Copertina del Mémorial de la deportation des Juifs de Belgique, 1982 |
AUSCHWITZ-BIRKENAU:
SELEZIONE DEGLI ABILI AL LAVORO (“FILA DI DESTRA”)
E DEGLI INABILI PER IL CREMATORIO (“FILA DI SINISTRA”)
Esempio: il convoglio belga n°XXV arrivato il 21 maggio 1944[1]
Di Jean-Marie Boisdefeu (1998)
La versione ufficiale e obbligatoria, quella che degli Stati pseudo-democratici ma cripto-fascisti ci impongono per via legale (prova se ve n’è che la Bestia Immonda non è morta davvero), è che, all’arrivo ad Auschwitz-Birkenau, le SS separavano i nuovi venuti per sesso e poi in due file: da una parte, la “fila di destra” costituita dagli abili al lavoro, provvisoriamente risparmiati e destinati ad una morte rapida mediante il lavoro; dall’altra parte, la “fila di sinistra” costituita dagli inabili al lavoro, destinati ad essere immediatamente gasati e inceneriti (i malati, gli invalidi, i bambini e gli adulti che li accompagnavano). Coloro che non credono a tutto ciò sono dei miscredenti, anzi, degli esseri abietti e addirittura, dopo un po’, dei criminali del Pensiero (secondo Lionel Jospin). Allora vediamo il caso del convoglio belga XXV arrivato ad Auschwitz il 21 maggio 1944, vale a dire all’inizio del periodo più nero della storia di Auschwitz (come abbiamo già detto, i calcoli indicano che fu necessariamente in quest’epoca che vi furono delle punte giornaliere di 24.000 gasati).
Alla data del 21 maggio 1944, il Kalendarium[2] indica: “Arrivo del convoglio 25 proveniente da Malines (Belgio) con 507 ebrei a bordo (228 uomini, 29 ragazzi, 221 donne, 29 bambine). È probabile che 200 ebrei di altra origine sia stati aggiunti a questo convoglio durante la selezione all’arrivo, in seguito alla quale 300 uomini e 99 donne sono stati ammessi al campo e immatricolati da A-2546 a A-2845 (per gli uomini) e da A-5143 a A-5241 (per le donne). Le 300 altre persone circa sono state gasate”.
Un testimone oculare conferma d’altronde la cosa: si tratta di Régine B., che fu, per anni, vice-presidente della Fondation Auschwitz di Bruxelles e che ha instancabilmente testimoniato in tutte le scuole delle Fiandre; ella ha anche pubblicato poco tempo fa il racconto della sua deportazione ad Auschwitz nel detto convoglio XXV[3]. La descrizione della selezione all’arrivo che fa Régine B. è assolutamente conforme al dogma olocaustico: vi si parla di SS armate, di fruste, di cani latranti (tutte cose, si noterà, che non si ritrovano nelle numerose foto che sono state scattate nella stessa Auschwitz); beninteso, Régine B. non dimentica, di passaggio, di insultare i revisionisti che potrebbero mettere in dubbio il suo racconto. Ma cosa è successo precisamente sulla rampa? “Alla fine della strada [capire: di quale?] il comandante del campo o il medico del campo: con un movimento della mano a destra o a sinistra, decidevano se si doveva sparire subito dopo o se si aveva il diritto di vivere ancora un poco. I vecchi, i malati, gli infermi, le persone che portavano un bambino in braccio o alla mano, le donne incinte e degli interi gruppi di ragazzi venivano immediatamente inviati a sinistra. Per essere gasati e cremati: ma noi non lo sapevamo ancora”. È qui che si situa un episodio ricorrente, un classico della testimonianza olocaustica, pressoché un “must”: Régine scende dal treno portando in braccio un bambino la cui mamma, sfinita, le ha affidato ma che la di lui nonna recupera al momento della selezione: “È questo che mi ha salvato la vita: con il bambino tra le braccia sarei stata immediatamente inviata alle camere a gas. È in questo modo che sono sopravvissuta a questa prima selezione”.
In questo stesso convoglio XXV si trovavano una signora di 44 anni, Esther T. e sua figlia di soli 9 anni, Friedel R.. A questa età, Friedel non poteva evidentemente che essere inviata nella fila di sinistra, quella degli inabili da gasare, in compagnia della madre. Va in effetti ricordato che, salvo eccezioni, le SS non separavano mai i bambini dalla loro madre; anche i ragazzi seguivano la loro mamma nel campo delle donne, figurando al contempo nella statistica del campo degli uomini. Per gli storici, se le SS agivano in tal modo, non era per umanità ma allo scopo di semplificarsi il compito: l’abile così sacrificato (poiché lo si gasava allorquando lo si sarebbe potuto mettere al lavoro) le aiutava a mantenere l’ordine nei ranghi delle vittime; si tratta di un’interpretazione assolutamente incoerente, d’altronde, ma poco importa poiché ciò che conta, in questo caso, è che Esthr accompagna logicamente sua figlia nella fila di sinistra. Esther e la sua piccola Friedel furono dunque immediatamente gasate e i loro corpi ridotti in cenere. Lo si può verificare: esse non fanno parte delle 99 donne che vennero risparmiate e immatricolate da A-5143 a A-5241 (tra cui Régine B., immatricolata A-5148). Altri documenti lo confermano: anche il Mémorial de la déportation des Juifs de Belgique[4] indica chiaramente che tutti i bambini del convoglio sono stati gasati all’istante.
La verità, in realtà, è tutt’altra: se è vero che Esther e sua figlia sono state sì inviate nella fila di sinistra, non sono state però gasate e questo per l’inevitabile ragione che esse sono tornate in Belgio! Lo si può verificare senza fare delle grandi ricerche poiché esse figurano nella lista nominativa dei superstiti pubblicata dall’Administration des Victimes de la Guerre di Bruxelles. I preti [della religione olocaustica[5]] forse obbietteranno subito che Friedel era stata risparmiata per essere fatta oggetto di sperimentazioni mediche [altra banalità olocaustica] e che è riuscita a sopravviverne e, chi sa, alla fine non vi è stata sottoposta per una ragione o l’altra; questa obiezione maligna non può evidentemente essere accettata poiché, in questo caso, Friedel sarebbe stata inviata nella fila di destra e immatricolata con Régine B..
In realtà, Esther e sua figlia furono infine immatricolate, ma a parte rispetto alle 99 donne della fila di destra; esse ricevettero rispettivamente i numeri A-5769 e A-3099 nelle serie attribuite a degli ebrei cechi e ungheresi (se si dovesse credere al Kalendarium, il che non sarebbe ragionevole).
Cosa è successo, allora? Secondo una nota redatta da un’associazione affiliata al Service International de Recherche di Arolsen (Aide aux Israélites victimes de la Guerre), Esther ha dichiarato che dopo la selezione è stata inviata con sua figlia nel “campo per famiglie” di Birkenau e che esse vi sono restate fino alla liberazione del campo da parte dei russi nel gennaio 1945. E che cosa hanno fatto durante quel periodo? Esther ha dichiarato di aver lavorato in un Aussenkommando” (un gruppo di lavoro all’esterno del campo). E cosa ne fu degli altri – donne, bambini e altri inabili – della famosa fila di sinistra? Curiosamente, non avendo la consapevolezza di scrivere la storia, il funzionario che l’ha interrogata ha notato semplicemente: “Non ha saputo nulla di ciò che succedeva al trasporto poiché è stata prima nel Familienlager”. Una cosa è certa: la sorte che hanno conosciuto Esther e la sua piccola Friedel non è spiegabile alla luce della versione ufficiale della storia, vale a dire all’ombra del dogma.
La morale di questa storia è che non si può fondare la storia sulle sole testimonianze, provenienti da testimoni degni di fede e al di sopra di ogni sospetto, soprattutto 50 anni dopo i fatti: essi raccontano in anticipo ciò che hanno letto su cosa avrebbero visto piuttosto che quello che hanno visto davvero; a fortiori quando costoro ricorrono ai servigi di un “negro” (come nel caso di Régine B., che si è fatta aiutare da un professore di morale, militante della Memoria ben conosciuta). Restano gli indici materiali: quando li si intravede, il loro esame dà a pensare che l’operazione di selezione non terminava con la gasazione degli inabili. Solo gli spiriti religiosi mi contraddiranno.
9[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.vho.org/aaargh/fran/bsdf/articlesbdf/bdf_217f.html
[2] Disponibile in rete in edizione italiana all’indirizzo: http://www.associazioni.milano.it/aned/kalendarium/
[3] “KZ A5148”, EPO, Bruxelles, 1992.
[5] Nota del traduttore
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