Per introdurre adeguatamente questo obliato documento riprendo la descrizione della situazione in Germania dopo l’Enciclica dalle pagine del più volte citato libro di Mons. Maccarrone[1] (sottolineo in grassetto i passaggi a mio avviso più significativi):
“La propaganda nazista, per attenuare l’impressione suscitata dal documento papale, accentuò la campagna di calunnie del clero, sfruttando gli infami processi di immoralità. Un memoriale inviato il 27 Maggio 1937 dal Vescovo di Berlino, Mons. Preysing, al Ministro della Propaganda, testimonia in modo impressionante questa odiosissima manovra politica. Il memoriale, infatti, individuava gli scopi prossimi dell’insistenza sui processi citando passi significativi dei più diffusi giornali tedeschi, nei quali le ampie relazioni processuali servivano per rinnovare gli attacchi all’Enciclica e per seminare nei genitori la diffidenza contro i sacerdoti ed i religiosi che tenevano le scuole confessionali…I mesi dopo l’Enciclica videro anche l’accentuarsi di misure contro le essenziali libertà della Chiesa. Uno dei fatti più salienti fu la perquisizione poliziesca di alcune Curie vescovili…Non mancarono le proteste più vive per tali fatti, compiuti in aperto contrasto con gli art. 4 e 9 del Concordato del Reich…Dopo queste proteste della Santa Sede, diminuirono le perquisizioni alle Curie (unico caso fu quello di Frauenburg nel Novembre), però la libertà di ministero dei Vescovi e dei sacerdoti fu colpita con altri provvedimenti. Uno di questi, inteso ad allontanare sempre più il popolo dalla Chiesa, fu la limitazione nei giornali tedeschi, di notizie religiose. In tal senso furono date l’8 Luglio 1937 alcune istruzioni alla stampa del Baden, ordinando di pubblicare solo l’annunzio di manifestazioni « che hanno carattere di ufficio divino », escludendo ogni altro avviso, come Comunioni mensili, riunioni dell’Apostolato della Preghiera e dei Terzi Ordini, prove di canto del coro parrocchiale ecc. Simili restrizioni imponeva la circolare diramata l’11 Febbraio 1938 dall’associazione germanica degli editori, nella quale erano enumerati gli annunzi religiosi e di associazioni religiose che non dovevano pubblicarsi nei giornali quotidiani. Un’altra forma di costrizione della libertà di ministero fu l’applicazione, più frequente del cosiddetto « Kanzelparagraph » (paragrafo del pulpito), già celebre ai tempi del « Kulturkampf »…Il decreto doveva servire ad un’azione repressiva più forte contro i sacerdoti cattolici che difendevano dal pulpito i principii cristiani. Infatti, si moltiplicarono gli ammonimenti, i divieti, ed anche i procedimenti giudiziari contro sacerdoti secolari e regolari che nell’esercizio del loro dovere pastorale proclamavano e difendevano determinati punti della dottrina cattolica, come il valore del Vecchio testamento, la condanna della sterilizzazione, la necessità della scuola confessionale; furono date persino proibizioni assolute di predicare…Accanto al crescendo di queste misure contro la libertà della Chiesa, dopo la pubblicazione dell’Enciclica Mit brenneneder Sorge andò aumentando l’azione dei movimenti politici e culturali che tentavano di distruggere nel popolo tedesco la religione cristiana, ed erigere al suo posto il Nazionalsocialismo come unica « Weltanschauung »…Purtroppo – come faceva rilevare un rapporto del Nunzio alla Santa Sede, in data 17 Luglio 1937 – il grosso della popolazione non rilevava i veri e gravi torti che il Governo tedesco andava perpetrando verso i cattolici, in ispecie riguardo all’educazione religiosa, e, eccettuato il popolo cattolico pio ed alcuni protestanti credenti, il resto rimaneva indifferente, per non dire favorevole al Governo, abbacinato dall’astuto sistema di propaganda partigiana ed anche da certi vantaggi materiali, come il felice successo ottenuto dal Governo contro la disoccupazione, la notevole ripresa di affari che si poteva misurare dal gettito delle imposte, e la battaglia demografica in continuo sviluppo…Questo appariscente benessere e progresso materiale, favoriva assai la propaganda anticristiana. Se ne ebbe una nuova manifestazione al Congresso di Norimberga del Settembre 1937…dove fu fatta l’esaltazione di Rosenberg, celebrato come il filosofo del Nazionalsocialismo ( a lui fu conferito il così detto « premio nazionale »). Nei mesi successivi, pubblici discorsi di capi nazisti, diffusi nel popolo dalla ben manovrata propaganda, continuarono gli attacchi alla Chiesa. La stessa propaganda spergeva abilmente, quasi ad intervalli prestabiliti, voci di distensione e di offerte di pace, cui non corrispondeva alcun sincero proposito. In realtà, la implacabile lotta contro la Chiesa e il Cristianesimo continuava più intensa di prima; all’occhio dell’osservatore superficiale questa non poteva del tutto apparire, perché le chiese erano aperte, i sacerdoti amministravano i Sacramenti e lo Stato continuava a dare le sue sovvenzioni, ma i veri indici della situazione religiosa erano segnati dalla coartazione delle coscienze e dallo spirito anticristiano imposto nella vita pubblica[2]“.
Di fronte a tutto ciò, il Papa Pio XI protestò nuovamente, dinanzi a tutto il mondo, con la solenne allocuzione natalizia del 1937. Ecco la sintesi del suo discorso come appare nel detto libro di Maccarrone, e che descrive « il fatto doloroso, penosissimo, della persecuzione religiosa nella Germania »:
« Poiché vogliamo dare alle cose il loro nome, e non si abbia a ripetere di noi quello che l’antico storico disse in un determinato momento: Vera etiam rerum perdidimus nomina.
No, per grazia di Dio non abbiamo perduto tale nome: vogliamo chiamare le cose col loro nome. Nella Germania c’è infatti la persecuzione religiosa. Da molto tempo si va dicendo, si va facendo credere che la persecuzione non c’è: sappiamo invece che c’è, e grave; anzi poche volte vi è stata una persecuzione così grave, così temibile, così penosa e così triste nei suoi effetti più profondi. È una persecuzione alla quale non manca né il prevalere della forza, né la pressione della minaccia, né i raggiri dell’astuzia e della finzione ».
Ricordati poi i suoi personali e profondi legami con la Germania, così proseguiva l’accorata parola del Capo della Chiesa:
« È pertanto triste, doppiamente triste per il Sommo Pontefice dover ricordare quanto in quel Paese si commette contro la verità; una verità che lo riguarda non solo personalmente – questo sarebbe il meno, sarebbe molto meno – che lo riguarda in modo ben più grave in quanto tocca ciò che egli ha di più caro, che occupa i suoi pensieri, il suo cuore; ciò che investe tutta la sua responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini, ossia la gerarchia cattolica, la religione cattolica, la santa Chiesa di Dio, che la bontà divina ha affidato alle cure del suo Vicario in terra. Si va dicendo che la religione cattolica non è più cattolica, ma è politica, e si prende questo pretesto, questa qualifica per giustificare la persecuzione come se non fosse persecuzione, ma – per così dire – una manovra di difesa. Quei dilettissimi figli condividevano e condividono con il Padre la constatazione che qui si tratta della stessa accusa fatta a Nostro Signore quando fu tradotto davanti a Pilato, quando tutti l’accusavano di fare la politica: di essere un usurpatore, un cospiratore contro il regno politico, un nemico di Cesare…Così possiamo dire anche noi. Se noi facessimo la politica che ci si addossa, che ci si attribuisce in questo parlare di armamenti e di guerra, ci sarebbe forse un posto, per quanto piccolo od esiguo, anche per noi. No, il Sommo Pontefice non ha bisogno di giungere fin là. Il Papa non fa della politica. Egli non vive, non opera per fare politica, ma per rendere testimonianza alla verità, per insegnare la verità: questa verità il mondo così poco apprezza e poco cura, mentre si cura di tutto il resto, precisamente come Pilato che non aspettò la risposta alla sua domanda: Quid est veritas?
Il Sommo Pontefice voleva dire e ripetere e protestare altamente in faccia al mondo intiero: noi non facciamo della politica; al contrario, proprio per ritornare alle parole di Nostro Signore Gesù Cristo, se così fosse, la gente nostra – in tutto il mondo abbiamo gente nostra: carissimi figli, devoti fedeli, credenti, adoratori di Dio – verrebbe in aiuto a noi. Orbene nessuno di questi figli nostri sparsi nel mondo, nessuno crede che noi facciamo della politica; quando tutti vedono invece e continuamente constatano che noi facciamo della religione, e non vogliamo fare altro.
Certo – aggiungeva il Santo Padre – appunto per questo si deve affermare che il semplice cittadino deve conformare la propria vita civica alla legge di Dio, di Gesù Cristo. È questo fare della religione o della politica? Non certo della politica.
Noi vogliamo poi – proseguiva Sua Santità – che anche nella vita civica, nella vita umana e sociale, siano sempre rispettati i diritti di Dio, che sono anche i diritti della anime. È quello che abbiamo sempre unicamente fatto. Se altri ha pensato altrimenti e dice altrimenti, ciò è contro la verità. Ed è ciò che profondamente addolora il Sommo Pontefice: il gettare quest’accusa molteplice di abusata religione – uno dei peggiori pensieri che possano venire in mente umana – l’accusa di abusata religione a scopo politico; il lanciare, si dica pure la vera parola, tale calunnia contro tanti suoi venerati fratelli nell’Episcopato, contro tanti sacerdoti, contro tanti buoni fedeli di fare opera di buoni cristiani e quindi, evidentemente, opera di migliori cittadini, come consapevoli di essere responsabili anche di questi doveri civici e sociali non soltanto davanti agli uomini, ma dinnanzi a Dio stesso.
Il Santo Padre dichiarava pertanto che la sua protesta non poteva essere né più esplicita né più alta di fronte al mondo intero: noi facciamo della religione; non facciamo della politica: lo vedono tutti quelli che vogliono vedere.
Per il rimanente, questa proclamazione della verità vada – continuava il Sommo Pontefice – a consolare tanti suoi fratelli nell’Episcopato, i sacerdoti e i fedeli che soffrono tanto sotto questa persecuzione così ingiusta e così tristemente negatrice; e soprattutto soffrono per questa calunnia, dopo la quale non si poteva aggiungere una sofferenza più acuta alle sofferenze, alle angustie di ogni genere, che la persecuzione comporta in sé.
Sapessero essi che il Papa era con loro: che egli conosceva le loro tribolazioni; che soffriva con essi e che la sua più grande sofferenza era quella di saperli cotanto tribolati, così sensibili alle accuse che venivano mosse contro di loro.
Che ci resta? – proseguiva Sua Santità – Ci resta quello che, grazie a Dio, sempre ci resta e ci resterà: elevare l’occhio e il cuore, l’anima e la mente a Dio benedetto…Venisse a far cessare tanto male e a ricondurre sulla buona via della verità riconosciuta, della verità onorata, tanti che allora sembravano davvero non conoscerlo se non per negarla e per offenderlo. Terribile punizione, quella, terribile spettacolo, ma che faceva anche pensare – un pensiero, diceva Sua Santità, di cui egli sentiva per primo il bisogno – alla infinita misericordia di Dio, che tanto tollera. Davanti a quella divina longanimità si doveva veramente dire: se noi, in un momento qualsiasi, perdiamo la pazienza, erriamo. Sì, erriamo – concludeva Sua Santità – se noi non seguitiamo a pregare per tutti, e proprio anche per quelli che ci fanno soffrire per ciò che a noi è tanto caro e deve essere tanto caro al punto da dover dare la nostra vita »[3].
[1] Vedi i seguenti post: https://www.andreacarancini.it/2010/07/documenti-per-lo-studio-della-mi/ e https://www.andreacarancini.it/2010/07/documenti-per-lo-studio-della-mit_21/ .
[2] Mons. Michele Maccarrone, op. cit., pp. 187-192.
[3] Idem, pp. 192-194.
Leave a comment