RIVAROL: Intervista a Vincent Reynouard

RIVAROL: Intervista a Vincent Reynouard

Il settimanale RIVAROL aveva già pubblicato, il 3 Settembre, un’intervista con il prigioniero di Valenciennes, Vincent Reynouard. Nel numero di venerdì 1 ottobre è apparsa una seconda intervista già messa in rete sul sito del giornale. Eccola:

VINCENT REYNOUARD: “IL MODO DI CONDURRE LA BATTAGLIA REVISIONISTA DEVE CAMBIARE[1]

RIVAROL: Sono circa tre mesi che sta in prigione. Come si sente?

Vincent Reynouard: Bene. I primi quindici giorni a Valenciennes sono stati molto difficili, ma devo confessare che la causa principale è stata la mia impazienza…Non avevo ancora capito che, in una nuova prigione, bisogna innanzitutto restare calmi e imparare a conoscere le “regole del gioco”. Quando si conoscono e si accettano, sapendo cogliere ciò che viene offerto e mettendo una croce su ciò che è davvero impossibile, tutto va molto meglio.

R.: Ha l’impressione che le autorità della prigione si accaniscano su di lei?

V. R.: Assolutamente no. Vengo considerato e trattato come gli altri; persino un po’ meglio, perché sto in una cella singola, che mi permette di vivere con il mio ritmo (alzarmi molto presto, coricarmi molto presto). Ho anche il medesimo accesso alle attività degli altri: frequento quindi la biblioteca, e potrò presto seguire un corso di 60 ore di tedesco con il CNED. Non posso quindi che essere contento di come vengo trattato qui. Il dovere dell’obbiettività mi porta a dirlo chiaramente.

R.: Giustamente. Parliamo delle sue attività. Come occupa le sue giornate?

V. R.: Le mie giornate sono occupate dall’apprendimento del tedesco, dal rispondere alla posta, dalle preghiere, dal disegno e dalle camminate (tre ore al giorno: un’ora e mezza la mattina, un’ora e mezza il pomeriggio). A tutto ciò si aggiungono i compiti normali della vita: i pasti, le docce, la pulizia della cella e dei miei vestiti una volta la settimana. Tutti i lunedì, infine, passo un’ora in biblioteca.

R.: Nella sua prima lettera per RIVAROL, diceva di aspettarsi il peggio in proposito. Come è andata?

V. R.: Avevo torto. Certo, la biblioteca è piccola (la grandezza è quella di una scuola media) ma vi si trovano dei libri interessanti, in particolare sulle questioni sociali (il suicidio, l’islam, il problema israelo-palestinese, il divenire dell’uomo). Questa settimana, ho preso a prestito “La Repubblica” di Platone. Come vede, c’è di che coltivarsi!

R.: Non trova comunque lungo il tempo?

V. R.: Si trova il tempo lungo quando non si ha niente da fare. Ma se si riesce ad occupare le proprie giornate in modo positivo, passa in modo relativamente veloce.

R.: Come sono i suoi rapporti con gli altri detenuti?

V. R.: Al 90% i detenuti sono dei piccoli delinquenti condannati per violenze, traffico di droga, furti, guida senza patente. Tranne i disegni che mi chiedono (rose, mazzi di fiori, cuori…) per scrivere le loro lettere, non ho con loro nessuna discussione. Ma ho fatto amicizia con persone più anziane (dei quarantenni come me) con i quali si può discutere più a lungo di questioni sociali. Si forma un piccolo gruppo di cinque o sei. Durante le camminate, si discute come si discuterebbe al caffè.

R.: Sanno chi è lei e perché sta lì?

V. R.: Io dico che ho scritto sugli ebrei, su Israele, e che sono stato condannato per questo. Rimangono tutti molto sorpresi che in Francia ci si possa ritrovare in prigione per aver scritto. Ma, oltre a ciò, non si va oltre. Se mi vengono fatte domande più precise, evito, non per vergogna, ma perché mi sembra inutile procedere oltre; la “cientela” non si presta…

R.: Quali sono i suoi rapporti con le guardie?

V. R.: Sono cortese e sorridente con tutti. Qui, la maggior parte dei sorveglianti fanno il loro lavoro senza “esagerare”, vale a dire che tengono le distanze. Certi, ahimé sono molto meno cortesi, non bisogna chiedere loro nulla, si sa in anticipo che rifiuteranno. Altri in compenso sono gentili, persino molto gentili e molto comprensivi. Ci dicono “buongiorno, “arrivederci”, “buon appetito”, “buona sera”. Sono dei raggi di sole nella prigione. In breve, è come dovunque, c’è del buono, del meno buono e dello spiacevole. Ma bisogna ricordarsi che questi uomini e queste donne sono al 90% in contatto con dei delinquenti; si può dunque persino capire la distanza che cercano di mantenere.

R.: Questa detenzione di un anno influirà sul suo modo di condurre la battaglia revisionista quando uscirà di prigione?

V. R.: Non ho atteso la prigione per cambiare. La diffusione pubblica dei volantini che mi ha portato qui risale a diversi anni fa e, in seguito, non ce n’è stata più nessuna. Perché? Perché se si confrontano le somme impiegate, il tempo necessario e le conseguenze con il risultato ottenuto, il bilancio è negativo al cento per cento. Questa diffusione ci è valsa zero risposte (esattamente, zero) e una decina di querele.
Ormai questa forma di attivismo è da bandire totalmente, almeno fino a quando la situazione non sarà cambiata. Ma Internet ce ne offre altre che bisognerà sfruttare. Inoltre, la rivista confidenziale “Sans Concession” continuerà per quelli che vogliono intendere il nostro messaggio. La verità si diffonderà in seguito in modo capillare da bocca a orecchio. Già da molti anni funzioniamo così, e cioè evitando di violare troppo apertamente la legge Gayssot. E la cosa funziona: la diffusione privata dei nostri DVD sull’”Olocausto” e la loro ripresa su Internet hanno avuto un impatto non trascurabile. Lo dico spesso: i semi della verità sono stati seminati, nessuno potrà impedire loro di germogliare. I nostri avversari hanno già perduto: sul terreno scientifico e intellettuale, il fallimento dell’impresa Jean-Claude Pressac ha segnato la loro capitolazione definitiva. Stanno ancora in piedi perché beneficiano di strutture che permettono loro di orchestrare un’intensa propaganda. Ma il giorno in cui queste strutture vacilleranno (in seguito, per esempio, ad una grave crisi economica) tutto vacillerà e la nudità del re apparirà in piena luce.

R.: Dopo il suo incarceramento il 9 Luglio scorso, sono state diffuse delle informazioni contraddittorie quanto al modo di aiutarla, lei e la sua famiglia. Qual è attualmente il miglior modo di aiutarvi, lei e gli altri?

V. R.: All’inizio, abbiamo un po’ brancolato. Per ora, poiché il mio tenore di vita in prigione non è molto alto, me la cavo. Grazie. Potete invece aiutare mia moglie inviandole una piccola banconota imbustata o un assegno indirizzato a V. R. (tutta la corrispondenza va indirizzata a Urbain Cairat, Casella postale 1528, CH-1820 Montreux, Svizzera). Ringrazio di tutto cuore quelli che ci hanno aiutato e che ci aiuteranno ancora.

R.: Cosa risponde a coloro che dicono che la sua battaglia non serve a niente poiché, siccome i media non ne parlano, il grande pubblico l’ignora?

V. R.: È evidente che, se si guarda al presente, quello che faccio non serve assolutamente a niente. L’abbiamo scritto cento volte, fino a quando la gente avrà panem et circenses, niente gli farà aprire gli occhi. Quando non si vede più lontano del proprio trogolo e il trogolo è pieno, perché voler cambiare? Ma io guardo più lontano. Per me, il silenzio della grande stampa a proposito del mio caso è eloquente. Hanno fatto votare la legge Gayssot e per la prima volta in Francia [in realtà, si tratta della seconda: Alain Guionnet, il direttore di “Revision”, venne incarcerato nel 1993 per lunghi mesi per aver contravvenuto alla legge Gayssot] viene applicata in tutto il suo rigore. Dunque, per il Sistema è – o dovrebbe essere – una grande vittoria conseguita in nome della democrazia. Ora, una vittoria come questa si annuncia. Nel 1997, la stampa ha annunciato il mio licenziamento definitivo dal pubblico insegnamento e nel 2008 ha strombazzato la mia condanna a un anno di prigione senza condizionale. Ma questa volta, la stampa osserva il silenzio, come se avesse un senso di vergogna, come se questa vittoria fosse inconfessabile. Perché? Semplicemente, perché gettare in prigione un cittadino che ha sempre difeso pacatamente le proprie opinioni invocando degli argomenti razionali, che non ha mai istigato all’omicidio, né alla violenza, che condanna ogni forma di terrorismo e che ha sempre chiesto un dibattito leale con i suoi avversari, gettare un cittadino così in prigione suona come una confessione, la confessione che non si sa cosa rispondergli.
I nostri avversari lo sanno, ecco perché nascondono questa vittoria che in realtà è una sconfitta. Ma quando, in un futuro più o meno prossimo, si verificheranno dei gravi avvenimenti che costringeranno i popoli a operare una revisione straziante delle proprie certezze edoniste, allora la questione del revisionismo storico si porrà insieme a molte altre. E quel giorno, quando si vedrà il trattamento che venne riservato nel 2010 a un padre di famiglia numerosa totalmente pacifico, si saprà chi, in questo caso, mentiva e chi diceva onestamente al verità. Quel giorno, il mio sacrificio avrà portato i suoi frutti.

a cura di Jérôme Bourbon

[1] http://www.rivarol.com/Billet.html
Traduzione di Andrea Carancini

One Comment
  1. Ci vorrebbero più uomini così.

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