Phil Jacobs contro i rabbini pedofili della comunità ortodossa di Baltimora

Phil Jacobs contro i rabbini pedofili della comunità ortodossa di Baltimora

Phil Jacobs

MAI PIÙ IN SILENZIO

Phil Jacobs, direttore esecutivo del Baltimore Jewish Times, e il regista Scott Rosenfelt denunciano le violenze sessuali nella comunità ebraica ortodossa di Baltimora.

Di Andrea Appleton, 9 marzo 2011[1]

Alla fine del mese scorso, Phil Jacobs, direttore esecutivo del Baltimore Jewish Times, stava facendo le valige e si sentiva preoccupato. Stava andando all’Atlanta Jewish Film Festival. Standing Silent [Rimanere in silenzio], un documentario diretto da Scott Rosenfelt – produttore di Home Alone [Mamma, ho perso l’aereo], Mystic Pizza, e Smoke Signals [Segnali di fumo], tra i molti – fa la cronaca della ricerca di Jacobs, durata diversi anni, per denunciare le violenze sessuali all’interno della gretta comunità ebraica ortodossa di Baltimora. L’Atlanta Film Festival era stato uno dei primi ad accettarlo, ed è stato il primo cui ha partecipato Jacobs.

“E così questo film sta uscendo”, ha detto Jacobs. “Continuo a spingere e a spingere ed è quasi ora”. I suoi articoli sulle violenze sessuali hanno fatto i nomi dei perpetratori, un tabù agli occhi di qualcuno all’interno della comunità ebraica ortodossa, cui Jacobs appartiene. Qualcuno lo ha accusato di lashon hora, il termine ebraico che designa la maldicenza verso qualcun altro, un peccato serio. Il film era destinato a riaccendere questo tipo di idee da parte dei suoi critici. Ma c’era un’altra ragione, più personale, per cui Jacobs si sentiva preoccupato. Era forse la stessa ragione per la quale lui aveva portato avanti così a lungo e con tanta energia la sua serie sulle violenze sessuali: quand’era adolescente, Jacobs venne stuprato.

Le violenze sessuali all’interno della Chiesa cattolica sono state argomento di pubblico dibattito per almeno un decennio, ma la notizia delle molestie nella comunità ebraica ortodossa è emersa più lentamente, spesso perché i suoi membri avevano la tendenza a tenere segreto uno scandalo del genere. Ma, in misura crescente, pubblicazioni come la Jewish Week [Settimana ebraica] di New York City hanno iniziato a esplorare l’argomento, mentre le vittime hanno iniziato ad andare alla polizia. Negli ultimi anni, sono stati pubblicati almeno quattro libri  sulle molestie sessuali nel mondo ortodosso, e diversi eminenti rabbini hanno pubblicamente parlato del bisogno, da parte della comunità, di affrontare il problema. A Baltimora, lo sgradito privilegio di gettare luce sull’argomento è caduto su Jacobs.

“Non sapevo che sarei diventato lo scrittore del Jewish Baltimore sull’argomento molestie”, dice. Lo ha sentito più o meno come un obbligo, dice, forse imposto da Dio. Quattro o cinque anni fa, Jacobs prese parte ad un gruppo di mutuo soccorso per vittime ebraiche, in maggioranza ortodosse, di molestie. Erano presenti circa 18 uomini e donne, e ognuno raccontò la propria storia: “Conoscevo quasi tutti quelli che stavano nella stanza”, dice Jacobs, “e fu davvero, davvero straziante”.

Dopo l’incontro, uno dei partecipanti chiamò Jacobs e gli chiese di scrivere un articolo su quello che gli era capitato”. “Non sapevo se sarei riuscito a sostenere una cosa del genere”, dice Jacobs. “ma assunsi il ruolo del reporter e lo ascoltai”. L’esperienza del giovane lo colpì così da vicino che Jacobs lasciò il notebook in un cassetto per mesi, incapace di affrontare la stesura dell’articolo. Il giovane continuava a chiamare. “Lui continuava a spingermi e a spingermi e alla fine dissi: ‘OK, scriverò la storia’”, dice Jacobs. Nel febbraio 2007, “Today, Steve is 25” [Oggi, Steve ha 25 anni] venne pubblicato.

Improvvisamente, persone che sostenevano di essere vittime di molestie fermavano Jacob in drogheria, lo avvicinavano in palestra, gli scrivevano e-mail. “Era una domenica pomeriggio: promisi alla mia famiglia che la cosa sarebbe rimasta tra noi”, dice Jacobs. “E il telefono squillava, e stavo in sala da pranzo al telefono ad ascoltare ancora un’altra storia”.

Quel marzo, Jacobs andò in Florida con i suoi amici Bob e Scott Rosenfelt, per l’allenamento di primavera degli Orioles[2], un rito annuale. A causa della passata esperienza, Jacobs non riesce a dormire da solo in una camera con un altro uomo, così le prenotazioni negli alberghi diventano una difficoltà. “Mio fratello Bob era solito dire: ‘Assicurati, quando prendi delle camere per delle persone, di prendere sempre una singola per Phil’, ricorda Scott Rosenfelt. “Un paio di anni come quelli e io ero arrivato al punto di dire: sì? E allora, tutti vogliono una camera singola. Così dissi a mio fratello: ‘Qual è il problema?’”.

Ecco come Rosenfelt apprese che Jacobs era stato vittima di violenze sessuali su un minore. “Fu circa a quell’epoca che Phil iniziò a scrivere quegli articoli per il Jewish Times”, dice. “Collegai il suo retroterra personale a quanto stava facendo professionalmente…”.

Rosenfelt decise lì per lì che era il momento di realizzare il suo primo documentario. Alla fine del 2007, una piccola troupe seguiva Jacobs a casa, al lavoro, persino in un viaggio in visita da sua figlia in Israele. E a quell’epoca, le storie di Jacobs avevano prodotto qualche fermento.

Nell’aprile del 2007, egli pubblicò il primo di una serie di articoli su un defunto membro della comunità ebraica ortodossa di Baltimora: il rabbino Ephraim F. Shapiro. Era un uomo molto rispettato; circa 700 persone avevano partecipato nel 1989 al suo funerale. L’articolo citava tre uomini che sostenevano di essere stati vittime di Shapiro, e indicava la possibilità che Shapiro ne avesse molestate centinaia.  “Se sei un sopravvissuto o se conosci qualcuno che è sopravvissuto a molestie sessuali di qualunque genere, qui avrai ascolto”, recitava l’articolo.

La reazione fu devastante. Signore che fermavano Jacobs nelle corsie dei supermercati per inveire contro di lui per aver pubblicato il nome di un uomo che non si poteva più difendere. Rabbini che gli consigliavano di non pubblicare più articoli. Il rabbino Moshe Heinemann, capo di Star-K, una locale agenzia di certificazione di prodotti kosher – e una delle più grandi del Nord America – chiese di metterlo al bando dal Baltimore Jewish Times. La sua lettera definiva l’articolo “malvagio” e recitava tra l’altro: “È mia opinione che è del tutto inadatta ad una pubblicazione come questa destinata a tutte le case ebraiche”.

“Questa storia venne fuori e fu allora che capii che ero finito in un combattimento per cani”, dice Jacobs. Persone che affermavano di essere vittime uscirono allo scoperto, dicendo che la tale o la tal’altra ben nota figura della comunità le aveva molestate: Shapiro, o il rabbino Jacob Max, fondatore di un’importante sinagoga di Pikesville, o altre figure eminenti. Le accuse contro Max rappresentarono per Jacobs un trauma particolare. Max era il rabbino di famiglia di sua moglie. “Questo è l’uomo che ha sposato mia moglie e me”, dice. “Il suo nome sta sul nostro contratto di matrimonio”.

E ogni volta che Jacobs scriveva una storia, i blog lanciavano accuse. “Prendi alla leggera l’imbarazzo [sic] provocato a membri di famiglia con il recente articolo sul Jewish Times?”, si leggeva sul blog FailedMessiah, riguardo a un articolo sul rabbino Shapiro. “La Halacha dice che imbarazzare [sic] qualcuno in pubblico è simile all’omicidio”.

Un altro commento, riguardo a un articolo su un altro presunto colpevole, recita: “Il problema è, il grande problema è, che noi seguiamo una Torà e Phil Jacobs lo afferma lui pure. Cose come il Watergate e le regole del cosiddetto giornalismo sono irrilevanti. Ciò che ha fatto è assolutamente proibito, secondo la Torà”.

Per Rosenfelt, quella tensione tra il ruolo di Jacobs come giornalista e il suo ruolo di ebreo osservante – per non parlare della sua storia segnata dalle violenze sessuali – faceva di lui un grande personaggio per un documentario. “È combattuto, ha dei doveri in mondi differenti”, dice. “E ha fatto una scelta in favore dell’umanità, non solo per la sua religione”.

Rosenfelt dice di aver ingaggiato un distributore e intende far vedere il film – che è stato in parte finanziato con una sovvenzione del Sundance Institute Documentary Film Program – in altri festival e eventualmente in sedi televisive come la HBO. Al momento, non vi sono progetti stabiliti di proiettarlo a Baltimora. Ma, dice Rosenfelt, in  un modo o nell’altro qui avrà delle ripercussioni. “Io faccio film che la gente vede davvero”, dice.

Jacobs ha permesso alla troupe del film un accesso quasi totale. A ciò, ha contribuito il fatto che Rosenfelt aveva, tramite suo fratello Bob – che è ortodosso e l’amico più stretto di Jacobs – qualcosa di più che una fuggevole familiarità con la locale comunità ebraica. “Era come se questo fosse un documentario antropologico e dovessi vivere con la tribù per cinque anni prima che si fidassero di me”, dice Rosenfelt. “È un po’ quello che è successo. Conoscevo queste persone da 20 anni, non sapevo che avrei fatto tutto ciò. Quando è venuto il momento, ho pensato che era molto meglio che fossi io piuttosto che qualcun altro a mettere il microfono sulla faccia delle persone”.

Il rabbino, e psichiatra, Abraham Twerski, intervistato nel film “Standing Silent”

 La troupe del film sta lì mentre Jacobs intervista le presunte vittime. Le videocamere girano quando Jacobs chiama Max per dirgli che è stato accusato di molestie (“Nella mia vita non ho mai molestato nessuno”, risponde Max. “Tutto ciò è stupido e viene da una terra di stupidi”. Alla fine del film, Max è stato condannato per molestie sessuali ai danni di una donna che ha la metà dei suoi anni). In una scena, Jacobs piange di gioia dopo aver appreso dell’arresto di un uomo chiamato Yisroel Shapiro – figlio del rabbino Ephraim F. Shapiro – in base ad accuse di molestie sessuali. “Lo abbiamo preso”, dice, abbracciando il suo editore. Più tardi, dice al suo terapista: “Per me, è la manifestazione, come se Big Bob [il suo stupratore, un gelataio ambulante] fosse stato messo in galera”.

Questo tipo di coinvolgimento emotivo non è quello che ci si aspetterebbe da un reporter, ma Jacobs non pensa di doversi scusare per il suo sostegno alla causa. Dice che il suo direttore e il suo terapista erano lì per fare in modo che mantenesse la propria obbiettività, e che la comunità ebraica ricevesse un appello ad aprire gli occhi. “Avevamo tutti bevuto il Kool-Aid[3] che questo agli ebrei non succedeva”, dice. “Abbiamo imparato che se accade ai cattolici, accade agli ebrei. Accade a chiunque”.

I critici – sui blog e altrove – lo hanno accusato di pubblicare articoli su presunti violentatori di bambini senza vere prove, basandosi sulla parola di sedicenti vittime. Ma Jacobs dice che c’erano troppe persone che hanno corroborato le storie per poterle ignorare. “Venivano fuori gli stessi nomi, e non ero io a cercarli”, dice. “Non è come se gli stessi dando la caccia”. Afferma che c’è più di una storia che non ha scritto perché non c’erano abbastanza prove.

Le ripercussioni personali della serie [di articoli] sono state enormi. Jacobs dice di aver perso amici e non si sente più a suo agio in posti che una volta erano fondamentali nella sua vita. “È davvero coraggioso dire: ‘Ragazzo, sono contento di aver scoperto tutto ciò’”, dice, riguardo all’incidenza delle violenze sessuali dentro la locale comunità ebraica. “Ebbene, fa proprio schifo scoprirle”. Vi sono, nondimeno, altri articoli sull’argomento che arriveranno sul Jewish Times, compreso uno che suscita attualmente preoccupazioni di ordine legale. Lui sta anche scrivendo un libro intitolato The Ice Cream Man [Il gelataio] sulla sua esperienza personale di violenze. La risposta a queste prese di posizione da parte di certi settori della comunità ebraica non è certo simpatetica, ma Jacobs è tranquillo.

“Mi fermo, e penso molto, e capisco che non mi sento separato da Dio”, dice. “Mi sento separato da certe persone della comunità ebraica di Baltimora? Sì. E da certi posti della comunità? Sì. Ma è un problema loro, non mio”.    

Yisroel Shapiro a processo per le accuse di molestie sessuali
 
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://citypaper.com/news/silent-no-more-1.1116004
[2] Squadra professionistica di baseball: http://it.wikipedia.org/wiki/Baltimore_Orioles
[3] Modo di dire che fa riferimento al nome della bevanda mortale (aromatizzata all’uva e mescolata con cianuro di potassio) che venne fatta bere nel 1978 da Jim Jones ai propri seguaci affinché si suicidassero in massa. Di qui il detto “to drink the kool-aid”: http://www.urbandictionary.com/define.php?term=drink+the+kool-aid

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