Schegge revisioniste: lo storico articolo di Ditlieb Felderer sugli ascensori di Auschwitz

Schegge revisioniste: lo storico articolo di Ditlieb Felderer sugli ascensori di Auschwitz

Ditlieb Felderer, il pioniere dell’approccio tecnico-scientifico ai campi detti “di sterminio”
ALCUNI FATTI RIGUARDANTI GLI ASCENSORI
Di Ditlieb Felderer (1979, traduzione di Andrea Carancini)
Come tutte le altre questioni riguardanti il seppellimento e lo smaltimento dei cadaveri nei campi gli sterminazionisti creano delle terribili confusioni sui presunti “ascensori”[1], “ascensori per cadaveri”[2], o “ascensori”[3] esistenti nei crematori.
Hoess sembra voler dire che c’era un ascensore per cadaveri in ogni crematorio: a quali si riferisca è impossibile da stabilire sulla base della sua confusa descrizione[4]. È certo che i crematori 1, 4 e 5 non avevano bisogno di ascensori in quanto le loro camere mortuarie erano al livello dei forni.
Hoess non fa menzione di un “carretto”[5] o di “scivoli”[6] per mezzo dei quali i corpi venivano portati nei forni ed è evidente dalle sue parole che lì non c’era nulla del genere[7].
Ecco come Nyiszli descrive gli ascensori. Di nuovo, non possiamo stabilire a quale crematorio si riferisca. A quanto pare si riferisce al crematorio 1[8], che è generalmente conosciuto come crematorio 2:
“I Sonderkommando…legavano delle cinghie attorno ai polsi, che erano serrati come in una morsa, e con queste cinghie trascinavano i cadaveri scivolosi agli ascensori della stanza accanto [a quanto pare, da questa descrizione, gli ascensori non erano direttamente collegati con la “camera a gas”]. Quattro grandi ascensori erano in funzione. Essi caricavano dai venti ai venticinque cadaveri per ascensore. Il suono di una campana era il segnale che il carico era pronto a salire. L’ascensore si fermava nella stanza di incenerimento del crematorio, dove grandi porte scorrevoli si aprivano automaticamente. Il kommando addetto al carico era pronto e in attesa. Di nuovo le cinghie venivano fissate ai polsi dei morti, che venivano trascinati in scivoli appositamente costruiti che li scaricavano davanti ai forni”[9].
Non abbiamo assolutamente nessuna prova che ci fossero “quattro grandi ascensori”, che si tratti del crematorio 2 o del crematorio 3. Non sappiamo neanche se disponessero di un ascensore di piccole dimensioni, sebbene sarebbe stato ragionevole trovarne lì uno poiché gli ascensori per cadaveri erano stati in funzione per molto tempo e Shirer cita un ordine di conferma per tre ascensori[10]. I funzionari [del Museo] di Auschwitz non hanno finora pubblicato nessun progetto relativo a questi ascensori. Secondo il detto ordine citato da Shirer i crematori 2 e 3 dovevano avere ognuno tre ascensori:
“ALLA DIREZIONE CENTRALE DELLE COSTRUZIONI DI AUSCHWITZ:
OGGETTO: crematori 2 e 3 per il campo. Accusiamo ricevuta del vostro ordine per cinque forni a tre muffole¸ inclusi due ascensori elettrici per sollevare i cadaveri e un ascensore di emergenza. È stato anche ordinato un impianto funzionale per l’alimentazione del carbone e uno per il trasporto delle ceneri”[11].
La nostra [di Felderer] ispezione dei luoghi sostiene la conclusione che non vi furono mai quattro grandi ascensori per ognuno dei crematori 2 e 3, e che non ve ne fu certamente neanche uno nel crematorio 1. Un ascensore per mezzo del quale potevano essere sollevate dalle 20 alle 25 persone non sarebbe cosa da poco. Anche oggi pochi ascensori sostengono tali carichi. La diceria di Nyiszli è perciò una pura assurdità.
Nyiszli si lamenta degli ascensori a causa del “frastuono delle loro porte che sbattono fragorosamente”, il cui rumore raggiungeva la sua stanza[12]. La sua stanza (egli la chiama “la mia stanza”[13]) era situata nel crematorio 1[14]. Se nel crematorio 2 vi fosse stato un ascensore (a quanto pare quello che Nyiszli chiama “crematorio numero uno”[15]) il fattore rumore poteva essere possibile, poiché un’autorità svedese sui crematori ci ragguaglia sui modi di impedire il rumore di un ascensore (FIG. 1). Sembra strano tuttavia che questo luogo, presuntamente progettato così bene per lo sterminio, costruito nel modo più raffinato, non fosse stato fornito di ascensori silenziosi, specialmente alla luce del fatto che quelle vittime, in attesa di essere gasate, avrebbero dovuto sentire i rumori spaventevoli proprio come Nyiszli asserisce di averli sentiti, e rimanerne inquietate – e tuttavia [ci viene detto che] costoro non sospettavano nulla!
Per impressionare le persone sulla vastità e la gravità dello sterminio che ebbe presuntamente luogo nei crematori, gli sterminazionisti tirano in ballo la nozione degli ascensori per cadaveri[16]; va detto però che non siamo a conoscenza di analoghe dicerie su ascensori a Majdanek e in altri campi. Tutto ciò è totale spazzatura. Se dimostra qualcosa, dimostra la mancanza di prove degli stermini nei crematori. In realtà, essa dimostra l’opposto [di quanto vorrebbe] e indica che i nazisti avevano a cuore le schiene dei lavoranti e che perciò costoro venivano aiutati nelle loro mansioni quotidiane nei crematori.
Già nel 1897, Meyers parla di un ascensore e mostra anche un’immagine di esso[17]. Altri menzionarono degli ascensori molto tempo prima. Nel 1912, un’autorità svedese parla di come una costruzione svedese, a Stoccolma, progettata dopo il crematorio di Mainz, in Germania, avesse un ascensore che, in questo caso, depositava la bara [direttamente] nel forno crematorio[18].
Constatiamo così che ascensori di di diversa struttura e per diversi scopi erano attrezzature comuni nei crematori. La ragione della loro esistenza non aveva nulla a che fare con lo sterminio ma era dovuta al fatto che è difficile maneggiare e trasportare cadaveri. Poiché gli edifici talvolta avevano più di un piano, che di solito era costituito da un seminterrato, utilizzato come cella frigorifera per i cadaveri, gli ascensori divennero una necessità.
Essi vennero anche utilizzati per conferire [alla cremazione] un’aria più solenne e decorosa. In tal modo, i crematori potevano competere con il metodo di seppellimento ordinario per mettere in atto uno smaltimento dei cadaveri che fosse il più decoroso possibile. È in gran parte per queste ragioni che le cremazioni divennero popolari presso l’opinione pubblica, altrimenti maldisposta verso una tale novità, che spesso incontrava l’ostilità di certe confessioni religiose. Più di una volta abbiamo chiesto alle autorità [del Museo] di Auschwitz di acquistare dimestichezza con le pratiche basilari di cremazione dei cadaveri onde evitare in tal modo di rendersi ridicole, oltre, beninteso, a evitare di ingannare i turisti e i polacchi che, per motivi religiosi, non hanno familiarità con la cremazione.
I CARRETTI E ALCUNI FATTI AD ESSI RELATIVI
Ogni volta che siamo stati ad Auschwitz – e all’interno del crematorio 1 – non abbiamo potuto fare a meno di notare come le guide di Auschwitz facciano grandi show sui carretti che venivano usati per trasportare i cadaveri nei forni riscaldati. Certe guide hanno l’abitudine di gesticolare in modo espressivo, accompagnando ai gesti dei rumori, per evidenziare ai turisti gli orrori nazisti.
Hoess, come abbiamo visto, non fa menzione di carretti, il che è strano. Nyiszli parla di un “carretto”[19] e forse si tratta di quello che costui definisce “gli scivoli appositamente costruiti” con cui i “morti…venivano trascinati”[20].
Shirer cita due offerte. Una di esse offriva: “Per mettere i corpi nel forno, suggeriamo semplicemente un forcone metallico che si sposta su cilindri”[21].
In realtà, non c’è nulla di strano su questi carretti ed essi non furono invenzioni naziste ma strumenti basilari in tutti i crematori fin dall’epoca in cui vennero inventati, e, quindi, molto tempo prima dell’epoca in cui il nazismo ne era a conoscenza. Versioni più rozze di essi vennere utilizzate a Dachau, a Majdanek e a Stutthof. Una versione moderna di esso si può vedere nella figura 2, presa da un’autorità svedese sulla costruzione dei crematori. La grande differenza, in questo caso, è che il cadavere viene posto dentro una bara, dopo di che la bara con dentro il cadavere viene inserita nel forno per mezzo di un carretto che funge anche da montacarichi per sollevare o abbassare la bara.
Ovviamente, per le indottrinate guide di Auschwitz che vengono incontro alla dabbenaggine dei turisti e che non sono mai state all’interno di un crematorio in attività, e che conoscono anche meno come essi funzionano, questo strumento basilare servirà da prova suprema delle atrocità naziste. Vogliamo tuttavia ribadire ancora una volta che questa attrezzatura si può trovare in tutti i crematori del mondo e non ha niente a che fare con l’esecuzione di atrocità ma serve a inserire i corpi in modo decoroso all’interno dei forni, salvaguardando nello stesso tempo la schiena dei lavoranti che, altrimenti, soffrirebbero di lombaggine.
[1] Vedi William Shirer, The Rise and Fall of the Third Reich: A History of Nazi Germany [Titolo dell’edizione italiana: Storia del Terzo Reich; ultima edizione disponibile: http://www.ibs.it/code/9788806187699/shirer-william-l-/storia-del-terzo.html ], Fawcett World Library, New York, USA, 1968, p. 1264; Miklos Nyiszli, Auschwitz: A Doctor’s Eye-witness Account [Auschwitz: la testimonianza oculare di un dottore; ultima edizione italiana disponibile: http://www.libreriauniversitaria.it/sono-stato-assistente-dottor-mengele/libro/9788890322730 ], Granada Publishing Limited in Mayflower Books, Frogmore, St. Albans, 1978, pp. 49, 88.  
[2] Gerald Reitlinger, The Final Solution: The Attempt to Exterminate the Jews of Europe 1939-1945 [Titolo dell’edizione italiana: La soluzione finale: il tentativo di sterminio degli ebrei d’Europa 1939-1945; esaurito in libreria], A. S. Barnes & Company, Inc., New York, 1961, p. 150.
[3] Rudolf Hoess, Commandant Of Auschwitz: The Autobiography of Rudolf Hoess [Comandante ad Auschwitz; ultima edizione italiana disponibile: http://www.ibs.it/code/9788806173845/hoss-rudolf/comandante-auschwitz.html ], Pan Books Ldt., London, 1974, pp. 215, 224.
[4] Ibidem.
[5] M. Nyiszli, op. cit. p. 51.
[6] Ivi, p. 50.
[7] R. Hoess, op. cit., p. 224.
[8] M. Nyiszli, op. cit., p. 41.
[9] Ivi, pp. 49-50.
[10] W. Shirer, op. cit., p. 1264.
[11] Ibidem.
[12] M. Nyiszli, op. cit., p. 88.
[13] Ivi, pp. 41, 45.
[14] Ivi, p. 73.
[15] Ibidem.
[16] W. Shirer, op. cit., p. 1264, R. Hoess, op. cit., pp. 215, 224; Gerald Reitlinger, op. cit., p. 150; M. Nyiszli, op. cit., pp. 49, 89.
[17] Meyers Konversations-Lexikon: Ein Nachschlagwerk des allgemeinen Wissens (quinta edizione), Leipzig und Wien, 1897-1898, undicesimo volume, p. 180.
[18] Nordisk Familjebok: Konversationslexikon Och Realencyklopedi (seconda edizione), Stockholm, 1904-1926, sedicesimo volume, pp. 482-483. A detta di Felderer: “Una delle enciclopedie migliori, più versatili ed esaurienti mai pubblicate”.
[19] M. Nyiszli, op. cit., p. 51.
[20] Ivi, p. 50. Per le relative immagini, vedi: Tadeusz Mazur, Jerzy Tomaszewski, Stanislaw Wrzos-Glinka (curatori), 1939-1945 We Have Not Forgotten [1939-1945: Non abbiamo dimenticato], Polonia Publishing House, Warszawa, 1960, pp. 110-113; Kazimierz Marcinek (curatore), Adam Bujak, Adolf Gawalewicz, Auschwitz-Birkenau, Wydawnictwo Sport i Turystyka, Warszawa, senza data, pp. 41, 44, 45, 46; Udo Walendy, Bild “Dokumente” für die Geschichts schreibung?, Verlag für Volkstum und Zeitgeschichtsschreibung, 4973 Vlotho/Weser, 1973, p. 66.  
[21] W. Shirer, op. cit., p. 1265; vedi l’immagine a colori in Tadeusz Mazur, op. cit., p. 113, e in Walendy, op. cit., p. 66.

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