Come si sa, Ernst Nolte viene solitamente etichettato con l’appellativo di storico “revisionista”. In realtà, non è così: Nolte è un (grande) storico mainstream. Basti pensare, per rendersene conto, alla distanza che separa – su un argomento cruciale come le origini della seconda guerra mondiale – due libri come Nazionalismo e bolscevismo – La guerra civile europea 1917–1945, di Nolte e Le origini della seconda guerra mondiale, di un autore lui sì davvero revisionista come A. J. P Taylor.
Certo, il “revisionismo” attribuito a Nolte, anche dai suoi avversari, è del genere “rispettabile” (come del resto quello attribuito a De Felice): niente a che vedere con gli impresentabili “negazionisti”. Eppure Nolte, che non penso ami definirsi “revisionista” – e che rimane comunque uno sterminazionista convinto – ogni tanto ha delle uscite effettivamente curiose, per un accademico in vista come lui, in cui affiora un’imprevista stima per i detti “negazionisti”.
Ho già segnalato in passato, come esempio emblematico, la definizione da lui data – nel volume Controversie[1] – di Carlo Mattogno, quale “scienziato serio”:
“Ogni « negazione di Auschwitz » da parte di scienziati seri, come ad esempio Carlo Mattogno, non nega del resto la realtà di assassinii di massa degli ebrei o degli zingari; mette in dubbio esclusivamente la sua causalità a opera di una decisione del vertice dello Stato, quindi di Hitler, e nega la possibilità tecnica delle uccisioni nelle camere a gas…”.
Definizione oltremodo significativa – e coraggiosa! – alla luce del fatto che nei provvedimenti giudiziari che in Germania puniscono il reato di “negazionismo” la relativa letteratura è qualificata immancabilmente di “pseudoscientifica”[2].
Tempo fa ho scoperto un altro riferimento inusitato dello storico tedesco, che sembra essere passato finora del tutto inosservato. Il riferimento in questione si trova in una nota a piè di pagina del volume ESISTENZA STORICA – Fra inizio e fine della storia?[3] – straordinaria summa-sintesi di storia universale, dalla preistoria ai giorni nostri.
La nota è la numero 24 relativa al capitolo 40 (pp. 668-669). La riproduco per intero per meglio inquadrare il contesto della detta affermazione (i grassetti sono miei):
“Chi ha letto l’esposizione di Christopher Browning sugli assassini del battaglione di riserva 101 e sulla sua collaborazione immediatamente collegata con la deportazione del ghetto di Myedzyrzec, riterrà impossibile che Treblinka abbia potuto essere per gli Ebrei interessati una stazione di smistamento sulla via di una residenza nell’Est (Christopher R. Browning, Ganz normale Männer. Das Reserve–polizeibataillon 101 un die «Endlösung» in Polen – Uomini del tutto normali. Il battaglione della polizia di riserva 101 e la «soluzione finale» in Polonia, Reinbek 1996. Orig. 1992). Nondimeno dovrebbe andare da sé che singoli dati devono essere scientificamente esaminati tenendo presenti eventuali inesattezze ed esagerazioni e che con ogni probabilità la realtà dell’annientamento è inferiore ai postulati di un’ideologia dell’annientamento. Storici americani farebbero bene a prendere in esame una delle primissime pubblicazioni comparsa nei Vierteljahresheften für Zeitgeschichte, che conferma a suo modo pienamente i fatti e tuttavia chiarisce quale schok abbia costituito la «Soluzione finale» anche per governatori come Kube e Lohse, che pur erano vecchi soldati e convinti antisemiti, e come quindi non sia sufficiente il «semplice» antisemitismo per far capire che cosa sia mai stato il genocidio (Helmut Heiber: «Aus den Akten des Gauleiters Kube» – «Dagli atti del governatore Kube», in Vjh. F. Ztg. 4, 1956, pp. 67-92). Nella misura in cui il libro di Daniel Jonah Goldhagen, Hitlers willige Vollstrecker. Ganz gewöhnliche Deutsche und der Holocaust (I volonterosi carnefici di Hitler – Milano 1996), Berlin 1996, si basa sulla ricerca non è molto di più di un debole doppione del libro di Browning, poiché mira agli effetti emozionali. Per quanto concerne la dichiarazione di Jean-Marie Le Pen, un politico francese, per cui «Auschwitz» sarebbe stato un dettaglio nella seconda guerra mondiale, non è possibile negare che essa sia giusta, se si pensa che «dettaglio» significhi soltanto «evento singolo», in contrapposizione ad «evento complessivo». In questo senso però anche la svolta di Stalingrado e persino le dichiarazioni di guerra dell’Inghilterra e della Francia erano «dettagli nella seconda guerra mondiale». Non si deve quindi respingere l’ipotesi che il significato più corrente sia stato normativo. Un’affermazione giusta in linea di principio può essere falsa se essa viene fatta con intenzione di disprezzo o se viene grossolanamente isolata. Tuttavia non limitarsi a rimettere al suo posto sul piano argomentativo un’affermazione giusta e tuttavia falsa o deviante, ma punirla con mezzi giuridici, deve essere considerato come uno sfogo di una «giustizia ideologica».
Per quanto dissimulata e quasi nascosta nella mole della nota, tra circonlocuzioni e digressioni, Nolte però l’ha buttata lì: Treblinka “stazione di smistamento sulla via di una residenza nell’Est”. Treblinka come campo di transito, quindi, e non di sterminio (tantomeno di “puro sterminio”): è la tesi storiografica più eretica del 20° secolo (e del 21°), talmente eretica che non la sostiene neppure David Irving (il cui revisionismo è limitato ad Auschwitz).
Talmente eretica che si ha paura persino di menzionarla (e infatti, gli storici di solito neppure la menzionano).
È la tesi, appunto, dei predetti “negazionisti”, già espressa nel lontano 1976 dall’epocale opera di Arthur Butz The Hoax of the Twentieth Century[4] [L’inganno del Ventesimo secolo] e quindi sviluppata all’inizio di questo decennio, sulla base di certosine ricerche d’archivio, da Carlo Mattogno e Jürgen Graf con il volume che appunto si intitola Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?[5] [Treblinka. Campo di sterminio o campo di transito?].
Intendiamoci, con questo non voglio certo ascrivere Nolte tra le fila dei famigerati “eretici” di cui sopra (anche se gli occhiuti inquisitori del pensiero che vegliano sulla vulgata non aspettano altro): il contesto del brano – anche rispetto al testo principale – rimane sterminazionista; eppure, il fatto che lo studioso abbia nominato l’innominabile dà da pensare: forse ha ragione Sergio Luzzatto quando scrive che “la conoscenza storica si nutre di tutto, persino di negazionismo”[6]. In questo, l’illustre contemporaneista sembra riconoscere – almeno implicitamente – che il vituperatissimo revisionismo, se lo si esamina con obbiettività, non è quella spazzatura che i media vorrebbero far credere: che può essere “food for thought”, cibo per la mente.
Un cibo di cui, ogni tanto, hanno bisogno anche grandi studiosi come Ernst Nolte, per non soccombere al clima irrespirabile in cui sono costretti a vivere in un paese come la Germania.
[1] Corbaccio, Milano, 1999, p. 13.
[2] Ecco, ad esempio, come la BBC riferisce del famoso caso Zündel: “Durante il suo processo nella città tedesco-occidentale di Mannheim, è stato accusato di utlizzzare metodi “pseudoscientifici” per cercare di riscrivere la storia riconosciuta dell’Olocausto nazista in 14 testi scritti e pubblicazioni in rete” (http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/6364951.stm ).
[3] Le Lettere, Firenze, 2003.
[4] Disponibile in rete in edizione aggiornata: http://vho.org/dl/ENG/Hoax.pdf
[5] Disponibile in rete anche in lingua inglese: http://vho.org/dl/ENG/t.pdf . Una presentazione del libro da parte dello stesso Graf è disponibile in traduzione italiana: http://ita.vho.org/005treblinka.htm
[6] http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-10-17/shoah-vera-falsa-decide-063906.shtml?uuid=AYI6D3aC
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