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Alexander Lukashenko insieme a Hugo Chavez |
Da Gian Franco Spotti ricevo e volentieri pubblico questo testo. A seguire una mia postilla.
SOCIAL-NAZIONALISMO: IL PENSIERO POLITICO DI ALEXANDER LUKASHENKO
(BIELORUSSIA)
Data: 27 Agosto 2011
A cura di: Matthew Raphael Johnson
Fonte: The Occidental Observer (USA)
“ Quì noi partiamo dal presupposto che la mentalità, le tradizioni ed il modo di vita della gente non possono essere cambiati dall’oggi al domani. Devono proprio essere cambiati? Non è possibile buttare popoli non preparati nell’abisso del mercato “ (Alexander Lukashenko, 2002)
“ Ancora una volta ci siamo sentiti parte di quell’insieme che è il popolo della Bielorussia. Una cosa è certa: una nazione sana sta per essere formata nel nostro paese. Sana non solo fisicamente, ma anche spiritualmente “ (Alexander Lukashenko, 2009)
Alexander Lukashenko è oggi probabilmente il politico più calunniato al mondo. Le ragioni non sono difficili da scoprire. Contrariamente alle chiacchiere sulla sua presunta “ tirannia “, Lukashenko è sotto attacco a causa del suo successo.
Va detto che, in verità, la Bielorussia ha più partiti di opposizione importanti di quanti ve ne siano negli USA; ha anche una stampa che in parte è di proprietà dello stato, ma anche molti giornali legali di opposizione, in parte finanziati dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Tuttavia il suo successo non è basato su questo.
Lukashenko viene sacrificato perché ha dimostrato il successo economico del modello social-nazionalista, o ciò che lui definisce il modello del “ mercato sociale “ in opposizione al capitalismo liberista.
Non c’è dubbio che questo modello ha forti associazioni nazionali, è generalmente pro-Russia e guarda verso Est per il suo futuro economico, piuttosto che verso l’occidente malato terminale.
La Bielorussia fu uno dei più essenziali componenti della vecchia Unione Sovietica. Ha un istruzione elevata, con specializzazioni in elettronica, trasporto carburanti e raffinazione. Ciò la rende altamente strategica ed una minaccia per il debole occidente.
La Bielorussia è una terra sconosciuta alla maggior parte degli americani, perfino a quegli americani che si spacciano per “esperti” di affari internazionali.
Questo è anche uno dei motivi per il quale l’elite occidentale, incluso l’ex candidato alla presidenza John MacCain, hanno fatto dell’attacco alla Bielorussia uno degli aspetti principali della loro vita politica. (Ad esempio il Weekly Standard esalta la figura di un economista sullo stile di Ayn Rand che vorrebbe come presidente della Bielorussia; Michele Brand invece denuncia su Counterpunch il furioso attacco alla Bielorussia). Il paese ha la stessa dimensione del Kansas, con poca diaspora in America. Pare che la sola ragione razionale per i costanti attacchi a questo piccolo paese sia quella che serve per attaccare la Russia , uno spauracchio neo-conservatore, semmai ve ne è stato uno.
Istruzione russa, tecnologia petrolifera e metanifera, istituti scientifici e risorse naturali possono essere il solo razionale motivo per questo costante martellamento di attacchi retorici.
Il fatto che la Russia e la Bielorussia abbiano visto una sostanziale crescita economica e incrementi nella capitalizzazione finanziaria, mentre l’occidente sembra sprofondato per sempre nel debito e nel decadimento sociale, è un qualcosa che sconcerta i “conservatori americani del mercato libero“.
Poco tempo fa McCain pare abbia rivelato il contesto economico delle sue spesso farneticanti accuse alla Bielorussia, in un suo recente viaggio nei Paesi Baltici: “noi apprezziamo la decisione presa dall’Unione Europea nell’adottare il divieto di visto d’ingresso, ma pensiamo che si debba arrivare a sanzioni economiche sulle compagnie energetiche bielorusse che sovvenzionano quel regime per opprimere il proprio popolo“. Infatti, ogni volta che emerge una discussione sulla Bielorussia nella vita politica di McCain, dietro si annidano sempre le risorse energetiche.
McCain ha ricevuto decine di milioni di dollari da compagnie petrolifere in America, Israele, Paesi Bassi e Gran Bretagna, e sono il pretesto o almeno la ragione finanziaria per questa strana ossessione.
Eletto nel 1994, Lukashenko ha picchi di popolarità che i politici occidentali si sognano o che comunque invidierebbero. Dal 1994 la spettacolare crescita economica bielorussa, la diversificazione produttiva, il surplus commerciale e la bassa disoccupazione hanno mantenuto la popolarità del presidente alle stelle, in genere attorno al 60/70% dei consensi.
Di recente, l’Organizzazione TNS Global Research, con sede a Londra, ha intervistato 10.000 bielorussi sul loro presidente. Il risultato è stato un Lukashenko con una forte popolarità attestarsi a circa il 75% e questo nell’autunno del 2010. Pertanto le accuse di brogli elettorali sono una stupidaggine. Anzi, l’opposizione è altamente divisa, inefficace e profondamente insicura sui propri programmi.
Qual è la base della sua popolarità? E’ la sua consapevolezza che la Bielorussia ha bisogno di una politica economica che serva gli interessi nazionali. Mentre le economie di Russia e Ucraina vennero devastate e portate via dal paese dagli oligarchi agli inizi degli anni 90 con l’appoggio del Dipartimento di Stato, del Fondo Monetario Internazionale e dell’Università di Harvard, la Bielorussia tenne in sospeso il programma di privatizzazione. Al Fondo Monetario Internazionale fu chiesto di lasciare il paese e, da quel momento, Lukashenko fu definito “l’ultimo dittatore d’Europa”. Non è una coincidenza che il grosso dell’opposizione americana nei suoi confronti venga dall’Università di Harvard, specialmente dalla facoltà di legge, incluso Yarik Kryovi, che ad un determinato momento lavorò per “Radio Liberty”, di proprietà di George Soros, e come avvocato per la Banca Mondiale. Il suo curriculum elenca i suoi impieghi per “clienti privati” dei quali non farà mai il nome. L’elite di potere vuole la testa di Lukashenko poiché diventa sempre più popolare fra la plebe del paese.
I risultati di Lukashenko sono eccezionali. Secondo le statistiche della Banca Mondiale, aggiornate al 2010, la Bielorussia evitò la recessione/depressione che ha stretto nella morsa l’occidente. Le banche bielorusse, per lo più di proprietà dello stato, incrementarono la loro capitalizzazione di almeno il 20% mentre il contribuente occidentale era obbligato a tappare i buchi delle stesse banche che condannavano il governo di Minsk.
Dal 2001 al 2008 la media della crescita economica bielorussa era di almeno il 9%, quasi uguale a quella della Cina. Mentre le economie occidentali si contraevano nel 2010, l’economia bielorussa cresceva di circa il 6%, con un 10% di aumento nella produzione industriale ed un 27% di aumento nelle esportazioni. Il reddito reale, cioè il reddito adeguato all’inflazione ed al costo della vita, aumentò di circa il 7% nel 2010.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, la disoccupazione bielorussa nel 1991 era dello 0%, ma andò al 4% nel 1996 quando la Russia e l’Ucraina furono messe in liquidazione dall’interno.
Sotto la ferma guida di Lukashenko nel fermare le privatizzazioni e nell’arrestare i banditi che tentarono di mettere in liquidazione l’economia, il Fondo Monetario Internazionale afferma che la disoccupazione nel 2008 scese all’1%. Le Nazioni Unite dicono la stessa cosa.
Senza esagerazione, questi dati, tutti da fonte avversaria, indicano che la dirigenza di Lukashenko fu ed è un successo. Questa è la ragione principale della sua popolarità e il motivo per il quale egli viene rieletto di continuo su basi regolari. Ma la domanda importante è: che cos’è che serve come base per la dirigenza di Lukashenko? La risposta è: l’idea “ social nazionalista e di mercato sociale”. La dottrina ufficiale bielorussa sullo sviluppo dice:
La Bielorussia ha scelto di seguire la via dello sviluppo evolutivo ed ha rifiutato le disposizioni del Fondo Monetario Internazionale come la terapia shock e le privatizzazioni a valanga.
Dopo molti anni di lavoro creativo, è stato messo in atto il modello bielorusso di sviluppo socio-economico – il modello che combina i vantaggi dell’economia di mercato e l’efficiente tutela sociale. Il nostro concetto di sviluppo è stato elaborato restando in linea con la continuità storica e le tradizioni del popolo. Il modello bielorusso mira a migliorare l’esistente base economica anziché portare una rottura rivoluzionaria del precedente sistema.
Il modello economico bielorusso contiene gli elementi di continuità nel funzionamento delle istituzioni statali ovunque esso ha dimostrato la sua efficienza.
In altre parole, la visione di Lukashenko in questo caso è quella di una “ terza via “ fra il socialismo ed il capitalismo. Prende ciò che c’è di buono dal libero mercato, senza amministrare con forte statalismo ed evitando che la crescita economica vada a vantaggio dei soliti pochi. Ciò che il Marxismo ed il Capitalismo hanno in comune sono i loro risultati: totale disparità di potere, ricchezza ed accesso. Che sia il partito della classe oligarca, questi moderni e materialistici sistemi altro non servono che a far trasferire massicce ricchezze dal lavoratore all’oligarchia. Che questi oligarchi affermino di lavorare “per il popolo”, “il partito” o la “libertà americana”, non fa alcuna differenza. Il risultato è esattamente lo stesso.
In un incontro col suo Gabinetto e altre importanti persone del governo e delle forze armate nel Marzo 2002, Lukashenko riassunse le sue vedute politiche. Vale la pena citarne alcune:
Quali sono gli aspetti che distinguono il nostro modello?
Primo: forte ed efficiente autorità dello stato. Salvaguardare la sicurezza dei cittadini, assicurare giustizia sociale e ordine pubblico, non permettere l’espandersi del crimine e della corruzione è infatti il ruolo dello stato. Solo l’autorità forte è riuscita a trascinare l’economia bielorussa fuori dall’abisso economico.
I nostri vicini col tempo si sono accorti che se non c’è una forte gerarchia dell’autorità, la liberalizzazione dell’economia nel periodo di transizione porta instabilità sociale ed un inaudito disordine. Ne risulta una pubblica ingovernabilità.
In quanto a noi, avevamo all’inizio la chiara idea che la prematura espansione delle relazioni di mercato non ci avrebbero permesso di risolvere radicalmente nessuno dei principali problemi esistenti. Anzi, nuovi problemi sarebbero emersi, causati appunto dalla particolarità delle relazioni di mercato. Il consenso popolare si sbriciolerebbe portando conflitti ed instabilità. Ed è la stabilità politica una delle condizioni principali per la graduale integrazione nell’economia mondiale. La definirei come uno degli aspetti o delle conseguenze (chiamatele come volete) peculiari del modello di sviluppo dell’economia bielorussa.
Noi partiamo dal presupposto che la mentalità, le tradizioni ed il modo di vita della gente non possono essere cambiati dall’oggi al domani. Devono proprio essere cambiati? Non è possibile buttare popoli non preparati nell’abisso del mercato. Ci vogliono decenni per elaborare un nuovo panorama mondiale.
Il secondo aspetto peculiare del nostro modello sta nel fatto che il settore privato può e deve svilupparsi assieme al settore pubblico. Ma non a discapito degli interessi nazionali. Mi spiego: se sei un privato, ciò non implica il fatto che tu possa fare ciò che vuoi. Gli interessi nazionali, lo stato, devono essere la principale priorità ed il principale obiettivo per il lavoro di ogni cittadino, impresa o imprenditore la cui produzione sia basata sulla proprietà privata.
Questa non è una campagna di retorica, ma serve come base di politica di governo dalla metà degli anni 90.
Lo stato deve essere forte, onesto e guidato con competenza, perché l’alternativa sarebbe il controllo oligarchico e la sostituzione delle leggi statali in quelle private.
Lo stato mantiene un atteggiamento protettivo verso i suoi cittadini, un’idea originale in un epoca dove le elite occidentali hanno sistematicamente eroso gli interessi dei loro popoli, in particolare per quanto riguarda l’immigrazione. Mentre l’Unione Sovietica cadeva a pezzi, solo lo stato rimaneva a salvaguardare un minimo di principio del bene pubblico. La Russia di Eltsin sotto il controllo del Fondo Monetario Internazionale ne fu incapace, dimostrando l’incompetenza e la corruzione di queste agenzie multinazionali. Solo in Bielorussia questo stupro economico fu fermato.
L’ignoranza dei “sostenitori del libero mercato“ viene dimostrata dalle loro conoscenze sulla Russia.
Pensavano, attorno al 1990, che se il governo avesse rinunciato alla sua “mano invisibile”, tutto sarebbe andato bene. Ciò che non tenevano in considerazione erano le radicali disuguaglianze nell’accesso al potere. Quelli con buoni impieghi governativi, ricchezze da mercato nero e altre forme di “grigio” accesso al potere, erano esattamente quelli nella posizione migliore per prendere in mano il controllo. Sotto la debole dirigenza di Eltsin e del Fondo Monetario l’economia russa era ad un passo dalla sua scomparsa. Il lavoro di decenni del popolo russo fu liquidato e trasferito in America, Cipro, Israele ed America Latina nel nome della “libertà” e della “democrazia”.
Il “libero mercato” è uno slogan, un modo per legittimare la già esistente distribuzione di potere. Non ci fu mai un vero e proprio tempo di “libero mercato”, ma anzi, esistette solo grazie alle furbizie da parte di coloro che riuscirono ad affermarsi durante la decadenza dell’Ancien Régime in Europa nel periodo dell’Illuminismo. Le vecchie tutele sociali del contadino e del cittadino medievale furono messe a parte in questa corsa oligarchica al progresso, al denaro e al potere.
La stessa cosa accadde in Russia ed Ucraina agli inizi degli anni 90. La debole dirigenza di governo significò la liquidazione del sistema statale, economico e legale. Nel suo discorso di Fine Anno 2009, Lukashenko aggiunse ulteriori dettagli a questo approccio di base:
Ci fu urgentemente consigliato di mettere l’economia al comando delle leggi del mercato mondiale di scambio. Ma decidemmo di non fidarci di queste tendenze volatili.
Noi non siamo coloro che hanno provocato la crisi di oggi che sta inviando onde d’urto in tutto il mondo. Anzi, la crisi è arrivata come il risultato di un qualcosa che siamo sempre stati determinati a combattere.
Le parole centrali sono: “Sottolineo: se sei un privato, questo non significa che tu possa fare tutto ciò che vuoi“. E’ la nazione che viene prima. La nazione qui è la tradizione bilingue della Bielorussia fra russo e bielorusso. E’ slavo-ortodossa e agraria. E’ basata su una fondamentale distribuzione egualitaria di terra e risorse nel nome della solidarietà etnica e nazionale. Progresso economico non significa niente se a beneficiarne sono solo pochi. Il nazionalismo implica solidarietà, specialmente in un piccolo e vulnerabile paese sotto costante attacco.
Gli aspetti più “etnici” della sua teoria politica sono esposti nel suo famoso saggio: “ Sulla Scelta Storica della Bielorussia “.
In genere lo scopo dello stato in questo insieme è di garantire un riparo sicuro ed un perpetrarsi delle tradizioni specifiche dei popoli che vivono all’interno. Questo include la civiltà contadina, la vita urbana, le specifiche tradizioni etniche di polacchi, bielorussi e russi che vivono all’interno della Bielorussia. Il punto non è tanto quello che lo stato rappresenti una specifica tradizione nazionale, ma quello vitale di conservare le tradizioni nazionali dei popoli che vivono all’interno dei suoi confini. Non esistono stati etnicamente puri e quindi la miglior cosa che può fare uno stato è quella di tutelare le tradizioni etiche e le varianti regionali esistenti.
Nel suo discorso nell’Aprile del 2002 allo Stato dell’Unione, Lukashenko affermò:
I diritti e le libertà devono essere in armonia con le responsabilità delle violazioni delle leggi stabilite dallo stato.
Lo sviluppo dell’economia bielorussa implica non solo l’incentivazione alla piccola e media impresa (per quanto, come ho già detto, ciò deve e sarà incoraggiato). Storicamente l’industria bielorussa sta a significare grandi industrie. C’è solo una via percorribile: aggiornare e riattrezzare le grandi industrie esistenti così da produrre articoli competitivi di nuova generazione. Se guardate bene, in tutto il mondo si fondono imprese multinazionali. Perché dovremmo rovinare, dividere e distruggere le nostre gigantesche aziende di alto contributo? Bisogna dare loro fiducia. Nel portare avanti la sua politica lo stato deve, innanzitutto, fidarsi di questi giganti che ci hanno mantenuti e nutriti. Sono necessari enormi investimenti per questo, che non possono essere attratti senza cambiare la forma di proprietà.
La sua dottrina di “diritto sociale” è che non ci sono diritti astratti. Essi vengono contestualizzati in un modo di vita, quello del collettivo nazionale. Ad esempio nessuno ha il diritto di fare qualcosa che danneggi la vita economica del paese. I diritti, in occidente, sono parole insensate senza alcun significato. Esistono solo per mettere fine ad una discussione. Ad esempio, un uomo d’affari americano può dire: “ho il diritto di fare questo“ mentre cerca di far produrre merci in Cina.
Giustificare un tale presunto “diritto” è un’altra cosa, ma l’atto vero di reclamare un “diritto” di fare qualcosa mette la parola fine ad ogni discussione. Lukashenko chiede, non quali sono i vostri “diritti”, ma qual è la cosa “buona” da fare. Nessuno ha il diritto di minare il bene pubblico, specialmente per un tornaconto personale. Il punto focale della legge è di proteggere il lavoro dall’arroganza e dal culto feticista nel denaro della classe dirigente. Solo una dirigenza politica forte, capace di camminare sulle teste dei potenti, può modellare tali leggi.
Lukashenko e la Bielorussia hanno raccolto i frutti di questa politica.
Affrontando il furioso attacco occidentale, nel suo messaggio allo Stato dell’Unione nel 2006, Lukashenko non si è risparmiato, dicendo:
La linea di politica di sviluppo del paese da noi stabilita si è dimostrata essere giusta. Alte percentuali di crescita economica che la nostra economia sta dimostrando già da oltre 10 anni, ne sono un’ottima prova. Fate un confronto: la crescita annuale del nostro Prodotto Interno Lordo nell’ultimo programma quinquennale è stato del 7,5% contro un 3,5% della media mondiale.
I teorici occidentali non spiegano le ragioni di un tale successo, perché questo non rientra nel loro schema “democratico”.
Le ragioni comunque sono semplici. Non ci siamo appropriati indebitamente della ricchezza del popolo, non ci siamo indebitati. Confidando su noi stessi, abbiamo elaborato il nostro proprio modello di sviluppo basato su riforme equilibrate e ben ponderate, senza privatizzazioni selvagge e terapie shock, conservando ciò che c’era di meglio nella nostra economia e nelle nostre tradizioni.
Nel contempo abbiamo imparato a lavorare sulla base di nuove condizioni di mercato, avvalendoci dell’esperienza in altre parti del mondo e tenendo in considerazione le moderne tendenze dell’economia mondiale.
Forte potere dello stato, forte politica sociale e fiducia nella gente, questo è quello che c’è dietro al nostro successo.
La democrazia liberale in occidente ha significato, in termine reali, il continuo trasferimento del lavoro dell’operaio americano nelle tasche delle banche e delle imprese multinazionali.
Quando le banche fallirono, queste chiesero triliardi di dollari agli stessi contribuenti per continuare a prestare. Molto di questo denaro andò oltre i confini e nelle tasche dei principali operatori come Goldman-Sachs.
Nelle elezioni del 2008, la Goldman spese gigantesche somme di denaro per entrambi i candidati. Chiunque avesse vinto nel 2008 avrebbe avuto la Goldman come suo principale beneficiario. Questa è la democrazia liberale e questo è in gran parte il motivo del fallimento americano.
Nel far fare le valige agli oligarchi occidentali, Lukashenko fece due cose: primo, egli si assicurò la popolarità ed il successo politico, mentre, secondo, si guadagnò l’odio della classe politica occidentale. Va notato che all’incontro del Bilderberg del 2010, non un singolo russo o bielorusso fu invitato. Lo stesso avvenne nel 2011 (comunicazione personale di Jim Tucker).
Nel suo saggio “ Scelta Storica “, Lukashenko condanna la forma di Libero Mercato praticata dall’Unione Europea. Per lui, il campo di gioco è già a favore delle elites negli stati potenti dell’Unione. Nel 2003 Lukashenko scriveva che nella UE, stati come la Grecia o il Portogallo non potevano competere con paesi avanzati come la Germania o l’Inghilterra. I benefici che la Grecia prende dalla UE esistono esclusivamente nell’interesse delle classi dirigenti, mentre la gente soffre. Le merci tedesche o francesi invadono il mercato greco facendo fallire gli artigiani greci.
Quando Lukashenko usa il termine “indipendenza”, non lo si intende solo come uno slogan, ma come una realtà morale. Indipendenza significa indipendenza economica, entreremo nel mercato globale alle nostre condizioni e non a quelle delle banche. Indipendenza significa che, mentre la Bielorussia sarà sempre un popolo slavo e ortodosso, non verranno ignorati i temi di giustizia nella scelta degli alleati di Minsk. Non ci deve essere dipendenza da nessuno. La dipendenza da altri stati per l’energia, componenti industriali ecc. significa automaticamente che il popolo ha perso ogni potere sulla sua vita economica ed il suo benessere è esclusivamente nelle mani di altri, di stranieri.
In Bielorussia, il lavoratore sarà coinvolto a tutti i livelli nelle decisioni di natura economica ed avrà una parte di controllo sulla vita economica di cui gode.
Nella commemorazione del 60° anniversario del massacro di Katyn, nel 2003, Lukashenko disse:
Dobbiamo ancora analizzare ed imparare lezioni dagli attuali eventi. Ma già oggi è chiaro che il sistema dell’ordine mondiale è stato distrutto a causa della guerra in Irak, il ruolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato ridotto a zero, il diritto internazionale è stato calpestato, il principio di non imposizione esterna a qualsiasi popolo nel suo sistema di governo e di potere è stato violato. Il popolo della Bielorussia condanna l’aggressione degli Stati Uniti d’America. Lo stesso fanno i popoli e gli stati del mondo, inclusi persino i più stretti alleati degli USA.
Lukashenko ha coerentemente caldeggiato le Nazioni Unite come un mezzo per controllare il potere imperiale americano. Inoltre egli apprezza che le Nazioni Unite abbiamo incluso le nazioni più povere del mondo coinvolgendole nelle decisioni di politica estera. Lukashenko ha rifiutato ogni forma di governo globale, ma vede tuttavia di buon occhio il ruolo costruttivo di alcune organizzazioni internazionali nel tutelare i più deboli dai più forti. Egli sposa “il principio di non ingerenza esterna“ con forme di stato o di ideologia su di un popolo. Egli condanna la crociata ideologica americana per il petrolio, Israele e la dottrina oligarchica di “democrazia liberale”.
Lukashenko vede le crociate ideologiche non come interventi morali o manifestazioni di disinteressato umanitarismo, ma come pretesti per il rude potere oligarchico.
Nella teoria etica di Lukashenko, l’oligarchia è la peggiore forma di governo. Storicamente, da Novgorod a Venezia a New York, le oligarchie hanno usato il liberalismo, il “republicanismo” e la manipolazione dei media come pretesto per il loro personale potere.
Su una simile falsa riga, Lukashenko, nel suo discorso nel 2006 ai capi del corpo diplomatico presenti in Bielorussia, dichiara:
Se parliamo di rispetto per gli stati, la loro indipendenza e sovranità, il loro diritto di scegliere il loro futuro, il diritto dei popoli di eleggere i loro leaders, il rispetto del diritto alla vita e al lavoro, paghe e salari equi, il diritto all’uguaglianza di tutti davanti alla legge, il diritto alla libertà di opinione e di espressione secondo la legge, non a discapito dei diritti di altri popoli, noi ci riconosciamo in questi valori. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea non hanno il monopolio su questi diritti. La nostra nazione per questi valori ha pagato un prezzo molto più grande degli USA e della UE.
Come sempre Lukashenko mostra la distinzione fra un politico ed uno statista. Sono concetti come questo che hanno permesso a quest’uomo di diventare uno dei politici più popolari nel mondo slavo.
Ancora una volta, il Presidente bielorusso considera i “diritti” astratti né più né meno come pretesti per il crudo potere oligarchico. Gli Stati Uniti invadono i diritti e la sovranità di altri stati non per proteggere il popolo da “abusi dei diritti umani“ ma per servire gli interessi del suo settore privato iper-cresciuto ed eccessivamente ricco.
Mentre la stampa occidentale ripete continuamente l’errata affermazione che i media bielorussi sono “di proprietà statale“ , essi si conformano ad un’unica linea sugli argomenti più importanti, specialmente in politica estera. Inutile dire che il controllo oligarchico sui media occidentali è fin troppo noto da non meritare ulteriori commenti.
Il fatto che il Presidente della Bielorussia ritenga che l’ostilità occidentale sia dovuta a “influenze esterne”, fa decisamente pensare che egli si riferisca alle fonti etniche e finanziarie di potere. Ciò è importante poiché va dritto al centro delle sue idee sociali. Lo stato è una fonte di autorità morale e di bene pubblico. Quando questo stato viene catturato da elementi stranieri, allora diventa soltanto un’agenzia coercitiva dell’oligarchia.
Quindi, prendendola un po’ alla lunga, Lukashenko lancia l’accusa che gli stati occidentali non sono pubblici, ma sono piuttosto delle entità private. Se essi dovessero ritornare ad essere entità pubbliche, cesserebbero immediatamente le ostilità contro il sistema politico bielorusso.
CONCLUSIONE
Afferrando le idee politiche di Lukashenko, al di là delle distorsioni mediatiche, molti temi emergono ripetutamente:
1 – Un nazionalismo che mette in rilievo la sicurezza economica del suo piccolo paese.
Etnicità e religione sono importanti perché servono come base di solidarietà per le
principali preoccupazioni economiche della gente.
2 – Il continuo attacco sul “concetto astratto” dei “diritti umani” o della “libertà economica”.
Siccome i concetti astratti possono significare qualsiasi cosa che l’interessato voglia, essi
vengono usati come copertura nell’esercizio del colonialismo e dell’imperialismo
economico.
3 – In casi di emergenze, come ad esempio il crollo delle economie russa e ucraina all’inizio degli
anni 90, lo stato ha la responsabilità di assumere il ruolo di proteggere la popolazione
dall’oligarchia e dagli attacchi esterni. Questo è ancora più evidente nel caso di stati più
piccoli e vulnerabili.
4 – Nessuno stato può funzionare quando viene invaso dall’oligarchia e dall’ideologia del
“libero mercato”. Questi si preoccupano solo dei beni privati, mentre lo stato serve
esclusivamente il bene comune. Lo stato serve il bene comune nel momento in cui usa la
sua autorità contro la concentrazione di potere economico e l’interferenza straniera egoista.
5 – Lo stato sottintende il suo ruolo solo alla luce dell’esperienza storica e delle tradizioni etniche
del suo popolo.
6 – L’economia esiste per l’intero popolo. Se questa non serve in bene pubblico, non ha
legittimità morale, indipendentemente da tutti i “diritti” che vengono menzionati all’opposto.
7 – Lo stato ha un legittimo ruolo economico sia nei media che nell’economia. Esso non ha alcun
diritto di governarli in modo totalitario, ma, in particolare in periodi di tensione, ha il diritto
di far sentire la sua voce. Un forte settore statale non è la stessa della “tirannia”.
8 – Non c’è alcuna vera distinzione morale fra controllo dello stato e controllo oligarchico
9 – I media sono una delle armi più potenti al mondo. Perciò andrebbero maneggiati come una
qualsiasi altra arma. Le elites mediatiche sono spesso oligarchiche e centralizzate ed usano i
loro imperi nel tentativo di controllarne altri. Un media libero pertanto è una versione mista,
che permette diversi punti di vista. Questo è più probabile che avvenga in Russia o Bielorussia
che negli USA.
10 – Nessun governo ha il diritto di ingerirsi negli affari interni di un altro. In particolare
quando questa ingerenza è sfacciatamente di natura egoistica e serve esclusivamente
gli interessi dell’oligarchia economica.
11 – “Il Popolo“ è un altro di questi concetti astratti che non significa niente. Usando la parola
“Il Popolo” l’interlocutore deve riferirsi ad un determinato popolo, ad una lingua specifica,
ad una tradizione storica, nonché ad un determinato contesto sociale.
12 – Giustizia internazionale, nel caso significasse qualcosa, si riferisce ad uno stato di cose dove
ai gruppi etnici del mondo, alle razze e alle religioni viene data l’indipendenza di
svilupparsi secondo la loro propria tradizione storica e non secondo gli slogan ideologici
dell’attuale egemonia.
13 – La giustizia internazionale implica anche enti internazionali obiettivi e politicamente
neutrali che possano mediare su divergenze al di fuori di un agenda ideologica.
Ciò è lontano dal “governo mondiale” e fa riferimento soltanto ad alcuni accordi che
possono risolvere problemi internazionali in modo neutrale prima che questi portino allo
scoppio di una guerra.
Matthew Raphael Johnson è uno scrittore professionista, un ex professore universitario specializzato in storia e teologia dell’Ucraina e della Russia.
La sua tesi di dottorato all’Università del Nebraska era sulla natura dei metodi scientifici come mezzo per una rivoluzione politica. Ha insegnato all’Università del Nebraska Lincoln e all’Università Mount St. Mary. E’ l’autore di 5 libri, di cui il più recente è: Populista Russo: La Teoria Politica di Vladimir Putin pubblicato dalla Barnes Review Press.
Ospita un programma radiofonico: Il Nazionalista Ortodosso sulla rete Reason Radio.
Traduzione a cura di: Gian Franco Spotti
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Il “marito deficiente” di Carla Signoris: tempo fa ironizzava su Berlusconi perchè aveva fatto visita al “dittatore” Lukashenko. Nella neolingua orwelliana, chi difende lo stato sociale è un dittatore |
POSTILLA
di Andrea Carancini
Non bisogna vergognarsi di un uso corretto del termine nazionalsocialista!
Nell’interessante articolo di Johnson un termine, riferito a Lukashenko, suscita la mia perplessità: quello di “socialnazionalismo”. In realtà, dal contesto dell’articolo in questione (“Il punto non è tanto quello che lo stato rappresenti una specifica tradizione nazionale, ma quello vitale di conservare le tradizioni nazionali dei popoli che vivono all’interno dei suoi confini. Non esistono stati etnicamente puri e quindi la miglior cosa che può fare uno stato è quella di tutelare le tradizioni etiche e le varianti regionali esistenti”) la concezione dello statista bielorusso sembra più vicina al socialismo nazionale degli esponenti della sinistra del NSDAP – quella, per intenderci, di Otto e Gregor Strasser – che al nazionalismo sociale (“socialnazionalismo”) di Hitler.
Non sembri una questione di lana caprina.
Giustamente, gli esponenti della sinistra nazionalsocialista, sostenevano infatti che, nell’associazione dei due termini (nazionalismo e socialismo) l’accento andava posto sul socialismo:
«“Sì – disse Gregorio, che ascoltava serio [un burrascoso colloquio tra Hitler e Otto Strasser] – alla destra prenderemo il nazionalismo che per sua disgrazia ha sposato il capitalismo, dalla sinistra prenderemo il socialismo, la cui unione con l’internazionalismo è disastrosa. Così formeremo questo
socialismo nazionale[1], forza motrice di una nuova Germania e di una nuova Europa”. Però – aggiunsi –
l’accento in questa alleanza dovrà essere portato sulla parola socialismo. Non chiamate voi il vostro programma con una sola parola, nazionalsocialismo, signor Hitler? La grammatica tedesca ci dice che in questa specie di parole composte il primo elemento serve da qualificativo al secondo, che è l’elemento essenziale”»
[2].
Aggiunse poi Otto Strasser (in un secondo burrascoso colloquio con Hitler):
«”Le vostre concezioni razziali…che voi avete preso in prestito al signor Rosenberg non distruggono solamente la grande missione del nazionalsocialismo, che sarebbe la costituzione di una “nazione” tedesca, ma sono ancora fatte per disgregare il popolo tedesco”»
[3].
Come si sa, la sinistra capeggiata dai fratelli Strasser venne poi eliminata fisicamente da Hitler nel 1934, ma ciò non toglie che gli esponenti del nazionalsocialismo – nel suo significato letterale e genuino – erano i primi e non il loro aguzzino (e usurpatore).
La damnatio memoriae in cui è caduto tale termine non deve inibire l’uso del suo corretto significato.
Tornando a Lukashenko, utilizzare, per difenderlo, il termine “socialnazionalismo”, significa alimentare davvero quell’accusa di “dittatore” (e quindi, di “nuovo Hitler”) che l’oligarchia mondialista gli ha speciosamente appioppato.
Riappropriamoci del significato delle parole: non ne lasciamo il monopolio ai “Maestri del Discorso!
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