli
ebrei. Quanto alle camere a gas non vi è fatta nemmeno un’allusione! Sembra che
l’intervento del professore Arno Mayer abbia provocato dei turbamenti (vedete
qua sotto).
1983, il 26 aprile, ha termine, in appello, il lungo processo che mi era stato intentato nel 1979. La
corte d’appello di Parigi (1° camera, sezione A), riprendendo ognuna delle
accuse riportate contro di me, dichiara di non aver trovato nei miei scritti
sulle camere a gas nessuna traccia 1) di leggerezza, 2) di negligenza, 3)
d’ignoranza deliberata, 4) di menzogna e che, conseguentemente, “il valore
delle conclusioni difese dal Sig. Faurisson [sull’argomento] è di competenza
pertanto dell’apprezzamento esclusivo degli esperti, degli storici e del
pubblico”. Essa mi condanna ciononostante, insomma, per malevolenza (?). Rimane
che autorizzando un dibattito pubblico sull’esistenza o la non-esistenza delle
camere a gas questa decisione va a indurre i nostri accusatori ad esigere la
creazione di una legge specifica destinata a imbrigliare i magistrati: nascerà
in questo modo la legge Fabius-Gayssot del 13 luglio 1990.
Simone Veil dichiara che non si può addurre “la prova definitiva” dell’esistenza delle camere a gas perché “ognuno sa
che i nazisti hanno distrutto queste camere a gas” e “soppresso
sistematicamente tutti i testimoni”; ma allora che valore hanno le camere a gas
che si mostrano ai turisti e che valore hanno i testimoni che parlano di queste
camere a gas o ne scrivono?
Hilberg, Number One degli storici ortodossi ed autore dell’opera di
riferimento Number One, intitolata The Destruction of the European
Jews, cambia radicalmente posizione nella seconda “e definitiva”
edizione del suo libro. Tre anni prima, in un’intervista con il giornalista Guy
Sitbon, R. Hilberg era stato spinto a dichiarare: “Direi che, in un certo qual
modo, Faurisson e altri, senza averlo voluto, ci hanno reso un buon servizio.
Hanno sollevato delle questioni che hanno avuto l’effetto di impegnare gli
storici in nuove ricerche. Ci hanno obbligati a raccogliere più informazioni, a riesaminare i
documenti ed ad andare più lontano nella comprensione di
ciò che è accaduto.” (Le Nouvel Observateur, 3-9
luglio 1982, p. 71). Forse sotto l’influenza di “Faurisson e di qualche altro”,
egli [R. Hilberg] rinuncia completamente alla spiegazione data una volta nella
sua prima edizione, quella del 1961, secondo la quale questa distruzione degli
ebrei era stata espressamente ordinata e condotta da Hitler. Se si dà credito alla sua nuova spiegazione, la
distruzione degli ebrei d’Europa è stata decisa e perpetrata senza un ordine,
senza un “piano di base”, senza una direzione
centrale, senza istruzioni, senza un budget ma
grazie a “un
incredibile incontro di menti, una trasmissione di pensiero consensuale” (an incredible meeting of minds, a
consensus-mind reading) in seno ad una “burocrazia molto estesa
geograficamente” (far-flung bureaucracy). Questi burocrati “crearono
un’atmosfera in cui la formale parola scritta poteva essere gradualmente
abbandonata come modus operandi”. Essi si dedicarono a “delle operazioni
nascoste” a forza di “direttive
scritte non pubblicate”, di “ampie
deleghe di poteri ai subordinati, non pubblicate”, di “direttive ed autorizzazioni orali”, di “intese implicite tra funzionari, facendo nascere
delle decisioni che non necessitavano ordini e spiegazioni”. Egli
conclude: “In ultima analisi, la distruzione degli ebrei non fu tanto un risultato di leggi e di ordini quanto una questione di stato
d’animo, una comprensione tacita (shared comprehension), una consonanza
ed una sincronizzazione” e, per mettere un punto definitivo alla sua
conclusione, egli arriva perfino a scrivere che “non fu creato nessuna agenzia
specializzata, e nessun progetto di spesa particolare era ideato per distruggere gli ebrei d’Europa. Ciascun organismo avrebbe assolto nel processo un ruolo
specifico, e ciascuno avrebbe trovato in se stesso i mezzi per assolvere il
proprio compito” (The Destruction of the European Jews, New York,
Holmes & Meier, edizione in tre volumi, p. 53-55, 62; la messa in corsivo
delle parole è opera mia. Vedete inoltre l’intervista con R. Hilberg pubblicata
ne Le Monde des livres, 20 ottobre 2006, p. 12).
verificano una serie di colpi di scena, in particolare quello provocato dalla tesi di
Henri Roques sulle “confessioni”
dell’SS Kurt Gerstein, che mostrano a qual punto il revisionismo è vivace. Nel
1986 è in seno stesso al Comitato di storia della Seconda guerra mondiale,
direttamente legato all’ufficio del Primo ministro, che scoppia il nuovo caso.
Questo Comitato comprende una Commissione di storia della deportazione diretta
da un prestigioso storico, Michel de Boüard. Ex membro della Resistenza
internato nel campo di Mauthausen, cattolico e membro del Partito Comunista
(dal 1942 al 1960), preside della Facoltà di lettere dell’Università di Caen,
aveva testimoniato l’esistenza di una camera a gas nel campo di Mauthausen.
Orbene egli arriva a difendere a spada tratta nello stesso tempo Henri Roques e
la sua commissione che sono attaccati da ogni parte. Arriva perfino a
dichiarare che il dossier della storia ufficiale della deportazione è “marcio” per la presenza di “una quantità enorme di affabulazioni,
di inesattezze pervicacemente ripetute, particolarmente sul piano numerico, di
amalgami, di generalizzazioni”. Alludendo agli studi dei revisionisti, egli
aggiunge che esistono “d’altra parte, degli studi critici molto serrati per
dimostrare la nullità di queste esagerazioni”. Sì, ha menzionato un tempo
l’esistenza di una camera a gas a Mauthausen; ma riconosce di aver avuto torto:
“Erano parte del bagaglio culturale!”, mi confida durante un incontro che lui
stesso aveva sollecitato. Si ripromette di scrivere un’opera destinata a
mettere in guardia gli storici contro le menzogne della storia ufficiale. Cade
ammalato e muore il 28 aprile 1989 senza aver potuto concludere il suo lavoro.
universitario altrettanto prestigioso, Arno Meyer, insegnante all’Università di
Princeton di storia dell’Europa contemporanea, pubblica un’opera intitolata The
“Final Solution” in History. A proposito delle “camere a gas naziste”
scrive: “Le fonti per lo studio delle camere a gas sono contemporaneamente rare
e dubbie” (Sources for the study of the gas chambers are at once rare and
unreliable). La formulazione va presa in considerazione per coloro che
immaginavano che queste fonti erano innumerevoli e solide come la roccia. E le
considerazioni che seguono sulle morti di Auschwitz e d’altri campi sono di
natura se non revisionista almeno assai vicine al revisionismo sebbene,
sicuramente, A. Meyer non perde alcuna occasione per ricordarci la sua intima
convinzione che vi erano state delle esecuzioni nelle camere a gas.
svolge a Toronto per più di quattro mesi il
secondo processo contro Ernst Zündel.
Il primo processo aveva avuto luogo nel 1985 ed era durato sette settimane. La
trascrizione scritta di questi processi ne è testimonianza: tutti e due sono
stati disastrosi per i detentori della storia ufficiale dell’“Olocausto” in
generale e per la tesi dell’esistenza delle camere a gas in particolare. Nel 1985
R. Hilberg in quell’occasione aveva subìto una completa sconfitta nel corso di
un lungo controinterrogatorio e Rudolf Vrba, il testimone numero uno delle
“camere a gas”, ha subìto la medesima sorte. La stampa di quel periodo né dà
conferma. Nel 1988 Fred Leuchter, specialista delle camere a gas per le
esecuzioni negli Stati Uniti, ha prodotto il suo famoso rapporto di perito di
193 pagine concludendo che le pretese camere a gas naziste di Auschwitz, di
Auschwitz-Birkenau e di Majdanek non solamente non erano esistite ma non era
possibile che siano esistite e ciò per delle ragioni d’ordine fisico, chimico e
architettonico. Egli si era recato sul posto con la sua equipe, si era
impegnato ad un minuzioso studio dei luoghi (sia nello stato originale, sia nello
stato di rovine) e aveva affidato ad un laboratorio i frammenti prelevati sulla
scena del preteso crimine. Altri rapporti, tra cui quello di Germar Rudolf,
confermeranno ulteriormente la fondatezza di queste conclusioni.
Burrin pubblica un’opera nella quale egli non indugia sulla questione delle
camere a gas ma in cui, in modo generale, trattando di una politica di
sterminio fisico degli ebrei egli deplora l’assenza di tracce del crimine, “la
cancellazione ostinata della traccia di un passaggio d’uomo”, “le grandi lacune
della documentazione”, le tracce “non solamente poco numerose e sparse, ma di
difficile interpretazione” (Hitler et les juifs / Genèse d’un génocide,
Seuil, 1989, p. 9, 13).
sono vittima di un’aggressione particolarmente grave. In totale, dal novembre
1978 al maggio 1993, subivo dieci aggressioni a Lione, Parigi, Vichy e
Stoccolma. Non saprei dire il numero dei processi che mi sono stati intentati o
che io ho dovuto intentare a partire dal 1978 fino ad oggi. Non mi dilungherò qui
sulle condanne, sulle ammende, sulle perquisizioni, sequestri e custodie a
vista. A differenza di tanti revisionisti che hanno avuto da scontare tanti
anni di prigione (fino a dodici in un caso), io non sono mai stato condannato
ad una pena effettivamente detentiva. A 83
anni, ho appena visto notificarmi tre rinvii a giudizio ed un quarto
probabilmente si annuncia.
luglio 1990)
revisionisti, con l’instaurazione della legge Fabius-Gayssot, si vedono
confermare che la parte avversa, incapace di risponder loro sul piano
scientifico e storico, dispone ormai del braccio armato della storia ufficiale:
sarà assolutamente proibito contestare “l’esistenza dei crimini contro l’umanità”
quali furono definiti e condannati a Norimberga (1945-1946) dai vincitori in
nome delle “Nazioni Unite” e istituendosi essi stessi giudici del loro proprio
vinto; l’impiego delle camere a gas naziste, beninteso, fa parte di questi
nuovi crimini e contestare il loro uso diviene proibito pena la prigione,
l’ammenda pecuniaria e sanzioni diverse.
1991 al 1994, il revisionismo, rivelandosi come la grande avventura
intellettuale di fine secolo, con la sua contestazione dell’esistenza delle
camere a gas e del genocidio incontra una potente eco a Parigi e in provincia,
a Stoccolma, a Londra, a Bruxelles, a Monaco, a Vienna, a Varsavia, a Roma, a
Madrid, a Boston, a Los Angeles, a Toronto, a Melbourne e, più tardi, a Teheran
e nel mondo arabo-musulmano. S’accresce il numero delle ricerche e delle
pubblicazioni revisioniste in diverse lingue.
affermerà come un anno capitale nel progresso
del revisionismo.
coautore con Henry Rousso di Vichy, un passé qui ne passe pas,
scrive su L’Express che Faurisson aveva ragione di accertare, alla fine degli anni 70, che la camera
a gas visitata ad Auschwitz da milioni di turisti era completamente falsa. Egli
precisa: “Tutto lì è falso […] Alla fine degli anni 70, Robert Faurisson
sfruttò tanto meglio queste falsificazioni che i responsabili del museo allora
erano restii a riconoscere.” Proseguendo, egli aggiunge: “[Delle persone], come
Théo Klein [preferiscono che si lasci la camera a gas] così com’è ma spiegando
al pubblico il travestimento: ‘la Storia è quella che è, basta esporla, anche
quando non è semplice, piuttosto che aggiungere artificio ad artificio’”. E.
Conan riporta una stupefacente affermazione della vice-direttrice del Museo
nazionale di Auschwitz che non si decide a spiegare al pubblico il
travestimento. Egli scrive: “Krystina Oleksy […] non si decide a farlo. ‘Per il momento, la si lascia com’è [questa
stanza qualificata come camera a gas] e al visitatore non viene precisato
nulla. È troppo complicato. Si vedrà più tardi’” (“Auschwitz:
la mémoire du mal”, 19-25 gennaio
1995, p. 68). Nel 1996 e nel 2001 altri autori cionondimeno ostili al
revisionismo denunceranno, a loro volta, in Francia e all’estero, la frode
costituita da questa pretesa camera a gas. Ancora oggi turisti e pellegrini
continuano ad essere ingannati benché io abbia personalmente avvertito perfino l’UNESCO
del persistere nella frode.
così grave per la causa della tesi ufficiale che sarà tenuto nascosto per
cinque anni e non sarà svelato finalmente che nel 2000 e con tanta discrezione
che ancor’oggi, nel 2012, resta largamente ignorato. Riguardo Jean-Claude
Pressac, il protetto della coppia Klarsfeld, il paladino di cui Pierre
Vidal-Naquet vantava i meriti. Autore nel 1989 di un’enorme opera in inglese, Auschwitz,
Technique and Operation of the Gas Chambers e, nel 1993, d’un libro in
francese, Les Crématorires d’Auschwitz, la machinerie du meurtre de masse,
J.-C. Pressac, sotto l’effetto d’una crudele umiliazione che il mio avvocato,
Eric Delcroix, ed io stesso gli abbiamo inflitto in occasione della sua
testimonianza alla XVII° camera del tribunale correzionale di Parigi in cui
avevamo reclamato, pena l’arresto, la sua comparizione, si è deciso ad
ammettere, in uno scritto del 15 giugno 1995, che tutto quanto il dossier della
storia ufficiale della deportazione era “marcio” (la parola era ripresa da
Michel de Boüard) a causa delle eccessive menzogne e destinato “alle pattumiere
della storia”.
Baynac, storico francese, risolutamente antirevisionista, finisce per ammettere
che, dopo aver a lungo riflettuto, non vi sono prove dell’esistenza delle
camere a gas naziste. Egli constata precisamente: “l’assenza
di documenti, di tracce o d’altre prove materiali”.
anche negli anni seguenti l’affare Garaudy-Abbé Pierre e numerosi processi
intentati per “contestazione” della verità ufficiale mostreranno a che punto il
revisionismo continua ad essere vivace. Nel 1997 l’affare Vincent Reynouard, revocato dall’insegnamento pubblico per
i suoi lavori indipendenti contro quella “verità”, rivela l’irrompere
sulla scena di un giovane revisionista dall’avvenire promettente.
occasione del processo intentato a Londra dal semi-revisionista David Irving a
Deborah Lipstadt, che lo aveva tacciato di “negazionista” (“Holocaust denier”), l’esperto canadese
Robert Jan van Pelt, di religione ebraica, che si è accanito a trovare le prove
dell’esistenza ad Auschwitz di reali camere a gas naziste, si è trovato ridotto a
qualificare come “morale” la sua certezza della loro esistenza (moral
certainty). Per quanto riguarda il giudice Charles Gray,
egli dichiarerà nella sua sentenza:
“I documenti dell’epoca consegnano pochi
elementi di prova ben chiara dell’esistenza di camere a gas concepite per
uccidere degli esseri umani”. Costui aggiunge: “Devo confessare che, come,
penso io, la maggior parte delle persone, avevo ritenuto che le prove d’uno
stermino di massa degli ebrei nelle camere a gas di Auschwitz erano
inoppugnabili. Eppure, ho eliminato questa idea preconcetta quando ho soppesato
il pro e il contro delle prove che le parti hanno addotto al dibattito”.
situazione non fa che peggiorare in Francia e nel mondo per i detentori della
credenza nell’“Olocausto” e, particolarmente, nell’esistenza delle camere a gas
naziste. Se ne troveranno esempi e prove nel mio blog. Non ricorderò qui che
una prova ed un esempio, relativi al ricercatore che talvolta chiamo “l’ultimo
dei Mohicani della causa olocaustica”. Voglio parlare di R. J. Van Pelt, già
nominato, professore di architettura all’Università di Waterloo (Ontario,
Canada). Dopo il processo di Londra, quest’ultimo non aveva voluto restarsene
nella sua “moral certainty”. Proprio
al contrario, aveva proseguito le sue ricerche. Ahimè! Come il suo predecessore
francese, il farmacista Jean-Claude Pressac, stava per dover capitolare. Il 27
dicembre 2009, fu inferto il colpo di grazia al mito delle camere a gas
d’Auschwitz. Quel giorno, un
giornalista del Toronto Star rivelava che, per R. J. van Pelt, la
preservazione del complesso d’Auschwitz-Birkenau non aveva affatto senso.
Parlando di ciò che noi presumiamo di sapere del campo (vale a dire, ad
esempio, che quest’ultimo aveva posseduto delle camere a gas per delle
esecuzioni di massa), il professore dichiarava: “il 99% di ciò che noi
sappiamo, non abbiamo in realtà gli elementi fisici per provarlo”. Secondo lui,
era meglio lasciare che la natura riprendesse i suoi diritti ad Auschwitz
invece di prodigarvi tanto denaro per la conservazione dei baraccamenti, delle
rovine o di altri oggetti materiali.
agosto 2012 il bilancio è disastroso per i detentori della tesi ufficiale e del
tutto positivo per i revisionisti. I primi dispongono di tutti i poteri ivi
compreso quello del potere pubblico con i suoi politici, i suoi giudici e i
suoi gendarmi e, soprattutto, con i suoi giornalisti ossequiosi. Mentre soltanto una categoria di magistrati si è dimostrata
servile, i giornalisti, tranne rarissime eccezioni, si sono precipitati nel
servilismo. Quanto ai professori, agli universitari, agli intellettuali in
auge, si sono, per troppi tra loro, segnalati per la loro cecità o per la loro
vigliaccheria. Quando verrà il giorno in cui finalmente si ammetterà che le
pretese camere a gas naziste non sono esistite più di quanto non siano esistiti
il sapone fatto con ebrei o le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein,
le persone dabbene, costernate, chiederanno conto alle loro “élites”?
Dovrebbero farlo ma se ne guarderanno bene. Poiché,
in questo affare di una delle più gravi frodi che la storia abbia conosciuto,
le “élites” non sono stati dopotutto che ad immagine del loro pubblico.
Rileggiamo Céline: ha detto tutto sull’argomento, senza illusione, senza
acrimonia, senza appellarsi alla vendetta, senza credersi al di sopra degli
altri: semplicemente, da uomo, e talvolta con il sorriso dell’indulgenza.
l’articolo, in data 21 agosto, intitolato “29 dicembre 1978/ Il giorno in cui Le
Monde pubblica la tribuna di Faurisson” (p. 12-13). L’articolo è
firmato da Ariane Chemin, giornalista people, a cui avevo accordato
un’intervista a casa mia. Questo articolo contiene quaranta attacchi ad personam e il numero degli argomenti propriamente
detti si eleva a … zero
cura di Germana Ruggeri
http://www.scribd.com/doc/120417584/Le-jour-ou-Le-Monde-a-publie-la-tribune-de-Faurisson