Joe Fallisi: DALLA SIRIA, il giorno della festa dei lavoratori del mondo

Joe Fallisi: DALLA SIRIA, il giorno della festa dei lavoratori del mondo

DALLA
SIRIA
il
giorno della festa dei lavoratori del mondo
Joe Fallisi

Damasco, 1° maggio 2012 
al-Jumhūriyya al-ʿArabiyya al-Sūriyya,
questa la denominazione completa della Repubblica siriana. Ricorda il nome
della Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista. A poco
più di un anno dal mio viaggio in Libia, sono sbarcato nella tarda serata del
30 aprile 2012 all’aeroporto di Damasco. In quell’occasione ero coi British
Civilians for Peace in Libya, oggi mi trovo qui con altri osservatori, ma allo
stesso scopo: vedere personalmente qual è la realtà dei fatti e riferirne.
Siamo un gruppo di italiani, alcuni nati in Siria, come Jamal Abu
Abbas, capo della comunità siriana di Roma, che ha organizzato il
viaggio. 

A uno di loro, Ahmed Al Rifaele, hanno appena ammazzato il
cugino, Kusai Malek, e il cognato del cugino, Bashar Halimeh. La sua famiglia
abita nella periferia di Damasco. Mi racconta una storia simile a tante altre
che ascolterò in seguito. Gli uccisi non erano soldati e neanche sostenitori
attivi del regime. Semplicemente non aderivano alle manifestazioni dei
“ribelli”. E’ bastato questo, può bastare anche solo questo. Alle 3
di mattina di venerdì scorso i terroristi sono penetrati in casa e hanno
sgozzato uno dei due, sparando mortalmente all’altro. E hanno rubato tutto
quello che era possibile portar via. Per un miracolo non ci sono stati altri
morti. A volte sterminano le famiglie per intero, così che non rimangano
testimoni. Poi attribuiscono la carneficina ai soldati dell’esercito regolare.
Arriviamo al Cham Palace, in pieno centro, e troviamo una città quasi deserta.
Fino a un mese e mezzo fa, mi dicono, Damasco era vivissima anche in piena
notte. L’esperienza libica insegna una dura lezione. Tutti sanno che l’avvenire
della Siria è legato a quel che farà la Cina e, soprattutto, la Russia. Se i
due alleati decidessero, per qualche motivo, di togliere la solidarietà al
Paese come accadde nei confronti della Giamahiria, la torva dei predatori
“umanitari” si scatenerebbe. Sono lì in attesa, coi loro aerei, le
loro bombe radioattive, le loro truppe d’assalto specializzate. Per ora
impiegano e foraggiano, tramite l’Arabia e il Qatar, dalle basi in Turchia, le
formazioni dei tagliagola libici, tunisini, iracheni, afghani, pachistani,
yemeniti, in piccola parte siriani. Partecipano anche direttamente con alcuni
gruppi di “istruttori” e contractors, lo dimostrano i
francesi arrestati pochi giorni fa. Ma sono casi singoli, come piccole gocce in
attesa della cascata di veleno. Quest’aria di catastrofe incombente l’avevo
respirata anche a Tripoli. Allora, mi ricordo, c’era una sorta di paradossale
spensieratezza persino nella tragedia, sembrava impossibile la vera e propria
devastazione. Dalla finestra del mio hotel vedevo la spiaggia e il porto e il
mare tranquilli, il traffico delle automobili regolare, l’azzurro del cielo
immacolato. L’Africa non avrebbe permesso che la Libia, il suo gioiello,
venisse stuprata e distrutta. Ora sappiamo di cosa sono capaci gli imperialisti
e gli orridi mostri “islamici”. Le immagini, in mondovisione, di
Muammar Gheddafi torturato, sodomizzato e assassinato e poi dell’oscena
megera ridens di hamburgerlandia sono impresse come memento
mori negli occhi di tutti anche qui, da Bashar al-Assad all’ultimo
eroico soldato o lavoratore della terra. E nessuno dimentica che solo la Siria
e l’Algeria (quest’ultimo il Paese che ospita i familiari ancora in vita del
grande Gheddafi) si opposero alla risoluzione per la no-fly zone votata
dai traditori della Lega Araba. E’ un progetto e ruolino di marcia
implacabile a suo modo grandioso, quello degli occidentali, stabilito più di
dieci anni fa. Le “primavere” dei signori del caos, l’opera enorme di
frammentazione e spoliazione “autogestita” del Medio Oriente, puntano
all’Iran e infine alla Russia. Che per prima lo sa bene. Sarà capace, avrà la
forza di opporsi a questo disegno? L’interrogativo incombe tremendo e nessuno,
in cuor suo, fa finta di illudersi. Anche perché gli agenti del nemico sono
attivi più che mai. Siamo immersi nella società degli spettri,
“superamento” di quella dello spettacolo. La base da cui si origina
ogni rappresentazione ed ermeneutica di questo genere di conflitti fornita
dagli organi del mainstream non è più la realtà, ma un
suo Ersatz costruito a tavolino ovvero in studios appositi,
una fanta-realtà virtuale, modellata ad usum Delphini. Essa giustifica di
fronte alla falsa coscienza ciò che è stato programmato, e dovrà accadere. La
ricostruzione e la messa in onda a cura di al-Jewzeera, nel deserto del Qatar,
della piazza centrale di Tripoli invasa dai manifestanti
“democratici” giorni prima della caduta stessa della città,
certificano che il sistema funziona. Ora terroristi hanno cominciato a
commettere i loro crimini con l’uniforme degli agenti della sicurezza
(cfr. http://syria360.wordpress.com/2012/04/30/busy-day-for-the-fsa-terrorism-abductions-theft-assassinations-bomb-blasts-and-sabotage-of-pipelines/).
Quel che si vuole, appunto, è che scompaia la distinzione tra vero e falso. E
alla fine la responsabilità di tutti gli orrori ricada sulle autorità
dell’ultimo Stato arabo laico e antisionista. Voltato l’angolo della strada c’è
una grande banca che ha appena subìto un attentato. A pochi passi il Parlamento
siriano, altro obiettivo sensibile. Il nostro punto di osservazione è
privilegiato.
La visita all’ospedale militare di Damasco è
un’esperienza che non dimenticherò. Per le strade della città, lungo il
percorso, vediamo affissi i manifesti delle prossime elezioni politiche del 7
maggio (in Siria lo stipendio degli onorevoli è di circa 400 euro al mese…).
Ci accoglie il generale medico e primario del nosocomio (1200 posti
disponibili), uno dei più grandi e importanti del Medio Oriente, con
specializzazioni di rilievo, soprattutto nella terapia dei tumori e nei
trapianti di midollo osseo. Attualmente sono in cura 110 feriti gravi,
molti di questi casi disperati. E ogni giorno si verificano nuovi arrivi, senza
tregua, e 15-20 decessi. E’ nato in un piccolo villaggio ad est di Homs, dove
abitano i suoi parenti, che non vede da mesi. Di fede cristiana, ha sempre
convissuto in armonia coi vicini di casa musulmani. Ora non può più nemmeno
tornare a visitare la sua famiglia. Per ragioni di sicurezza ci chiede di non
fotografarlo. Nell’ospedale approdano in continuazione militari, ma anche
civili, feriti dalle bombe, dai colpi inferti da avversari che possono
attaccare nell’ombra ad ogni istante, che (non solo) in Libia hanno già
compiuto atrocità indescrivibili… drogati, venduti, fanatici, pazzoidi,
pronti a qualunque infamia. Il medico soldato, un piccolo uomo di circa 50 anni
dagli occhi azzurri che si esprime con calma e precisione, è orgoglioso di
provenire da una famiglia di contadini poveri, perché nel Paese del
“dittatore” Assad il sistema è meritocratico. Ogni bimbo accede
gratuitamente all’istruzione: chi ha più talento e forza di volontà va avanti,
finisce gli studi e si fa onore nella professione che ha  scelto e con la
quale può essere utile alla società. Così pure, nella Repubblica Araba di
Siria, tutti i cittadini hanno diritto alle cure mediche, a spese dello Stato,
dalla culla alla tomba – in questo non c’è differenza rispetto alla Libia di
Gheddafi, di cui, per l’appunto, i predoni occidentali stanno finendo di
compiere la distruzione e il saccheggio. In Arabia Saudita la donna non può
votare né essere votata, non può nemmeno guidare l’automobile. Nella Siria
laica ha gli stessi diritti dell’uomo. Anche perciò i trogloditi maschilisti e
impotenti della sharia, aggiungo io, odiano a morte il regime siriano. Coloro
che chiedono la democrazia per gli altri, ci dice, dovrebbero innanzi tutto
realizzarla a casa propria. Il terrore islamico è una loro creazione e fa i
loro interessi, non certo quelli del popolo. E tornerà, come infezione mortale,
da chi lo ha prodotto. A proposito della Turchia, pedina centrale in questo
gioco al massacro, ricorda che durante e dopo la Prima Guerra Mondiale essa si
macchiò del genocidio non solo degli Armeni, ma anche dei Greci del Ponto e
dell’Anatolia e dei Siriaci. I tiranni turchi (dominati sotterraneamente
dai dönmeh e in combutta con gli imperialisti e coi
sionisti) sono grandi criminali di massa. Oggi mantengono alta la loro fama, al
di là della retorica e delle vuote proclamazioni. Cuore insanguinato dei
problemi in Medio Oriente è sempre la Palestina. Solo quando (se) l’entità
sionista si ritirerà dalle alture del Golan e darà ai Palestinesi il diritto di
autodeterminazione si potrà intravedere una luce. Gli chiedo cosa ci sia di
vero nelle accuse rivolte al governo di impiegare mezzi durissimi. Su di esse
si basa tutta la propaganda guerrafondaia dell’Occidente e dei suoi vari
manutengoli arabi, ma anche dei partiti e dei gruppuscoli di
“sinistra” che riferiscono ogni giorno di presunti massacri da parte
degli uomini in divisa. Gli cito il caso di uruknet (http://www.uruknet.info/), website in
inglese e in italiano di “informazione dal Medio Oriente”, e la sua
lista quotidiana di martiri causati dall’esercito. Mi risponde che si tratta di
menzogne colossali, senza pudore. Nelle zone circoscritte dove avvengono gli
scontri (a ridosso della Turchia e del Libano, ma anche in alcuni
quartieri della periferia della capitale) è la stessa popolazione che
implora i militari di non andarsene, di non abbandonarla. Il popolo chiede la
protezione dell’esercito, e l’esercito protegge il popolo nei limiti delle sue
possibilità. I mercenari  terroristi s’infiltrano tra i civili, al minimo
segno di reazione li abbattono senza pietà. E li usano come scudi
umani. Qatar e Arabia Saudita hanno fatto sapere, attraverso il loro
portavoce di Istanbul, che entro un mese bisogna riuscire a occupare Damasco e
Aleppo… il tempo stringe… In realtà la situazione potrebbe essere
risolta e l’ordine ristabilito molto velocemente dal governo legittimo. Se
questo non è ancora successo, lo si deve proprio alla sua volontà di cercare di
fare meno vittime possibili tra la popolazione civile, in una guerra che
vede un’esigua minoranza dalla parte dei rivoltosi. I quali ultimi (il
nucleo originario sembra sia composto da alcune decine di migliaia di
delinquenti comuni) compiono al grido (blasfemo) di Allāhu Akbar ogni
genere di efferatezze, istruiti in tali pratiche dai macellai della Libia, che
ne posseggono il know-how, che sanno “come si fa”. Ma il limite di
sopportazione è stato superato. D’altronde qualunque Paese ha il diritto-dovere
di difendere la propria integrità e indipendenza. Ci si può immaginare come
reagirebbero, solo per fare un esempio, gli USA se un fenomeno simile si
verificasse all’interno dei loro confini. Per fortuna l’esercito siriano è più
consistente e più forte di quello della Giamahiria ed è ancora compatto,
integro. Inoltre l’appoggio della Russia e della Cina resiste (per ora). Anzi,
proprio russi e cinesi chiedono ad Assad misure più risolute per combattere la
feccia terroristica, che naturalmente, come in Libia, senza l’intervento di
“volenterosi” capaci di bombardare e invadere è in grado solo di
creare disordini e morti, non di ottenere il risultato che i suoi padroni
auspicano.  
Incominciamo la nostra breve visita insieme col
giornalista cubano Luis Beaton, di “Prensa latina”. 
E’ un
cammino tra la sofferenza e la dignità. Ecco Mohamad Abu Rmeh Khaled Latkani,
soldato di 22 anni che i terroristi hanno picchiato selvaggiamente a un posto
di blocco 12 giorni fa, sparandogli poi una gragnola di colpi. Sopravvissuto
per miracolo, potrebbe morire da un momento all’altro. 
Il fatto si è
svolto sotto gli occhi degli “osservatori” orwelliani dell’ONU, già
visti in Iraq e su tanti altri fronti delle guerre imperiali: spie che
monitorano la consistenza e l’ubicazione dei mezzi di difesa del Paese
aggredito e passano le informazioni a chi di dovere, fornendo ai media notizie
utili alla propaganda degli aggressori (registrano sempre solo le dichiarazioni
degli antigovernativi). E poi Ihsan Jaavar, altro giovane ferito grave che il
25 aprile è stato vittima, coi suoi commilitoni, di un attacco nella città
di Ḩuwayjat
ad Darah da parte di 300 terroristi. Gli amici sono morti. Per lui le
stelle avevano deciso diversamente. 

Incontriamo in un’altra stanza di
questa via crucis il colonnello Ahmed Mansur. 
Il suo caso, la sua persona
mi colpiscono in modo particolare. Ha perso una gamba in un attentato e non
possono togliergli le bende perché la ferita ancora sanguina. Con un filo di
voce, ma occhi scintillanti che parlano più delle parole, ci dà il benvenuto in
Siria, nella sua amata patria. I nemici della libertà hanno preso in ostaggio
davanti a lui, prima che la bomba esplodesse, un gruppo di civili e li hanno
immolati come agnelli. Sono capaci delle peggiori barbarie… smembrano e
mutilano le vittime… ma incredibilmente, mentre accenna a questi incubi,
emana dal suo volto una luce radiosa, come se si trovasse già al di là delle
malvagità e delle miserie. Ricorda con un sorriso, prima che lo abbracci
accomiatandomi, il proverbio secondo cui i cattivi medici pretendono di curare
il mondo mentre sono loro gli ammalati più gravi… 
C’è, tra gli altri
militari, un ragazzo andato a proteggere una manifestazione antigovernativa (!)
e quasi scannato… 
e un brigadiere dell’esercito, prelevato a Damasco e
lasciato per strada dai criminali sicuri di averlo ucciso… pure lui
sopravvissuto perché la sua ora non era ancora giunta. 

E ci sono anche
vittime civili: un padre che ha visto spirare il figlio e che è stato colpito a
sua volta, 

un commerciante di Hama al quale hanno sparato solo perché non
scendeva in piazza coi ribelli del Kali Yuga… 
Ci chiamano dal cortile,
dove sta per arrivare un’ambulanza con le spoglie di un giovane di Damasco,
appena falciato da una bomba. Un’ambulanza!… piuttosto un misero pulmino
irriconoscibile… una vera ambulanza sarebbe sotto il tiro dei terroristi… è
successo a Gaza durante Piombo Fuso, e avviene qui. 
Aveva 22 anni Mohamad
Musa Alfahad, soldato di leva. 
Usciamo tutti, anche il primario… sa di
dover assistere alla stessa scena terribile che si ripete ogni giorno. I
familiari, stretti insieme come in una morsa, ancora non vogliono crederci.
Fuori, all’angolo dell’entrata di servizio, la pila delle casse funebri,
quattro poveri assi di legno inchiodati sul dolore, che attendono i nuovi
arrivi. 
E’ proprio lui, è volato via… rimane solo il suo volto, gli
occhi chiusi per l’eternità. Ho ancora nell’orecchio le urla strazianti dei
fratelli e della madre, abbarbicati a quella bara muta come a un’àncora,
all’ultimo albero dell’ultima foresta… Poi tutto finisce, l’ospedale si fa
lontano, l’imbrunire ci riporta in albergo. E’ finito anche il nostro primo
maggio in Siria, il giorno della festa dei lavoratori del mondo. 

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