Nel suo
LA FONTE DEL PETROLIO – brevi annotazioni in margine alla richiesta di riapertura delle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini[1], Giovanni Giovannetti scrive:
“Lo «Stato nello Stato» e cioè l’antistato di Eugenio Cefis, Licio Gelli e Umberto Ortolani consegna infine il testimone alla monocrazia mediatica dell’affiliato Silvio Berlusconi (tessera P2 n. 1816), che il 18 gennaio 1994 insieme a Marcello Dell’Utri (membro dell’Opus Dei e amico di Gaetano Cinà, esponente della famiglia mafiosa dei Malaspina, vicina al boss Stefano Bontade) fonda Forza Italia”.
Vicenda di Pasolini a parte, la narrativa del brano suddetto è quella che vede in Berlusconi il mandante occulto delle stragi di mafia del ’92-’93: la narrativa, per intenderci, del DVD “Sotto scacco”
[2], e che ha in Marco Travaglio il propalatore più famoso. Bene, io non sono d’accordo con questo tipo di narrativa. Perché? Perché questa versione dei fatti ha il difetto fondamentale di dare dei “misteri” italiani una lettura puramente
domestica, occultando, in tutto o in parte, il ruolo delle interferenze
americane nel nostro paese.
È vero che la mafia è una presenza ricorrente nell’italica strategia della tensione ma, troppo spesso, si tende a dimenticare che i suoi atti eversivi nascono su imput provenienti da oltreoceano, e questo non da oggi
ma dal 1944[3]. Il presente contributo ha lo scopo di illustrare, in modo sommario e senza alcuna pretesa di completezza, la costante dei rapporti governo americano-mafia negli episodi di violenza eversiva e terroristica del nostro paese, dall’arrivo di Lucky Luciano in Sicilia alle bombe del 1993. Più che altro, è una raccolta di citazioni, senza pretese di originalità nella raccolta del materiale ma necessaria, a mio avviso, di fronte al permanente strabismo della stampa di regime.
Prima di cominciare con la cronologia, però, vorrei evidenziare almeno uno dei motivi del mio scetticismo su Berlusconi presunto stragista occulto: è vero che Berlusconi a suo tempo fece parte della P2 (loggia eminentemente atlantica) ma pochi ricordano che ne uscì almeno 20 anni fa, secondo il parere autorevole del Gran Maestro Gioele Magaldi, che sto per citare. Berlusconi, a mio avviso, non rappresenta la massoneria stragista ma è un outsider, il capo di un contropotere, sia pure anch’esso massonico, che all’establishment è sempre stato inviso.
Qualche mese fa,
il Fatto Quotidiano ha pubblicato su tutto ciò gli estratti di un’intervista a Magaldi
[4], da cui riprendo il passaggio più significativo:
Domanda: “Berlusconi e la massoneria…
Risposta: Non fu un fatto superficiale l’adesione di Berlusconi alla P2 di Gelli, come tante volte si è sentito dire. Non è finita lì. Il suo interesse alla massoneria, al mondo dell’esoterismo e dell’iniziazione lo coinvolge da sempre in modo significativo. Lui, che aveva già fatto studi esoterici prima, viene iniziato ai riti massonici da Giordano Gamberini e Licio Gelli. Entrambi in rapporti organici e strutturati con la CIA. Tramite Flavio Carboni e Giuseppe Pisanu è stato in grandi e costanti rapporti con Armando Corona, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1982 al 1990. Poi, sempre tramite Carboni, Pisanu e Corona, è stato in rapporti stretti con lo scomparso presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Domanda: Questo in gioventù, e poi?
Risposta: Berlusconi è una sorta di maestro illuminato che, autonomamente, ha conquistato i gradi della sua successiva iniziazione. Ha frequentato direttamente il vertice, prima Gelli, poi il Gran Maestro Corona e altri del suo entourage. Non ha fatto vita di loggia, cessata la P2 non si è iscritto altrove. Ne ha fatta direttamente una sua…
Domanda: In che senso?
Risposta: Nei primi anni ’90 si dice che abbia ritenuto di aver compiuto il proprio percorso di formazione massonica in modo così adeguato da poter costituire un gruppo autonomo e indipendente (…). È una persona con un’altissima percezione di sé.
Domanda: Che riconoscimento ha questa “loggia fatta in casa”, da parte delle altre logge?
Risposta: Berlusconi ha rapporti con tutti gli ambienti massonici internazionali.
Il problema è che oggi questi rapporti sono in crisi. È il suo problema più grande: la parte maggioritaria (…) ritiene che Berlusconi sia diventato un problema per l’Italia e non la soluzione…”
[5].
Passiamo ora alla (sommaria) cronologia dell’eversione atlantico-mafiosa in Italia.
Come premessa, e anche a mo’ di introduzione, segnalo questo passo del giornalista Antonio Nicaso, intervistato da Ferruccio Pinotti nel suo
FRATELLI D’ITALIA[6]:
“«C’è stato un patto strategico tra poteri criminali, finanziari e politici che ha compromesso la democrazia italiana. Dal caso Sindona al piduismo degli anni Ottanta, fino a Tangentopoli a alle ultime stragi [quelle del ’92-‘93], è emerso il ruolo della massoneria deviata, della mafia e dei servizi segreti che, sotto l’ombrello atlantico, hanno dato vita a un “governo invisibile”, illegale e impunito. Sarebbe interessante analizzare le dinamiche di questa “alleanza”, la sua crisi attuale, ma anche il tentativo dei “poteri forti” di ristrutturarsi per condizionare i poteri politici negli anni a venire.»”.
CRONOLOGIA SOMMARIA, DAL 1943 AL 1993, DEL PATTO STRATEGICO TRA IL GOVERNO AMERICANO E LA MAFIA
1943 – sbarco degli Alleati in Sicilia:
Michele Pantaleone: “È storicamente provato che prima e durante le operazioni militari relative allo sbarco degli alleati in Sicilia, la mafia, d’accordo con il gangsterismo americano, s’adoperò per tenere sgombra la via da un mare all’altro”
[7].
Antonio Nicaso: “Fu il massone americano Frank Bruno Gigliotti, già agente della sezione italiana dell’Oss e quindi agente della Cia, a preparare lo sbarco degli americani in Sicilia attraverso i rapporti con la mafia e la massoneria”
[8].
1947 – strage di Portella della Ginestra:
Antonio Nicaso: “A Portella delle Ginestre a sparare non furono solo gli uomini di Giuliano, ma anche gli agenti reclutati dall’Oss che utilizzarono armi speciali in dotazione ai servizi segreti americani, come la bomba aerea simulata, una sorta di congegno pirotecnico che produceva un fischio e poi esplodeva come un grosso petardo. In molti, a Portella, vennero raggiunti dai frammenti di questa bomba. Ma grazie ai servizi segreti italiani, queste schegge scomparvero per sempre dai rapporti medico-legali”
[9].
1962 – omicidio di Enrico Mattei:
Claudio Mutti: “Secondo Kolossov [agente del KGB di stanza in Italia negli anni ‘60], per eliminare Mattei le Sette Sorelle incaricarono Cosa Nostra. Per eseguire l’operazione, arrivò dagli USA uno dei capi dell’organizzazione, tale Marcello Carlos detto “il Piccolo”, che introdusse un suo uomo nel servizio tecnico dell’aeroporto di Catania. Un giorno, il gestore del ristorante dell’aeroporto fece chiamare l’autista di Mattei, un ex partigiano [in realtà ex fascista repubblicano, n.d.r.] di nome Bertuzzi, perché al telefono lo stavano cercando. Fu in quel momento che infilarono una bomba nell’aereo di Mattei”
[10].
1970 – il Golpe Borghese:
Paolo Biondani: “Nell’ inchiesta sulle stragi spunta “l’
altra Gladio“. Una struttura mista militari civili, parallela alla rete “Stay Behind”, con obiettivi analoghi ma con protagonisti diversi: nuovi nomi, ancora top secret, di presunti responsabili di operazioni coperte che i magistrati collegano alla strategia della tensione degli anni 1969 1974. Un’ organizzazione che agiva sotto una sigla pseudo istituzionale, “
Nuclei di difesa dello Stato“, della quale finora nessuna autorita’ aveva mai parlato, neppure dopo la divulgazione degli elenchi dei 622 gladiatori “ufficiali”. “L’ altra Gladio” e’ il piatto forte della maxi inchiesta del giudice istruttore Guido Salvini sulla stagione di terrore che fa da scenario alla strage di Piazza Fontana: dopo quattro anni di indagini, il magistrato sta correggendo in queste ore (era al lavoro anche ieri) la definitiva stesura dell’ ordinanza sentenza di rinvio a giudizio contro una ventina di inquisiti per i depistaggi e gli attentati immediatamente precedenti o successivi alla bomba del 12 dicembre ‘ 69 a Milano…L’ istruttoria riguarda anche l’ occultamento delle bobine con i colloqui tra il capitano del Sid Antonio La Bruna e alcuni congiurati del
golpe Borghese (1970) e della “Rosa dei venti” (1973):
depistaggi voluti dai suoi superiori per coprire le complicita’ di boss mafiosi e big della massoneria come Licio Gelli”
[11].
Gianluca Di Feo:
“Gli emissari di Nixon e i sicari di Pinochet. Riunioni di bombaroli fascisti nella villa di Frank Tre Dita Coppola. Sottomarini israeliani e inglesi che bloccano navi dei nostri servizi segreti…La flotta USA pronta a muovere da Malta. L’ospedale militare del Celio da trasformarsi in carcere per gli ufficiali fedeli alla Costituzione. Squadre di neofascisti all’erta in tutta Italia. Commando di mafiosi per assassinare il capo della polizia. Pattuglie della ‘ndrangheta”
[12].
Paolo Cucchiarelli: “Ha scritto William Colby, ex direttore della CIA, nelle sue memorie, che nel ’70 l’agenzia «tentò [in Italia] un golpe militare, direttamente agli ordini del presidente Nixon»”
[13].
1972 – il disastro aereo di Montagna Longa:
Blog sul disastro aereo di Montagna Longa: “5 maggio 1972 condizioni meteorologiche ottime, a Roma Fiumicino decollò un aereoplano, volo Alitalia AZ 112, in direzione dell’aeroporto Punta Raisi di Palermo con 115 persone a bordo, molti di loro ritornavano in Sicilia per votare, le elezioni si svolsero due giorni dopo, Il volo risultò regolare ma in avvicinamento all’aeroporto, il DC-8 invece di seguire la normale procedura prevista dalle normative, proseguì oltre schiantandosi alle 22.23 contro il crinale di Montagna Longa, alto 935 metri.
Da Carini e da altri versanti, fu visto da parecchia gente un grande bagliore seguito da un forte boato, i soccorsi partirono subito e le prime scene viste dai soccorritori furono raccapriccianti, corpi dilaniati e mutilati, oltre a resti dell’aeromobile sparsi sino alla base della montagna. Salirono anche gli “sciacalli” che sottrassero ai cadaveri gli oggetti preziosi.
Il processo si concluse dando la responsabilità ai piloti per non aver aderito alle procedure di avvicinamento, previste per l’aeroporto di Palermo.Ma c’è chi non ha creduto alla versione ufficiale…”
[14].
Alfio Caruso: “Il primo a inserire l’episodio in una trama eversiva fu nell’autunno del ’77 il vicequestore di Trapani,
Giuseppe Peri, cinquant’anni, una moglie, due figli, pignolo e intappuntabile dirigente, una carriera tendente al grigio…Tuttavia questo perfetto e servizievole ingranaggio della macchina statale, per sedici anni responsabile della squadra mobile,
inviò alle procure di Trapani, Marsala, Agrigento, Palermo, Torino, Roma e Milano
un rapporto esplosivo, frutto di dodici mesi di defatigante impegno e di brillanti deduzioni…L’essersi dovuto occupare dei sequestri Corleo (il suocero di Nino Salvo), Campisi, Mariani e Perfetti gli aveva fatto scattare l’intuizione, in seguito confermata da confessioni e ulteriori indagini, di una regia unica e mirante a ben altri risultati…
Nel rapporto Peri faceva riferimento, oltre ai quattro sequestri di persona, a sette omicidi (vi rientravano quelli del procuratore di Palermo, Scaglione, e del giudice romano Occorsio) e alla strage di Montagna Longa”[15].
Giuseppe Peri: “Da quanto suesposto si deduce che è esistita ed esiste una potente organizzazione dedita alla consumazione dei sequestri di persona, con richiesta di prezzi di riscatto di diversi miliardi per fini
eversivi i cui promotori, mandanti dei sequestri, vanno ricercati negli ambienti politici delle trame nere ed in
ambienti insospettabili…Armi militari, munizioni militari, usciti dagli ambienti militari non si sa come…denunziano chiaramente che la matrice dei promotori dell’organizzazione…va ricercata in ambienti insospettabili. E tale organizzazione non ha disdegnato, come dimostrato, di servirsi delle potenti organizzazioni siciliane e calabresi, commettendo ad esse dei sequestri di persona per realizzare i suoi fini di autofinanziamento..”
[16].
Alfio Caruso: “Il rapporto di Peri conobbe un’esistenza agra. Nessuna procura lo giudicò meritevole di attenzione…A seppellire definitivamente quelle toste intuizioni fu il sostituto procuratore di Marsala,
Salvatore Cassata. Per Peri significò l’inizio della disfatta. Su iniziativa di
Giuseppe Varchi, capo di gabinetto della questura di Trapani, fu sballottolato fra Messina e Palermo. Fumando cento sigarette al giorno gli toccò per due anni accatastare inutili scartoffie. Morì di crepacuore il 1 gennaio ’82 circondato dalla fama di pazzo visionario. Nel 1981, quando fu reso noto l’elenco degli iscritti alla
P2,
si scoprì che la tessera n. 2187 corrispondeva al sostituto procuratore Salvatore Cassata e la tessera n. 2193 al vicequestore vicario Giuseppe Varchi”[17].
Antonio Nicaso: “Secondo quanto scrive Daniele Ganser nel suo libro
Nato’s Secret Armies,
Gelli venne personalmente reclutato da Gigliotti con l’incarico di contrastare il fronte comunista con il supporto della Cia. Gelli venne inoltre presentato da Ted Shackley, il responsabile di tutte le operazioni sotto copertura della Cia in Italia, ad Alexander Haig, Il comandante delle truppe americane in Vietnam e successivamente consulente militare del Presidente Nixon. Haig, secondo alcuni documenti pubblicati da Ganser, nell’autunno del 1969 autorizzò Gelli ad affiliare alla sua loggia massonica, la P2, quattrocento ufficiali italiani ed esponenti importanti della Nato”[18].
1975 – omicidio di Pier Paolo Pasolini:
Cristina Mariotti: “Il ragazzo [Pino Pelosi, presunto assassino di P.] si ricorda all’improvviso di aver perduto un anello: “forse è nella macchina”, suggerisce ai carabinieri, poi lo descrive dettagliatamente: una pietra rossa incastonata tra due aquile dorate
e sotto la scritta “United States Army”, insomma, un oggetto più adatto a un marine che a un romano di borgata”[19].
Il Blog della Sicilia: “Giuseppe e Franco Borsellino sono i nomi di due fratelli
catanesi che, per la prima volta, Pelosi indica come gli assassini di Pasolini”
[20].
Federica Di Blasio e Maria Elisa Pesaresi: “Parrello afferma che Pinna [meccanico della mala romana] ha avuto un preciso ruolo nell’assassinio dello scrittore, sposando dunque la tesi secondo cui il reo confesso Pino Pelosi è un delirante visionario sotto scacco della
mafia e della
massoneria deviata…Tuttavia c’è un altro inquietante particolare: tramite una conoscenza della DIGOS, Parrello scopre che nel 1979 Antonio Pinna fu fermato a Roma alla guida di un’auto con la patente scaduta;
ma il documento relativo al fermo è in parte secretato”
[21].
Anonimo: “Se si scorrono le pagine del celebre articolo “Il romanzo delle stragi” – sulla preparazione di “Petrolio” – si noterà come Pasolini additasse anche al ruolo della criminalità siciliana e alla malavita comune nella “strategia della tensione”, un’intuizione unica e sorprendente per quel periodo.
Un’altra ricorrenza piuttosto interessante in questa catena di delitti ed eventi criminosi commessi in nome del Potere è quella della città di Catania e delle sue cosche mafiose. Il sabotaggio dell’aereo privato di Mattei all’aeroporto di Catania sarebbe stato propiziato dalla mafia del luogo. I più convinti sostenitori mafiosi del golpe Borghese sarebbero catanesi (Calderone, Di Cristina). A distanza di anni Pelosi ha indicato la presenza di catanesi nella squadraccia che doveva punire Pier Paolo Pasolini”
[22].
1978 – strage di via Fani e omicidio di Aldo Moro:
Antonio e Gianni Cipriani: “Grande nemico di Moro e della sua politica era negli Usa
Henry Kissinger, «falco» del governo americano che così si rivolse alla delegazione italiana, guidata dal presidente Giovanni Leone, che nel settembre 1974 era in visita a Washington: «Ci rimproverate per il Cile. Ci rimpreverereste ancora più duramente se non facessimo nulla per impedire l’arrivo dei comunisti al potere in Italia». Fu in quell’occasione che, durante un ricevimento,
Moro fu minacciato duramente, tanto da sentirsi male”[23].
Luigi Cipriani (intervistato da Paolo Cucchiarelli): “
Domanda. Sei sempre convinto della ‘pista malavitosa’ nell’affare Moro?
Risposta. Sì, c’è un elemento nuovo (
registrazione incomprensibile ndr) nelle dichiarazioni di Vinciguerra. Quando era detenuto nel carcere di Volterra, tale Varone detto “Rocco il calabrese” gli raccontò che andò da lui Cazora a chiedere l’aiuto della malavita per trovare la prigione di Moro, e lui gli diede una serie di riferimenti. Venne messo in contatto prima con Leone, allora presidente della Repubblica che lui conosceva perché era stato suo avvocato difensore in un processo per mafia; poi con Cazora che lo portò fuori dal carcere per incontrarsi con un suo fratello- un mafioso di rango superiore- per avere l’autorizzazione ad agire e a girare le carceri. Infine vanno a Pomezia a casa di Coppola.
Domanda. Frank Coppola “tre dita”?
Risposta. Sì.
Dopo che lui aveva cominciato a lavorare per la criminalità romana –
la banda della Magliana–
la mafia interviene e,
a casa di Coppola,
gli dicono: se vuoi ti diamo un po’ di soldi
ma lascia perdere,
sappi che Moro deve morire. Lui conferma tutto questo, le cose che sono uscite per altre vie dai pentiti di mafia i quali dicono tutti la stessa cosa, di essersi interessati e di avere avuto uno stop.
Domanda. Insomma, Moro doveva morire.
Risposta. Certo. Doveva morire”
[24].
Prospero Gallinari: “Io rileggo la storia: allora c’era chi doveva cercarci e invece non lo faceva perché era della P2, perché a loro andava bene Moro morto”[25].
Antonio e Gianni Cipriani: “Resta il fatto che le indagini sono partite col piede sbagliato fin dalle fasi immediatamente successive all’agguato. In quel periodo al vertice della Stet, la finanziaria da cui dipende la Sip (oltre alla Selenia, alla Oto-Melara, all’Italcable e a Telespazio9, c’era Michele Principe, tessera della P2 numero 2111, legato alla strutture della Nato. Questa la sua biografia essenziale raccontata dai ricercatori dell’Istituto Casali di Bologna: «Agli inizi della sua carriera è stato dirigente della segreteria Nato presso il ministero P. T. [Poste e Telecomunicazioni] divenendo in seguito presidente del delicatissimo organismo strategico della Nato nel settore delle Telecomunicazioni “Civil communications and planning committee”». Viene indicato come la persona giusta messa dalla P2 a dirigere il delicato settore delle telecomunicazioni. E la mattina della strage di via Fani le linee telefoniche saranno neutralizzate, passati pochi minuti dall’agguato, dal black out ufficialmente motivsto: «Per sovraccarico nelle comunicazioni». Un altro provvidenziale aiuto per le Br”[26].
1980 – omicidio di Pio La Torre:
Blog di Comidad: “In un solo caso un esponente della sinistra istituzionale asserì l’esistenza di una relazione diretta tra la mafia e l’occupazione militare statunitense del territorio. Questa persona fu il siciliano Pio La Torre, segretario regionale del Partito Comunista, all’interno del quale militava nell’ala più destrorsa: i “riformisti” capeggiati da Amendola e Napolitano.
La Torre lanciò anche una manifestazione in cui la lotta alla mafia si collegava all’opposizione contro la base missilistica NATO a Comiso. Un quarto di secolo dopo, l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ci spiegò candidamente che era stata la mafia ad incaricarsi di costringere i proprietari a cedere a prezzi stracciati i terreni su cui sarebbe sorta la base militare di Comiso; lo
stesso
Cossiga
aggiunse di aver usato quella circostanza come strumento di ricatto per far cessare negli USA una campagna giornalistica contro di lui. Quindi il collegamento tra militarizzazione e criminalità organizzata individuato da La Torre non era astratto, ma si stava manifestando sotto gli occhi dei Siciliani.
Nel 1982 Pio La Torre fu assassinato insieme con il suo autista Rosario Di Salvo. Nell’aereo che lo portava a Palermo per assistere ai funerali del segretario regionale assassinato, il segretario generale del Partito Comunista,
Enrico Berlinguer,
rilasciò un’intervista televisiva in cui non riuscì a dissimulare la sua evidente indifferenza per la sorte di La Torre. Era chiaro che aveva creato un enorme imbarazzo al partito, riportando al centro dell’attenzione la lotta alla NATO, non più in nome di un antimperialismo generico, ma sulla base della denuncia di un’evidente colonizzazione militare/criminale del territorio siciliano. Per un PCI che aveva ormai accettato la NATO, costituiva una contraddizione intollerabile vedersi riproporre, da un esponente in vista del partito, la lotta alla NATO in termini così concreti; perciò la morte di La Torre costituì una comoda soluzione al problema.
Successivamente all’uccisione di La Torre,
il PCI siciliano infatti si guardò bene dal ricollegare la questione della mafia a quella della NATO, e per la prima metà degli anni ’80 continuò una svogliata opposizione ai missili sulla base del solito generico pacifismo. Negli anni ’70 e ’80 il crescendo della propaganda antimafia doveva servire appunto a dissimulare la crescente occupazione militare statunitense del territorio italiano, e quindi era da considerare off limits per giornalisti e politici qualsiasi collegamento tra i due fatti”
[27].
Agostino Spataro: “La base siciliana [era] decisiva per l’avvio del programma nucleare della Nato. Tale programma era stato richiesto dal cancelliere socialdemocratico tedesco, Helmut Schmidt il quale, per tacitare la forte contestazione pacifista interna, aveva posto la condizione che prima che in Germania (federale) i missili dovessero essere installati in Italia. La dislocazione a Comiso era, dunque, “decisiva” ai fini dell’installazione dei missili in Germania, dove – per altro – si concentrava la parte più impegnativa del programma. E Comiso – grazie alle incessanti iniziative di La Torre – stava divenendo un serio problema politico che rischiava d’incrinare perfino l’unità del blocco governativo nei suoi settori più sensibili: cattolico e socialista.
Dopo l’assassinio di La Torre questo movimento progressivamente scemò:
i missili furono installati a Comiso e, quindi, in Germania, secondo il calendario imposto dagli americani agli alleati europer della Nato”
[28].
1982 – omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
Mino Pecorelli: “Caso Moro: il ministro non sapeva? Dice: ma il ministro non ne sapeva niente, la Digos non ha scoperto nulla, i servizi poi…Si ribatte: il ministro di polizia sapeva tutto, sapeva persino dove era tenuto prigioniero, dalle parti del ghetto…(ebraico). Dice: il corpo era ancora caldo…perché un generale dei Carabinieri era andato a riferirglielo di persona nella massima segretezza. Dice: perché non ha fatto nulla? Risponde: il ministro non poteva decidere nulla su due piedi, doveva sentire più in alto e qui sorge il rebus: quanto in alto, magari sino alla Loggia di Cristo in Paradiso? Fatto sta, si dice, che la risposta, il giorno dopo quando sentenziò fu lapidaria: “Abbiamo paura di farvi intervenire perché se per caso ad un carabiniere parte un colpo e uccide Moro oppure i terroristi lo ammazzano poi chi se la prende la responsabilità?”. Risposta da prete. Non se ne fece nulla e Moro fu liquidato perché se la cosa si fosse risaputa in giro avrebbe fatto il rumore di una bomba! Il resto è cosa nota: Cossiga fu liquidato…
Purtroppo il nome del Generale CC è noto: AMEN”
[29].
Ferruccio Pinotti: “Il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, noto per il suo impegno contro il terrorismo negli anni Settanta e in seguito impegnato nella lotta alla mafia, viene ucciso insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro in un agguato mafioso.
Le carte relative al sequestro Moro, che Dalla Chiesa aveva portato con sé a Palermo, spariscono dopo la sua morte”
[30].
Paolo Cucchiarelli: “Ha scritto Serravalle nel suo libro su Gladio: «Nelle liste di Gladio apparvero anche alcuni individui che non dovevano essere arruolati a causa delle loro manifeste militanze e simpatie di estrema destra, tipo Ordine Nuovo e altro. È lecito sospettare che quelli costituissero
la sutura con il magma dei terroristi e degli eversori». Quegli individui contattati dalla
Stay behind ufficiale erano per lo più ordinovisti, e dunque, secondo la nostra ricostruzione, contemporaneamente inquadrati anche nella
rete civile degli NDS [Nuclei di difesa dello Stato]. Per quanto dalle liste appaiano come scartati, se fecero da «sutura» tra Gladio e gli eversori, dovettero rimanere ben
dentro entrambi gli ambienti. Tra i «negativi» compaiono nomi noti…
MARCO MORIN, sigla 0433. È stato perito balistico in diversi casi cruciali: per la strage di Peteano, per l’uccisione di Calabresi,
per l’omicidio di Moro, per quello del
presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella e del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa”
[31].
1984 – strage del Rapido 904:
Antonio e Gianni Cipriani: “In un momento di particolare tensione, a una settimana dalla strage del 904, il presidente del gruppo parlamentare socialista
Rino Formica in un’intervista a la
Repubblica indicò la pista da seguire per un’indagine parlamentare e giudiziaria: «
Ci hanno ricordato che siamo e dobbiamo restare subalterni…E noi non abbiamo un sistema di sicurezza nazionale capace di opporsi a questi avvertimenti. I nostri servizi di sicurezza sono inefficienti perché così lo hanno voluti gli accordi internazionali. Non difendono l’Italia perché non devono difenderla. Sono funzionali alla nostra condizione di inferiorità. Altro che strage fascista.
È accaduto qualcosa di totalmente nuovo che pone il problema della nostra autonomia internazionale»”
[32].
Luigi Cipriani: “…Tornano in primo piano, come nel 1974, le connessioni tra servizi italiani, Cia e Nato, proprio mentre sono sul tappeto non solo la rielezione del Presidente della repubblica, ma elezioni amministrative di valore politico generale, dopo elezioni europee che hanno visto il Pci diventare il primo partito italiano. Un Pci certamente più dedito alla collaborazione che non all’opposizione, ma che negli ambienti Usa e Nato viene da sempre visto come elemento di destabilizzazione intollerabile in un’area delicatissima come quella mediterranea: nella quale l’Italia, l’alleato più fedele degli Usa, è destinata non soltanto a fungere da base di appoggio ma da gendarme per conto Nato. Non per caso i toni allarmati di Spadolini, in risposta alle accuse di Formica alla Nato, erano rivolti alla possibilità che il Pci, per non essere da meno, rispolverasse il suo passato antiatlantico. Sempre nel 1984 Sindona viene estradato in Italia, mentre vengono riaperti i processi per le stragi di piazza Fontana e di Brescia. Nel quadro politico che ho tratteggiato si può affermare che la strage di Natale ha le seguenti caratteristiche: un avvertimento da parte della struttura dei servizi segreti Nato affinché i politici intervengano per bloccare tutte le inchieste che li stanno mettendo di fronte alle loro responsabilità, come già avvenne nel 1974. Ricordiamo che il 1974 si concluse col trasferimento del processo di piazza Fontana da Milano a Catanzaro, mentre l’inchiesta sul golpe Borghese e quella sulla Rosa dei venti furono avocate e insabbiate dalla Procura di Roma, da Achille Gallucci, allievo di Carmelo Spagnuolo golpista e piduista. In secondo luogo, per la logica delle stragi, la bomba di Natale avrebbe dovuto influire sulla situazione politica, nel senso che elezione del presidente, revisioni costituzionali, governabilità e ordine, elezioni amministrative devono andare secondo gli obiettivi previsti dal piano di rinascita democratica. Un motivo in più visto che proprio in questi tempi, la Dc viene investita da un nuovo scandalo, quello dei fondi neri dell’Iri, che già conduce a Fanfani ma che potrebbe estendersi all’intero gruppo dirigente e non solo della Dc”[33].
Vincenzo Vinciguerra: “La strage del dicembre 1984 rimane uno dei pochi misteri italiani, veri non fasulli. Le motivazioni non sono quelle affermate dalla magistratura. Inoltre, se la strage fosse stata decisa dalla mafia palermitana non poteva essere condannato solo Pippo Calò, che era il suo referente a Roma, ma l’intera cupola. Non è, difatti, accettabile che si accetti il “teorema Buscetta” sul fatto che anche i singoli omicidi venivano decisi dalla “cupola”, mentre una strage l’abbia decisa il solo Calò. E, infine, non ha senso fare una strage per distrarre le forze di polizia da Napoli, come preteso da Vigna e compari. In pratica, a prescindere dalla condanna dei presunti autori materiali, di questa strage non si è in grado di sapere nulla di preciso. E, a quanto pare, nessuno sul piano storico ha la voglia di approfondire il fatto”[34].
1992 – stragi di Capaci e di via D’Amelio
Alfio Caruso: “Conoscendo i perversi intrecci delle «famiglie» con la malastoria d’Italia, Falcone vuole approfondire l’incidenza di Gladio nei delitti politici di Palermo (Reina, La Torre, Mattarella). Gladio significa l’organizzazione clandestina ideata nel 1952 dai Paesi aderenti alla Nato per contrastare la temuta invasione dell’Urss. Il suo ruolo in Italia si è però coperto di ambiguità: è stata paventata l’esistenza di una struttura segreta alle spalle di quella ufficiale con il coinvolgimento di parecchi estremisti neri. E dire Gladio equivale a dire Sismi, il servizio segreto militare, che a Palermo ha sempre tenuto una stazione molto vispa e che vicino a Trapani dispone di una base operativa, il Centro Scorpione, su cui ha indagato anche Mauro Rostagno. Falcone sa dei viaggi a Trapani del povero Nino Agostino, il poliziotto ammazzato per motivi ancora oscuri; ha assunto discrete informazioni sull’omicidio di Mauro Rostagno (settembre 1988), zittito sia per le accuse ai boss locali, sia per aver casualmente scoperto il contrabbando di armi e droga con l’Africa. Che bel mistero quel Centro Scorpione, ufficialmente incaricato di contrastare dal basso Mediterraneo l’arrivo dell’Armata Rossa, viceversa invischiato in combinazioni poco chiare, talmente cieco – ma è possibile? – da non accorgersi che da Trapani per otto anni sono transitati tutti i carichi di missili, di esplosivo, di mine, di granate diretti verso l’Iran e l’Iraq, impegnatissimi a scannarsi vicendevolmente. Insomma, si chiede Falcone, che ci fanno i Sicilia tutti questi 007? Troppi nemici per un solo sceriffo. Troppi che non dormono la notte al pensiero delle sue azioni. Troppi disposti ad allearsi financo col diavolo pur di vederlo sparire dalla faccia della terra. E per colui che ha definito la mafia «un’associazione eversiva» si prepara un’azione da terrorismo eversivo”[35].
Alfio Caruso: “Agli occhi di Paolo [Borsellino] è ormai chiaro lo schema del Gioco Grande individuato da Falcone: inserimento del capitale mafioso in aziende pubbliche e private; partecipazione al traffico internazionale di droga e di armi gestito da appartenenti al Sismi e al Sisde con la copertura di politici e apparati dello Stato; riciclaggio dei guadagni attraverso le società offshore di alcune multinazionali compiacenti. In un contesto così variegato e dagli ampi risvolti internazionali è persino inevitabile la presenza degli Stati Uniti attraverso l’asse Cia–Mafia–Industria, che sin dal dopoguerra imperversa in Italia. Se vogliamo, niente di nuovo sotto il sole. Era il sistema già scoperchiato dal giudice istruttore Carlo Palermo a metà degli anni Ottanta. Lo avevano trattato da reietto e aveva salvato la vita perché il tritolo a lui rivolto aveva, viceversa, massacrato una giovane madre e la sua coppia di figli”[36].
Carlo Palermo: “Per le modalità dell’attentato, e per quanto stava avvenendo in Italia nella primavera del ’92, si può ragionevolmente ritenere che quella di Capaci sia una strage di Stato…Sempre nell’87, a Trapani, il Sismi crea il Centro Scorpione, una propaggine di Stay Behind (Gladio, ndr). Tale Centro era dotato di un velivolo. Sempre di un velivolo si servì la mafia, proprio in quella zona, per un enorme trasferimento di droga. Proprio su quella struttura dei servizi segreti stava indagando Giovanni Falcone nei giorni in cui furono trovati i candelotti di dinamite accanto alla sua villa all’Addaura. Infine: l’ultimo importante processo per il quale Falcone si impegnò a fondo, mentre stava a Palermo, è quello notoriamente individuato come “Big John”, dal nome della nave sulla quale venne sequestrato un carico di 565 chili d’eroina. In questo processo figurano diversi punti di contatto con altri già citati e con numerosi personaggi variamente coinvolti nelle inchieste di Milano. In conclusione, ritengo che nel processo sulla strage di Capaci vadano approfonditi non solo gli aspetti esclusivamente “mafiosi” facenti capo a Salvatore Riina, di cui si occupò Giovanni Falcone come magistrato, ma anche quelli bancari perché dietro quei conti potevano esserci chiavi di lettura importanti. Ed io sono convinto che i mandanti del braccio armato della mafia siano non solo siciliani e non esclusivamente mafiosi»[37].
1993 – strage di via dei Georgofili
Calogero Mannino (intervistato da Augusto Minzolini): “E adesso non mi vengano a dire che questa bomba l’ha messa la mafia di Totò Riina. Anzi, a questo punto dubito anche sulla matrice mafiosa degli omicidi di Lima, Falcone e Borsellino. Domanda. Lei ha davvero dubbi sul fatto che non c’entri la mafia? Risposta. Io dietro la bomba di Firenze vedo ben altro. E, se non sbaglio, tra le minacce ricevute all’epoca da Falcone c’era anche quella della falange armata. La verità è che gli assassinii che ci sono stati in Sicilia hanno messo in ginocchio la DC o il sistema di potere andreottiano. E non è cosa da poco conto: in Italia quello che è avvenuto può essere paragonato alla caduta del muro nei paesi comunisti. Quindi chi l’ha fatto deve avere obbiettivi ben più grandi di quelli della mafia…Ma lei crede davvero che un personaggio come Totò Riina possa stare dietro a tutto questo? Suvvia, al massimo quello può far ridere o, come succede a me, può far girare le scatole. La verità, secondo me, è che esiste un apparato militare molto efficiente e, poi, una mente politico–finanziaria, che non si trova certo in Italia. E questi due livelli si incontrano raramente: o meglio, nei momenti importanti la mente finanziaria ordina all’apparato militare quello che deve fare. Domanda. Ma lei crede davvero a queste sue ipotesi, non le paiono un po’ azzardate? Risposta. Senta, le faccio una domanda: perché Giuliano i carabinieri lo hanno trovato morto, mentre Riina è stato trovato vivo? La verità è che Riina si è sganciato. Fatto il lavoro che gli era stato commissionato si è sganciato. Domanda. Ma quale interesse potrebbe avere quell’«entità» che, secondo lei, starebbe dietro a tutto questo? Risposta. Non vogliono avere a che fare con un governo degno di questo nome. Quello attuale è come se non ci fosse. Sono passate due settimane e vedete, non esiste. E non avere a che fare con un governo significa tante cose: ad esempio da la possibilità di comprare i beni dello Stato a pochi soldi. E se, poi, si arrivasse a provocare una divisione dell’Italia in due, qualcuno potrebbe ricavarne altri vantaggi. Potrebbe, ad esempio, disporre senza problemi, di basi militari dell’Italia meridionale di grande importanza strategica, come Fontanarossa e Comiso. Sì, potrebbe usarle come vuole, a proprio piacimento, senza rischiare incidenti diplomatici con il governo italiano come è avvenuto a Sigonella. Le mie, comunque, sono solo ipotesi che partono, però, da una convinzione». Domanda. Quale? Risposta. Tutto quello che sta avvenendo pone una questione: qualcuno insidia la nostra sovranità nazionale”[38].
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