Nell’Aprile 2007 è uscito un bel libro di Maurizio Blondet intitolato STARE CON PUTIN? (Effedieffe Edizioni, [email protected]). Nella quarta di copertina leggiamo:
Integrare la Russia di Putin
“Se c’è un destino manifesto per l’Europa dopo il crollo sovietico e dopo l’11 Settembre, è che deve integrare la Russia. E precisamente la Russia di Putin, il solo leader, apparso dopo tanti anni, che difenda l’interesse nazionale invece di quello delle lobby globali”.
Una tesi spiegata da Blondet, nel corso del libro, con circostanziate analisi politiche e geopolitiche. L’approfondimento metapolitico di tale assunto lo troviamo invece in un altro bel libro, Dopo l’impero – La dissoluzione del sistema americano, di Emmanuel Todd (edizione italiana: Milano, 2005), e precisamente nel paragrafo L’universalismo russo (pp. 142-143):
“Per valutare correttamente quello che la Russia può portare di positivo al mondo attuale, per prima cosa dobbiamo capire perché abbia avuto un’influenza così forte sul mondo passato. Il comunismo, dottrina e pratica di servitù d’invenzione russa, ha sedotto operai, contadini e professori al di fuori dei confini dell’impero russo, rendendo l’aspirazione comunista una forza planetaria. Il successo del comunismo si spiega principalmente con il fatto che in una vasta parte di mondo, in particolar modo al centro dell’Eurasia, esistevano delle strutture familiari egualitarie e autoritarie che predisponevano a concepire l’ideologia comunista come naturale e buona. Per un certo periodo, però, la Russia è riuscita a organizzare il comunismo su scala planetaria e a diventare il cuore di un impero ideologico. Come è stato possibile?
“La Russia ha un temperamento universalista. L’uguaglianza era inscritta nel cuore della struttura familiare dei contadini russi grazie a regole ereditarie assolutamente simmetriche. Sotto Pietro il Grande, persino i nobili russi avevano rifiutato la primogenitura, regola ereditaria che favoriva il figlio maggiore a scapito di tutti gli altri. Al pari dei contadini francesi neo-alfabetizzati dell’epoca rivoluzionaria, i contadini russi neo-alfabetizzati del XX secolo hanno spontaneamente considerato gli uomini uguali a priori. Il comunismo si è affermato come una dottrina universale che si offriva al mondo. Bisogna aggiungere: per sua disgrazia. L’approccio universalista ha permesso la trasformazione dell’impero russo in Unione Sovietica. Il bolscevismo ha attratto nei suoi circoli dirigenti i quadri provenienti dalle minoranze dell’impero: baltici, ebrei, georgiani, armeni. Come la Francia, la Russia ha sedotto con la capacità di considerare uguali tutti gli uomini.
“Il comunismo è caduto. La base sociale antropologica del vecchio spazio sovietico si trasforma ma con lentezza. Qualora il successo arridesse alla nuova democrazia russa, quest’ultima conserverà alcune specificità che vanno immaginate se vogliamo anticipare il suo futuro comportamento sulla scena internazionale. L’economia russa liberalizzata non sarà mai un capitalismo individualistico all’anglosassone. Manterrà caratteristiche comunitarie tese a creare forme associative orizzontali che è ancora troppo presto per definire. Probabilmente, il sistema politico non funzionerà sul modello dell’alternanza bipartisan americana o inglese. Chi vuole speculare sulla forma futura della Russia ha tutto l’interesse a leggere il classico di Anatole Leroy-Beaulieu, L’empire des tsars et les Russes, datato 1897-1898, dove potrà trovare la descrizione esaustiva dei comportamenti e delle istituzioni di tendenza comunista da venti a quarant’anni prima del trionfo del comunismo.
“L’approccio universalista della politica internazionale continuerà a esistere con riflessi e con reazioni simili a quelle che ha la Francia quando, per esempio, irrita gli Stati Uniti con il suo approccio “egualitario” alla questione palestinese. I russi, al contrario degli americani, non hanno l’idea di un limite a priori che separi gli uomini a pieno titolo dagli altri, gli indiani, i neri o gli arabi. D’altronde, dal XVII secolo e con la conquista della Siberia, essi non hanno sterminato i loro indiani – bashkiri, ostiachi, mari, samoiedi, buriati, tungusi, yakuti, yukaghiri e ciuktci -, la sopravvivenza dei quali spiega la struttura complessa della Federazione russa.
“In questo periodo, il temperamento universalista russo manca terribilmente alla politica internazionale. La sparizione della potenza sovietica, che imprimeva un marchio egualitario alle relazioni internazionali, spiega in parte lo scatenarsi delle tendenze differenzialistiche americane, israeliane o di altre nazioni. La musichetta universalistica della Francia non ha un gran peso senza la potenza russa. Il ritorno della Russia nel campo dei rapporti di forza internazionali, per l’ONU è certamente un asso nella manica. Se la Russia non sprofonderà nell’anarchia o nell’autoritarismo, potrà diventare un fattore di equilibrio fondamentale: una nazione forte, ma non egemonica, che esprime una percezione egualitaria dei rapporti tra i popoli. Quella posizione sarà più facile in quanto la Russia non dipende economicamente dal mondo, non è costretta a prelevare in modo asimmetrico merci, capitali o petrolio come gli Stati Uniti”.
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