CONSIDERAZIONI SUL REATO DI “NEGAZIONE DELLA SHOAH”
di Carlo Mattogno
La recente proposta di Pacifici ha riportato in primo piano, dopo il tentativo abortito della “legge Mastella”, la questione del reato di “negazione della Shoah”. La discussione che ne è seguita è palesemente monca, perché si affrontano da un lato ignoranti presuntuosi e forcaioli che non hanno la più pallida idea di che cosa sia il revisionismo storico, dall’altro paladini della libertà di espressione che non ne sanno parimenti nulla.. Gli uni e gli altri sono però concordi nello svilire il revisionismo a mero “negazionismo”, che ne è una semplice parodia denigratoria.
Il primo punto da chiarire è perché gli elementi più estremisti dell’ebraismo italiano vogliono una legge contro il revisionismo. Le motivazioni addotte, penosamente puerili, tradiscono la loro funzione di facciata. Il motivo vero è che in Italia non esiste una storiografia olocaustica; non esiste un libro olocaustico degno di figurare in una bibliografia estera[1]; non esiste un solo storico di rilevanza internazionale (di grazia, non si tiri in ballo il presunto “esperto” mondiale Marcello Pezzetti, le cui conoscenze su Auschwitz sono appena appena superiori a quelle dei liceali che accompagna in visita al campo); non esiste un centro di studi olocaustici serio. In pratica, in Italia non esiste nessuno che possa contrastare in modo efficace il revisionismo. E il Centro di Documentazione ebraica di Milano (che, al massimo, è capace di catalogare atti, scritte e siti “antisemiti”) è il simbolo di questa impotenza.
La situazione è tanto tragica che, a tenere una lezione “riparatrice” all’Università di Teramo, per rimediare ai presunti nefasti del prof. Claudio Moffa, è stata invitata nientemeno che Valentina Pisanty[2], la nota esperta in Cappuccetto Rosso, che all’estero sarebbe chiamata al massimo negli asili per raccontare le favole ai bimbetti. En passant, sono dodici anni che aspetto la sua risposta al mio studio L’ “irritante questione” delle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty (Graphos, Genova, 1998)[3], la replica al suo tanto (ingiustamente) decantato L’irritante questione delle camere a gas (Bompiani, Milano, 1998). È davvero deprimente vedere come la nostra dottoressa si ostini ancora a ripetere ossessivamente per ogni dove le sue fantasiose congetture ormai arciconfutate da oltre un decennio.
Tempo fa ho lanciato agli “esperti” di La Repubblica questo invito:
«Agli olo-sproloquiatori di casa nostra, che non sanno neppure com’è fatto un archivio e non hanno mai visto un documento tedesco originale, rinnovo l’ invito:
Il mio studio di 715 pagine Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico–tecnico sugli “indizi criminali” di Jean–Claude Pressac e sulla “convergenza di prove” di Robert Jan van Pelt. (Effepi, Genova, 2009), fresco frutto della mia “sconfitta” culturale, è a disposizione di tutti. Se è pseudostorico, se imbroglia le carte, se contiene deliranti bugie, se è insensato, dimostratelo. Se avete ragione, sarà semplicissimo sbugiardarmi pubblicamente, in più otterrete anche la vostra “vittoria” definitiva. Ma se non lo fate, dimostrerete, altrettanto pubblicamente, di essere soltanto degli emeriti buffoni»[4].
Nel frattempo è uscito un altro mio studio importante, che aggiungo al dossier sulle camere a gas: Auschwitz: assistenza sanitaria, “selezione” e “Sonderbehandlung” dei detenuti immatricolati (Effepi, Genova, 2010)[5], 333 pagine, 60 documenti.
Rinnovo l’invito a tutti gli anti-“negazionisti” italiani: invece di proporre leggi assurde, confutate questi due libri: se non lo farete, dimostrerete di essere soltanto degli emeriti cialtroni.
Per istituire il reato di “negazione” della Shoah bisognerebbe anzitutto chiarire che cosa si intende per Shoah. La definizione comunemente accettata è quella esposta da Michael Shermer e Alex Grobman: «l’uccisione di sei milioni di persone, le camere a gas e l’intenzionalità»[6].
L’eventuale legge dovrà allora assume i 6 milioni come dato “innegabile”? In questo caso, tra l’altro, sarebbero fuori legge non solo Gerald Reitlinger, che postulò da un minimo di 4.194.200 a un massimo di 4.581.000 vittime[7], ma perfino lo storico olocaustico per eccellenza, Raul Hilberg, che ne assunse 5.100.000[8]. Risulta perciò evidente che la cifra dei “sei milioni” è tutt’altro che “innegabile”.
La situazione non è migliore per quanto riguarda il secondo punto, le camere a gas. Nella tabella che segue riassumo lo stato delle conoscenze olocaustiche al riguardo:
campo di sterminio
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Numero delle camere a gas
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numero delle vittime
secondo l’Enzyklopädie des Holocaust
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prove documentarie e/o materiali
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Chelmno
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2 o 3 “Gaswagen”
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152.000-320.000
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nessuna
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Belzec
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3, poi 6
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600.000
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nessuna
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Sobibor
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3
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250.000
|
nessuna
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Treblinka
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3, poi 6 o 10
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738.000
|
nessuna
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totale
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23 o 28
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1.740.000-1.908.000
|
nessuna
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In pratica la storiografia olocaustica afferma che nei suddetti campi di sterminio siano esistite da 23 a 28 camere a gas (fisse o mobili), in cui sarebbero stati gasati da 1.740.000 a 1.908.000 Ebrei senza che sussista la minima prova documentaria o materiale. Tutto è rimesso a testimonianze contrastanti del dopoguerra, spesso palesemente false.
Passiamo al campo di Auschwitz. Ecco il quadro della situazione relativo alle camere a gas provvisorie:
impianto
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numero delle
camere a gas
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prove documentarie e/o
materiali
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«indizi criminali»
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crematorio I
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1
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nessuna
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nessuno
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“Bunker 1”
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2
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nessuna
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nessuno
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“Bunker 2”
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4
|
nessuna
|
nessuno
|
Con queste, le camere a gas per le quali non esiste nessuna prova documentaria o materiale salgono a 30-35.
Per i crematori di Birkenau, Pressac nel 1989[9] annunciò la scoperta di 39 «indizi criminali» (criminal traces), non «prove», si badi bene, così ripartiti:
crematorio II: 11
crematorio III: 7
crematori IV e V: 15.
Al numero summenzionato Pressac era giunto sommando anche le varie menzioni del medesimo indizio. In realtà, raggruppando nelle singole voci le numerose ripetizioni, gli «indizi criminali» si riducevano a 9. Nel 1993 egli aggiunse altri 6 indizi[10] e uno fu trovato successivamente da Robert Jan van Pelt[11].
Curiosamente (si fa per dire), nessun indizio relativo al crematorio II è posteriore alla data della deliberazione di consegna dell’impianto da parte della Zentralbauleitung all’amministrazione del campo (31 marzo 1943). Secondo Pressac, questo crematorio avrebbe funzionato
«come camera a gas omicida e impianto di cremazione dal 15 marzo 1943, prima della sua entrata in servizio ufficiale il 31 marzo, al 27 novembre 1944, annientando un totale di circa 400.000 persone, in massima parte donne, vecchi e bambini ebrei»[12].
È vero che Pressac in seguito ha drasticamente ridimensionato questa cifra, ma è anche vero che van Pelt attribuisce a questo impianto ben 500.000 vittime.
La presunta camera a gas omicida del crematorio II avrebbe dunque funzionato per oltre 20 mesi, sterminando 500.000 persone, senza lasciare neppure un misero «indizio criminale»!
Per il crematorio III, nessun indizio è posteriore alla data della deliberazione di consegna dell’impianto (24 giugno 1943). In questo crematorio, secondo Pressac, furono gasate e cremate 350.000 persone. Per i crematori IV e V l’indizio più tardo risale ad appena un paio di settimane dopo la deliberazione di consegna dell’impianto (4 aprile 1943). In questi due crematori, secondo Pressac furono gasate e cremate 21.000 persone. Dunque nei quattro crematori sarebbero state gasate 771.000 persone in oltre 20 mesi senza che al riguardo nell’archivio della Zentralbauleitung sia rimasto un solo «indizio criminale», mentre invece numerosi documenti attestano i guasti frequenti che si verificarono agli impianti di cremazione.
Nello studio già menzionato Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico-tecnico sugli «indizi criminali» di Jean-Claude Pressac e sulla «convergenza di prove» di Robert Jan van Pelt ho esposto una critica totale e radicale delle posizioni di questi due storici.
Ma, a parte ciò, “negare” le camere a gas di un singolo campo di sterminio significa “negare la Shoah”? E “negare” una singola camera a gas di Auschwitz? Ciò, per quanto riguarda i primi quattro campi e i primi tre impianti di Auschwitz, significherebbe dare rilevanza di “innegabilità” a semplici testimonianze (per di più contrastanti); per i crematori di Birkenau, elevare al rango di dogma indiscutibile interpretazioni personali errate, spesso fantasione e qualche volta perfino in aperta malafede.
E come la mettiamo col numero delle vittime? Il tribunale di Norimberga sancì la favola sovietica dei 4 milioni; dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il Museo di Auschwitz lo ridimensionò a 1.100.000[13], ma stranamente sulle targhe marmoree che prima recavano la cifra dei 4 milioni fu poi iscritta quella di un milione e mezzo.
Qual è allora la cifra “innegabile”? Un milione e cento mila? Oppure un milione e mezzo? In entrambi i casi sarebbero fuori legge sia Jean-Claude Pressac, che dichiarò da 611.000 a 711.000 vittime[14], sia Fritjof Meyer, all’epoca caporedattore di Der Spiegel (Amburgo), che parlò di 510.000[15].
E che dire dell’attività degli Einsatzgruppen? A questo riguardo il revisionismo contesta:
1) che gli Einsatzgruppen avessero l’ordine di sterminare gli Ebrei in quanto Ebrei;
2) l’entità delle fucilazioni realmente effettuate.
Nessuno dei due punti può essere storicamente “innegabile”.
Al congresso di Stoccarda (3 a 5 maggio 1984) Helmut Krausnick si occupò in modo specifico «delle testimonianze e degli indizi esistenti circa l’eventuale impartizione di un ordine di fucilazione degli Ebrei». Su questo tema egli dichiarò:
«Riguardo alle questioni relative a quando, dove, da chi e per quale cerchia di persone un tale ordine fosse stato trasmesso agli Einsatzgruppen, le deposizioni rese dopo la guerra non concordano – o non concordano più».
Indi aggiunse che
«più importante della questione di chi abbia trasmesso l’ordine di uccisione, è indubbiamente quella di sapere se e quando sia stato impartito, e a quale cerchia di persone»[16].
Se, da chi, quando, a chi! La storiografia olocaustica al riguardo brancola nel buio totale.
Per quanto riguarda la cifra delle vittime, nel libro edito da W. Benz Dimensione del genocidio appare una statistica comparata dei dati di G. Wellers, di G. Reitlinger, di R. Hilberg e dell’Enciclopedia dell’Olocausto. Riguardo all’Unione Sovietica (attività degli Einsatzgruppen) in essa figura una cifra minima di 750.000 (G. Reitlinger) e una cifra massima di 2.100.000 (W. Benz)[17]. La “negazione” di quale cifra costituirebbe allora reato?
Il terzo elemento che definisce la Shoah è l’intenzionalità, ossia una volontà omicida concretizzatasi in un ordine di sterminio, il fantomatico Führerbefehl. Anche qui si naviga nelle tenebre. Come è noto, la corrente funzionalista o strutturalista ha fatto scempio delle ipotesi intenzionaliste propugnate a Norimberga, riducendo il presunto ordine di sterminio a un «cenno della testa» di Hitler o a una «lettura di pensieri concordanti» tra Hitler e i suoi gerarchi![18].
Sarà dunque reato “negare” qualcosa che, per ammissione di una corrente della storiografia olocaustica, non è mai esistito?
Il caso francese della famigerata legge Fabius-Gayssot (13 luglio 1990) illustra bene le acrobazie funamboliche in cui i giuristi locali si sono esibiti per tentare di sostanziare in qualche modo la legge antirevisionista. L’articolo 9 afferma infatti che «saranno puniti con le pene previste dalla sesta riga dell’articolo 24 coloro che avranno contestato, con uno dei mezzi enunciati all’articolo 23, l’esistenza di uno o più crimini contro l’umanità quali sono definiti dall’articolo 6 dello statuto del tribunale militare internazionale allegato all’accordo di Londra dell’9 agosto 1945 e che sono stati commessi sia dai membri di una organizzazione dichiarata criminale in applicazione dell’articolo 9 del suddetto statuto, sia da una persona riconosciuta colpevole di tali crimini da una giurisdizione francese o internazionale»[19].
Ma l’articolo 6 dello statuto di Londra si limita semplicemente a definire formalmente i tre tipi di crimini da attribuire ai nazisti (crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità)[20]. Si potrebbe allora pensare che i giudici francesi si basino sul dibattimento e sulla sentenza del processo di Norimberga. Se ciò fosse vero, dovrebbero condannare anche chi nega che l’eccidio di Katyn fu commesso dai Tedeschi, chi nega che a Belzec l’uccisione avvenisse mediante corrente elettrica e a Treblinka per mezzo di “camere a vapore”, chi nega che le vittime di Auschwitz furono 4 milioni e quelle di Majdanek un milione e mezzo (la cifra ufficiale attuale è 78.000) e anche chi nega che i Tedeschi usassero il grasso umano per fabbricare sapone. Tutte “verità” sancite a Norimberga.
Il riferimento al processo di Norimberga è fin troppo chiaramente pretestuoso, in quanto con esso si finge di introdurre un criterio di giudizio storico oggettivo, mentre invece l’interpretazione della legge è lasciata all’arbitrio del giudice.
Concludendo, “negare la Shoah” storicamente non significa nulla, perché, contrariamente a quanto credono gli ignoranti, essa non è un fatto, meno che mai un fatto univoco e innegabile, bensì una congerie straordinariamente complessa di interpretazioni di fatti reali, di affermazioni indimostrate e di supposizioni aleatorie.
Il reato di “negazione della Shoah”, senza un elenco preciso di tutti i suoi aspetti “innegabili”, sarebbe pertanto giuridicamente aberrante; esso costituirebbe per di più un becero atto di vero negazionismo: la negazione della libertà di opinione in campo olocaustico, l’unico campo storico che, negli intendimenti degli intolleranti fautori della legge, dovrebbe essere sottratto a suon di galera alla critica.
Carlo Mattogno
23 ottobre 2010
[1] Coll’unica eccezione dell’opera di Liliana Picciotto Fargion Il libro della memoria (Mursia, Milano, 1991), che però è un semplice elenco di nomi.
[2] Teramo, contro le tesi negazioniste spunta una lezione “riparatrice”, in:
[3] In rete: edizione riveduta, corretta e aggiornata (2009): http://vho.org/aaargh/fran/livres7/CMCappuccetto.pdf.
[4] La “Repubblica” del Delirio o i Teppisti della Disinformazione, in:
[5] La Prima Parte del libro presenta, sulla base di documenti ignoti alla storiografia ufficiale o da essa volutamente ignorati, una trattazione sulle condizioni di vita dei detenuti ad Auschwitz, con particolare riferimento all’assistenza sanitaria; dunque non solo non “nega” nulla, ma “afferma” aspetti della vita del campo “negati” dalla storiografia ufficiale.
[6] Negare la storia. L’Olocausto non è mai avvenuto: chi lo dice e perché. Editori Riuniti, Roma, 2002, p. 28.
[7] La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli ebrei d’Europa 1939-1945. Casa Editrice Il Saggiatore, Milano, 1965, p. 612.
[8] La distruzione degli ebrei d’Europa. Einaudi, Torino, 1995, pp. 1318-1319.
[9] J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers. The Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1989
[10] J.-C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945. Feltrinelli, Milano, 1994.
[11] R.J. van Pelt, The Case for Auschwitz. Evidence from the Irving Trial. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 2002.
[12] J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers, op. cit., p. 183.
[13] Franciszk Piper, Die Zahl der Opfer von Auschwitz. Verlag des Staatliches Museum in Oświęcim, 1993.
[14] Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945. Feltrinelli, Milano, 1994, p. 173
[15] «Die Zahl der Opfer von Auschwitz. Neue Erkenntnisse durch neue Archivfunde», in: Osteuropa. Zeitschrift für Gegenwartsfragen des Ostens, n. 5, 2002, pp. 631-641.
[16] Eberhard Jäckel, Jürgen Rohwer (a cura di), Der Mord an den Juden im Zweiten Weltkrieg. Entschlußbildung und Verwirklichung. Deutsche Verlags-Anstalt, Stoccarda, 1985, p. 91.
[17] Dimension des Völkermords. Die Zahl der jüdischen Opfer des Nationalsozialismus”. R. Oldenbourg Verlag, Monaco, 1991, p. 16.
[18] Vedi al riguardo il mio studio Hitler e il nemico di razza. Il nazionalsocialismo e la questione ebraica. Edizioni di Ar, 2009.
[20] Atti del processo di Norimberga, edizione tedesca, vol. I, pp. 11-12.
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