LE ULTIME REVISIONI DI JEAN–CLAUDE PRESSAC
Di Carlo Mattogno
Queste pagine, redatte già da alcuni anni, sono rimaste finora inedite perché toccano argomenti ed esprimono giudizi che prima avrebbero potuto sembrare gratuiti. La recente pubblicazione del mio libro Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico–tecnico sugli “indizi criminali” di Jean–Claude Pressac e sulla “convergenza di prove” di Robert Jan van Pelt[1] documenta tutto ciò che resta implicito in questa panoramica e mi esime dal dovere di darne dimostrazione qui.
Questo studio contiene infatti una critica dettagliata di tutti gli argomenti addotti da Pressac [foto] e van Pelt su Auschwitz.
1) La scomunica solenne della storiografia ufficiale
Nel libro Histoire du négationnisme en France[2], Valérie Igounet ha presentato una lunga intervista a Jean-Claude Pressac che si svolse il 15 giugno 1995 (pp.613-652), il cui contenuto è stato però chiaramente rielaborato prima della pubblicazione.
Pressac non ha certo bisogno di presentazioni. La sua prima opera, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers[3] costituisce senza dubbio il contributo più importante della storiografia olocaustica su Auschwitz, la quale, grazie a lui, ha fatto progressi enormi, soprattutto per la mole di documenti che egli ha reso accessibili agli studiosi. Egli ha infatti il merito di aver studiato e fatto conoscere documenti d’archivio ignoti che giacevano sepolti ad Auschwitz e a Mosca. Per quanto riguarda l’interpretazione dei documenti, Pressac, fin dalle sue prime pubblicazioni, si è contraddistinto per un senso critico che, sebbene insufficiente, era impensabile per uno storico olocaustico.
Ma il pubblico lo conosce soprattutto per la sua seconda opera, Les crématoires d’Auschwitz. La machinerie du meurtre de masse[4], che è apparsa anche in italiano con il titolo Le macchine dello stermino. Auschwitz 1941–1945[5]. Ancor più della prima, quest’opera è stata infatti pubblicizzata in ogni modo e su scala planetaria come la confutazione totale e definitiva delle tesi revisionistiche. In realtà, nel complesso, sia per la metodologia chiaramente capziosa, sia per le interpretazioni forzate, l’opera è nettamente inferiore alla precedente e la pretesa che essa costituisca la confutazione totale e definitiva del revisionismo è soltanto una pia illusione.
Essa anzi, al pari della prima, ha fornito ulteriori argomenti alla critica revisionistica, a tal punto che taluni hanno considerato Pressac un cripto-revisionista.
Dopo qualche anno, l’entusiasmo iniziale dei circoli olocaustici europei e americani si è raffreddato. La seconda opera di Pressac è stata stroncata in una lunga recensione da Francziszek Piper, direttore della sezione storica del Museo di Auschwitz[6], e ciò ha rappresentato una sorta di anatema solenne da parte dei sommi sacerdoti della storiografia ufficiale.
La colpa essenziale di Pressac era quella di avere involontariamente distrutto con le sue ricerche il fragile impianto argomentativo che i cultori dell’olocausto avevano faticosamente costruito nel corso di decenni. La storiografia ufficiale riteneva – e, almeno quella polacca, ritiene ancora – che nell’estate del 1941 il comandante di Auschwitz, Rudolf Höss, avesse ricevuto, tramite Himmler, il presunto ordine di sterminio totale degli Ebrei europei da eseguire in tale campo, il quale si sarebbe immediatamente trasformato in un “campo di sterminio”, sicché i crematori di Birkenau sarebbero stati progettati e costruiti come strumenti per attuare questo presunto sterminio in massa.
Pressac, invece, ha dimostrato in modo ineccepibile che i suddetti crematori furono progettati e costruiti come normali impianti igienico-sanitari; egli ha poi preteso, sulla base di semplici “indizi criminali”, che alla fine di novembre del 1942 tali impianti furono trasformati in macchine di sterminio, il che, dal punto di vista documentario, è oltremodo contestabile.
Questa interpretazione è in aperto contrasto con la tesi ufficiale, perché, se il presunto ordine di sterminio fosse stato impartito nel 1941, ne conseguirebbe che le SS di Auschwitz, dopo aver inaugurato lo sterminio ebraico nel crematorio I del campo principale, avrebbero successivamente progettato e costruito quattro crematori a Birkenau come innocui impianti igienico-sanitari per trasformarli poi – a partire dalla fine di novembre del 1942 – in strumenti di sterminio. Per evitare questa contraddizione, Pressac è stato costretto a spostare al 1942 il presunto ordine di sterminio, ma ciò è del tutto insostenibile, perché pone una contraddizione insuperabile nella cronologia di Höss, il quale si ritroverebbe ad aver eseguito un ordine di sterminio prima ancora di averlo ricevuto (prime “gasazioni” nel crematorio I e nei “Bunker” di Birkenau)[7].
In conclusione, non si sfugge a questo dilemma: o risulta contraddittoria la data dell’ordine di sterminio, o risulta assurda la storia iniziale dei crematori.
Un’altra colpa che la storiografia ufficiale non ha perdonato a Pressac è la sua riduzione del numero dei morti ad Auschwitz, ora ufficialmente fissato a 1.100.000[8]. Dopo aver abbassato tale cifra a 775.000 nell’edizione originale della sua seconda opera[9], egli ha osato ridurla ulteriormente a 631.000-711.000 nella traduzione italiana[10] e in quella tedesca[11]. La storiografia ufficiale, sentitasi defraudata di ben 400.000 “gasati”, e avendo per di più capito che Pressac non era tipo da accettare con devozione assoluta e fede cieca i suoi dogmi, reagì in modo scomposto. Lo storico francese si vide perfino affibbiare l’epiteto di “riduzionista” da una olo-nullità italiana[12].
Egli si è spento il 23 luglio 2003 in un vergognoso silenzio mediatico[13].
Il posto di Pressac sugli altari dei sommi sacerdoti dell’olocausto è stato preso da Robert Jan van Pelt, che è stato citato come “esperto” di Auschwitz da Deborah Lipstadt al processo per diffamazione intentatole da David Irving. Nel cambio la storiografia ufficiale non ci ha guadagnato molto, in quanto l’incredibile mancanza di senso critico di costui rasenta spesso l’assurdo, mentre la sua conoscenza storico-documentaria appare superficiale e raccogliticcia, per non parlare della sua inettitudine nella ricostruzione del contesto storico dei documenti[14].
Nell’intervista menzionata all’inizio, Pressac dimostra di aver ben meritato la riprovazione dei sommi sacerdoti dell’olocausto, anzi, è andato ancora oltre. Riassumo per temi le sue affermazioni più importanti.
2) Il numero delle vittime dei “campi di sterminio”
«Ho tentato di determinare il numero delle vittime dei campi detti di sterminio (des camps dits d’extermination) su basi materiali: superficie della camera a gas e quantità di persone che vi potevano essere contenute, durata di una gasazione, numero di gasazioni quotidiane, numero di convogli giornalieri in funzione delle capacità reali delle camere, ecc. Ecco le cifre che ottengo in rapporto a quelle di Hilberg tratte dai Polacchi. Chelmno: da 80 a 85.000 invece di 150.000; Belzec: da 100 a 150.000 invece di 550.000; Sobibor: da 30 a 35.000 invece di 200.000; Treblinka: da 200 a 250.000 invece di 750.000; Majdanek: meno di 100.000 invece di 360.000» (p.640)(corsivo mio).
Assumendo le cifre minime, Pressac ha ridotto dunque il numero complessivo delle vittime dei campi «detti» di sterminio da 2.010.000 a 510.000. Tuttavia la cifra dei detenuti morti a Majdanek da lui addotta è ancora più del doppio di quella reale, risultante dai documenti, ossia circa 42.000[15].
Indi ha aggiunto:
«Quanto al massacro degli Ebrei, molte nozioni fondamentali devono essere completamente corrette. Le cifre proposte [dalla storiografia ufficiale] sono da rivedere da cima a fondo. Il termine di “genocidio” non conviene più («le terme “génocide” ne convient plus») (p.641).
3) I processi attuali contro i “criminali di guerra”
«Non accetto la pratica che consiste nel trascinare davanti ai tribunali dei vecchi rimbambiti perché parteciparono o furono autori di “crimini contro l’umanità”, definizione sommamente aleatoria di certe azioni generate dalla guerra. Non credo al valore educativo dei processi, soprattutto perché le testimonianze, i dibattiti e talvolta dei documenti prodotti non sono poi più consultabili per cinquanta o cento anni. La storia si costruisce senza odio, sulla base dei documenti restanti, che permettono di verificare le affermazioni dei partecipanti» (pp.633-634).
4) La legge Gayssot, Katyn e l’origine della seconda guerra mondiale
«Questa imbecillità reazionaria comunista votata da una maggioranza di deputati sedicenti “progressisti” non potrà inquadrare politicamente la storia ancora a lungo, perché le acquisizioni storiche non sono fissate per l’eternità e fluttuano in funzione delle decisioni politiche, dei documenti ritrovati o di verifiche inattaccabili sulla concordanza delle testimonianze.
Il massacro degli ufficiali polacchi a Katyn fu attribuito dal Tribunale di Norimberga ai Tedeschi, mentre tutti sapevano che era una menzogna vergognosa. Negli anni Settanta, un articolo su Katyn che incriminava i Sovietici doveva essere obbligatoriamente controbilanciato da una rettifica comunista, la quale indicava che i veri e soli colpevoli erano gli sporchi fascisti tedeschi. Il governo dell’URSS ha riconosciuto la propria colpevolezza soltanto nel 1990. Dal 1945 al 1990 non fu permesso di dire la verità sulla responsabilità del massacro. Ora lo è.
L’ingiustificata aggressione hitleriana alla pacifica Unione delle repubbliche socialiste sovietiche nel giugno 1941 è un luogo comune che milioni di ragazzi hanno recitato stentatamente sui banchi di scuola. Le prime grandi vittorie tedesche furono riportate perché la Wehrmacht sorprese l’Armata Rossa in pieno movimento di concentrazione, qualche settimana prima che si lanciasse sulle autostrade tedesche e tentasse di sottomettere l’Europa. L’armamento sovietico di allora lo mostra in modo inequivocabile: carri rapidi inadatti a combattere in Russia; formazione di un milione di paracadutisti, corpo offensivo per eccellenza; aerei d’assalto ammassati sul bordo della frontiera germano-sovietica. Distruggere le proprie fortificazioni di frontiera è un altro segno che non inganna sulle intenzioni di chi lo fa. Questi fatti sono conosciuti, irrefutabili, ma per tutti la Germania ha scatenato il conflitto lanciandosi all’assalto di un tranquillo paese la cui industria, pianificata – come era stato proclamato – per la produzione di beni e attrezzature che dovevano ampiamente colmare i bisogni del popolo, aveva fabbricato molte migliaia di carri, provocando un abbassamento vergognoso del livello di vita degli abitanti, situazione miserabile mantenuta con un terrore onnipresente» (pp.638-639).
5) Faurisson e la metodologia storiografica
Sebbene il giudizio complessivo di Pressac su Faurisson fosse inevitabilmente negativo, egli ha avuto l’onestà e il coraggio di tributargli un doveroso riconoscimento:
«Io pensavo di saperne molto su Auschwitz. Egli ne sapeva cento volte più di me» (p.617).
«S’instaurò così una collaborazione che durò sei mesi. Faurisson mi formò alla critica storica – cosa che certe persone mi rimprovereranno sempre» (p.618).
6) Mattogno visto da Pressac
Pressac, nell’intervista, dedicò qualche pagina anche a me.
«Un italiano come Carlo Mattogno è diventato incontestabilmente il migliore ricercatore di parte revisionista. Nel primo numero delle Annales d’histoire révisionniste della primavera 1987, l’articolo principale è suo e si intitola Il mito dello stermino ebraico. Il metodo utilizzato da Mattogno si fonda sul confronto delle testimonianze, abituale procedimento faurissoniano e, dopo aver mostrato le loro molteplici contraddizioni, giunge alla conclusione della loro inammissibilità e dell’inesistenza delle camere a gas. Egli soprattutto non cerca di spiegare queste divergenze» (p.642).
In effetti, io non cerco di spiegare queste “divergenze”, ma soltanto perché esse sono inesplicabili; Pressac ci ha provato, ma è stato inevitabilmente costretto ad arrampicarsi sugli specchi in un modo che spesso va al di là dei limiti del decoro. A questo riguardo, la sua “spiegazione” delle assurdità contenute nei cosiddetti “Protocolli di Auschwitz” è veramente esemplare: egli vi presenta argomentazioni talmente fantasiose che sfiorano la comicità[16].
7) La questione degli Ebrei ungheresi ad Auschwitz
«Malgrado le sue limitazioni evidenti, questo primo lavoro revisionistico di Mattogno gli ha aperto delle vie che egli ha sfruttato successivamente: la questione del numero degli Ebrei ungheresi deportati a Birkenau e quella della produzione [Pressac dice erroneamente “rendimento”] dei forni crematori della Topf. Per gli Ebrei ungheresi, egli ebbe ragione fin dal 1987 ad affermare che le deportazioni durarono da maggio a giugno [recte: fino all’ inizio luglio], mentre Danuta Czech, la redattrice polacca del Calendario degli avvenimenti nel campo di concentramento di Auschwitz–Birkenau, 1939–1945 e anche [Georges] Wellers, che utilizzava questa fonte senza controllo, sostenevano che esse si erano svolte da maggio a ottobre. Wellers rifiutò di corrispondere con Mattogno su questo argomento partendo dal postulato che non si discute con i revisionisti. Un mandato d’arresto [internazionale] fu perfino spiccato da un giudice zelante contro Mattogno nel caso in cui fosse entrato in territorio francese[17]. Czech aveva pubblicato negli anni Sessanta il suo Calendario a partire dal quale Wellers aveva calcolato il numero delle vittime di Auschwitz (1.600.000 invece di 4.000.000). Un secondo Calendario, corretto, fu pubblicato nel 1989. Dei 91 convogli registrati [nella prima edizione], ne restavano soltanto una cinquantina. Czech si era sbagliata e aveva scambiato dei trasferimenti da campo a campo all’interno di Birkenau per l’arrivo di convogli. (…). Poiché Czech si ritrovava ormai soltanto con 50 convogli che contavano 150.000 persone invece delle 438.000 che credeva fossero state deportate ad Auschwitz, ella aumentò per “compenso” il numero dei convogli da maggio a giugno, affermando – senza prove – che il tale giorno, invece di “un” convoglio, erano giunti a Birkenau “dei” convogli, rendendosi colpevole di falso storico. Nessun mandato di arresto internazionale fu però spiccato contro Czech. Quanto ai conteggi di Wellers, dopo l’apparizione del secondo Calendario, essi non valevano più niente, il che non impedì ai Polacchi di utilizzare i risultati erronei di Wellers come un riferimento “serio”»(p.643-644).
Per l’esattezza, nel 1987 Georges Wellers mi scrisse una lettera molto arrogante in cui mi accusava di «deformare la verità storica». Probabilmente egli non aveva gradito troppo il fatto che, nello studio Wellers e i “gasati” di Auschwitz[18], io avessi svelato le sue imposture, grazie alle quali quell’integerrimo fustigatore di presunti falsari, manipolando le sue fonti, aveva inventato 594.191 “gasati” ebrei!
8) La prima gasazione ad Auschwitz
«Mattogno ha anche studiato la prima gasazione omicida ad Auschwitz, che, a dire dei Polacchi, si svolse dal 3 al 5 settembre negli scantinati del Block 11 del campo principale. Questa gasazione, secondo i Polacchi, è la conseguenza diretta dell’ordine di sterminio degli Ebrei che Höss ricevette a Berlino personalmente da Himmler nell’estate del 1941; però essa si riferisce a prigionieri di guerra russi e a malati incurabili, non ad Ebrei. Mattogno ha concluso in un primo tempo che era una pura invenzione, poi, che questo episodio non riposava su alcun fondamento storico. Io ho discusso su tale questione con i Polacchi. Ecco la risposta, un po’ sbrigativa: “Questa gasazione è iniziata il giorno dell’anniversario di un detenuto che vi partecipava, dunque egli si ricorda esattamente della data”. Il detenuto in questione, che si chiamava Michal Kula, aveva dichiarato di ricordarsene con precisione perché era il giorno dell’anniversario del suo arrivo al campo, il 15 agosto… e non il 3 settembre. Si sa ora che Höss non ha ricevuto l’ordine di uccidere gli Ebrei nell’estate del 1941, ma all’inizio di giugno del 1942. Se questa prima gasazione ha avuto luogo, essa si colloca nel dicembre 1941 oppure nel gennaio 1942 e non ha alcuna relazione con il massacro degli Ebrei» (p.644)(corsivo mio).
A quanto pare, alla fine il mio libro Auschwitz: La prima gasazione[19] riuscì a scuotere le certezze di Pressac: nel 1989 egli seguiva in toto i Polacchi[20]; nel 1993 egli ammetteva ancora la realtà del racconto, ma lo spostava al dicembre 1941[21], sulla base di un mio spunto polemico; nel 1995 Pressac giunse a dubitare della sua realtà storica.
9) L’inizio della diatriba sulla cremazione
Come Pressac ricorda a p. 645 (cito il passo alla fine), lui ed io ci incontrammo due volte, per suo esplicito invito, nel 1989 e nel 1990 (la seconda volta a casa sua). All’epoca egli aveva appena pubblicato la sua prima opera menzionata sopra, nella quale trattava, tra l’altro, la questione della cremazione; io me ne occupavo solo da qualche anno, ma avevo già acquisito qualche conoscenza che mi permetteva di correggere i suoi grossolani errori. Ricordo la fatica che feci a convincerlo che i forni a coke funzionavano con produzione di gas (nel gasogeno il coke si trasformava in gas d’aria che veniva bruciato nella camera di cremazione), perché egli credeva che i cadaveri fossero consumati dalla viva fiamma del combustibile che bruciava sotto di essi, come quando si cuociono le bistecche sulla griglia. In un disegno della sua opera[22] egli mostrava il percorso dei fumi del forno a 3 muffole (camere di cremazione) secondo il quale questi, dalla muffola centrale, giravano intorno alle due muffole laterali, cosa tecnicamente assurda per questo tipo di forno, che funzionava in base al procedimento di cremazione diretto, e ovviamente i fumi attraversavano le muffole. Questa “spiegazione” si basava su un errore di traduzione di un testo polacco (i traduttori avevano reso con “around”, intorno, la preposizione “przez”, che significa attraverso). Dal che si può arguire quale fosse la competenza tecnica di Pressac. Da allora i nostri studi sulla cremazione procedettero parallelamente, nel senso cronologico, ma anche, come spiegherò sotto, nel senso che si situavano su due piani diversi e inconciliabili. In riferimento ai primi tempi, Pressac dichiarò:
«Mattogno ha tentato di affinare il ragionamento del “maestro” [Faurisson] studiando le possibilità tecniche dei forni crematori tedeschi prima della seconda guerra mondiale. Egli con questa investigazione ha aperto veramente una nuova via di ricerca che, liberata dei bloccaggi revisionistici, offre prospettive promettenti, che però fu possibile sfruttare soltanto dopo la scoperta, all’inizio del 1995, degli archivi della ex ditta Topf, in particolare, dei piani e dei documenti restanti del reparto D IV – quello dei crematori – dell’ingegnere [della Topf] Kurt Prüfer» (p.644).
A quanto pare, questa scoperta esaltò Pressac, che profetizzò:
«Il futuro libro negazionista di Mattogno, se apparirà un giorno, non potrà nulla contro i documenti tecnici Topf ritrovati» (p.651).
Il mio libro sulla cremazione non è ancora apparso, ma nel libro citato sopra Le camere a gas di Auschwitz ne ho presentato una sintesi di 95 pagine (capitolo 8, pp. 210-294), alla quale rimando per le problematiche tecniche trattate sotto. Va precisato che non ha senso definire una tale trattazione “negazionista”, perché non nega nulla, ma espone essenzialmente la tecnologia della cremazione negli anni Trenta e Quaranta e illustra struttura, funzionamento, bilancio termico e durata delle cremazioni dei forni Topf. Per quanto riguarda i documenti della ex ditta Topf, l’importante raccolta che ne è stata pubblicata in rete non fa altro che confermare i risultati dei miei studi.
10) Nuove scoperte documentarie e vecchi spropositi tecnici
Egli espose poi il progetto di un libro sulla ditta Topf, costruttrice dei forni crematori di Auschwitz, che, evidentemente, con la sua forza dimostrativa, avrebbe dovuto chiudere in modo definitivo l’argomento cremazione. Pressac elargì in anteprima uno degli argomenti essenziali da lui congegnati grazie alla sua scoperta. Egli dichiarò:
«È importante conoscere i suoi lavori [di Mattogno] per combatterli sul suo terreno. Ma questa lotta diventa minore di fronte ai nuovi dati emergenti dallo studio dei forni, o meglio della cremazione in generale. Si tratta della questione del fumo. (…). Al primo congresso europeo sulla cremazione di Dresda del 1878[23] furono stabilite rigide regole per la conduzione delle cremazioni. Le ditte che costruivano i forni vi si dovettero conformare[24]. Una di queste regole prescriveva che “i prodotti della cremazione non devono appestare le vicinanze”[25].
La ditta Topf, la cui principale attività, fin dalla sua fondazione, era la costruzione di focolari di ogni tipo, aveva l’ossessione dell’emissione del fumo, segno di una cattiva regolazione del focolare[26]. Uno dei suoi prospetti commerciali si rivolgeva ai futuri clienti con questo avvertimento: “Se il vostro camino fuma, voi perdete denaro”. I forni crematori Topf non fumavano e neppure quelli delle ditte concorrenti […].
Interrogato al riguardo dai Sovietici dopo il suo arresto nel marzo 1946, Prüfer spiegò loro le caratteristiche della cremazione concentrazionaria. I forni crematori civili funzionano con aria preriscaldata, perciò il cadavere bruciava più rapidamente e senza fumo. Poiché i forni dei campi di concentramento furono strutturati in modo diverso, questo procedimento era impossibile. I cadaveri bruciavano più lentamente e si sviluppava il fumo. Per rimediare a ciò, bastava insufflare aria nella camera di cremazione. In effetti, i tre forni a 2 muffole del crematorio I del campo centrale di Auschwitz erano equipaggiati con soffianti, al pari dei forni a 3 muffole installati nel crematorio di Buchenwald e nei crematori II e III di Birkenau. Operando così, con una tecnica identica al soffiaggio dell’aria su un fuoco di fucina, Prüfer otteneva una durata della cremazione vicina a quella dei suoi forni civili ed evitava la formazione del fumo. Al contrario, i forni a 8 muffole dei crematori IV e V non si comportavano così, ma compensavano ciò con un forte tiraggio con due camini alti 16 metri. Quanto ai forni concentranzionari della Heinrich [recte: Hans] Kori di Berlino, riscaldati con nafta o coke, essi furono fabbricati senza ventilatori» (pp.648-649).
Probabilmente al lettore sfugge perché Pressac attribuisse tanta importanza alla questione del fumo, e, per la verità, ciò sfugge anche a me. Comunque sia, quel che certo, è che egli di tale questione aveva capito ben poco, come ho dimostrato ad abundantiam nello studio Le camere a gas di Auschwitz, capitolo 9, Pressac e i forni crematori di Auschwitz–Birkenau, pp. 295-336.
11) Camini fumanti o non fumanti?
È indubbiamente vero che i forni crematori non dovevano fumare, ma è altrettanto vero che, in pratica, tutti i forni, soprattutto quelli a coke, fumavano, in misura maggiore o minore, ma fumavano. Pressac, invece di studiare i diagrammi delle cremazioni, si accontentò delle “regole”. Ad esempio, nel corso degli esperimenti scientifici di cremazione eseguiti dall’ing. Richard Kessler, una delle massime autorità dell’epoca nel campo della cremazione, tra il 1926 e il 1927 (cinquant’anni dopo il congresso di Dresda!) nel crematorio di Dessau in un forno sistema Gebrüder Beck, Offenbach, migliorato da Keller stesso, che non aveva nulla da invidiare ai forni Topf, il forno fumò invariabilmente in tutte le cremazioni sia col riscaldo a coke, sia con quello a gas, sia con quello a bricchetta, e nei diagrammi relativi alla conduzione del forno era prevista la “rappresentazione della formazione di fumo” (Darstellung der Rauchentwicklung). L’indicazione del tiraggio del focolare era duplice, in quanto riguardava la forza del tiraggio durante la combustione normale (Normal–Verbrennung) e durante la combustione del fumo (Rauch–Verbrennung). Nel corso della prima cremazione con gas (il forno era dotato, oltre che di un gasogeno, anche di un bruciatore a gas), vi fu una formazione di fumo per circa un’ora; durante la seconda e la settima cremazione con coke lo sviluppo di fumo durò circa venti minuti. Negli anni Quaranta il problema del fumo era ancora irrisolto, tanto che un altro specialista della cremazione, l’ingegnere svizzero Hans Keller, nel 1944, ritenne necessario studiarlo scientificamente e pubblicò le sue conclusioni in un articolo intitolato Cause della formazione di fumo durante la cremazione (Ursache der Rachbildung bei der Kremation).
12) Le fumose spiegazioni di Pressac
Pressac aveva capito ben poco anche riguardo alle cause della formazione di fumo. Egli credeva che per eliminare il fumo fosse sufficiente «insufflare aria nella camera di cremazione», come se il fenomeno si riducesse a un banale difetto di aria combustione. In realtà i forni a coke funzionavano con un eccesso d’aria enorme. Secondo quanto risultò dall’esperienza, il fumo si formava o perché i prodotti della combustione si raffreddavano eccessivamente nel recuperatore e nel condotto del fumo, sicché non avveniva la loro postcombustione; o perché il camino non riusciva a smaltirli (come accertò l’ing. Keller), o perché il camino aveva un tiraggio eccessivo e le particelle di carbonio che formano il fumo visibile (e la fuliggine) uscivano dal camino incombuste (come nel primo forno Topf elettrico del crematorio di Erfurt).
In ogni caso, insufflare aria fredda (perché i forni Topf di Auschwitz non erano dotati di preriscaldatore dell’aria di combustione) avrebbe soltanto peggiorato la situazione, intensificando la formazione di fumo.
Pretendere che i forni Topf di Auschwitz non fumassero è tecnicamente insensato e contrario all’evidenza. Tali forni infatti non solo non avevano gli strumenti tecnici installati nei forni civili per segnalare la formazione di fumo (ad esempio gli analizzatori dei gas di combustione o Gasprüfer) e per eliminarlo (come il dispositivo del forno di Dessau di ricircolazione e di combustione del fumo), ma la loro grossolana struttura provocava inevitabilmente la formazione di fumo. Basti dire che nel forno a 3 muffole (il tipo di forno presente in più esemplari e più importante del campo di Birkenau) il soffiante che apportava aria di combustione alle muffole non era regolabile singolarmente per ogni muffola; inoltre la combustione nelle tre muffole era regolata da una sola serranda del fumo. Dunque una regolazione ottimale della combustione nelle tre muffole – che non avrebbe comunque evitato lo sviluppo di fumo – era praticamente impossibile, sicché il forno fumava a fortiori. D’altra parte, Pressac stesso, nella sua prima opera, commentando una fotografia del crematorio II di Birkenau dell’estate 1943, rilevò: “Il crematorio era già in funzione, come si può vedere dalla fuliggine sulla sommità del camino”[27].
E in effetti, dal cospicuo deposito esterno di fuliggine ad oltre 15 metri di altezza, si desume che il camino, quando i forni erano in attività, non solo fumava, ma fumava molto.
Esiste del resto una fotografia aerea di Birkenau (del 20 agosto 1944) che mostra dense volute di fumo sopra al camino del crematorio III[28].
L’affermazione di Pressac che i forni a 8 muffole dei crematori IV e V «compensavano» l’assenza dei soffianti «con un forte tiraggio con due camini alti 16 metri» è tecnicamente errata, perché l’altezza dei camini dei crematori II/III e IV/V era praticamente identica (15,46 e 16 metri) e la loro sezione era proporzionalmente identica. In effetti, nei crematori II/III ciascuna delle 3 canne fumarie in cui era suddiviso il camino aveva una sezione di 0,96 m2 e serviva 6 muffole; ciascuno dei due camini dei crematori IV/V aveva una sezione di 0,64 m2 e serviva 4 muffole; da una semplice proporzione risulta che la sezione di una canna fumaria per 6 muffole corrispondeva perfettamente a quella per 4 muffole: (6 x 0,64)/0,96 = 4 muffole!
Infine, la pretesa che nei forni di Auschwitz, grazie ai soffianti, si otteneva una durata della cremazione vicina a quella dei forni civili[29], si riduceva cioè la durata della cremazione, non ha alcun fondamento tecnico e dimostra una volta di più la sorprendente incompetenza di Pressac nel dominio della tecnica della cremazione. Nei forni Topf di Auschwitz la tubazione proveniente dalla soffieria attraversava la parte posteriore alta della loro struttura muraria nel senso della larghezza; da questa tubazione partivano dei tubi secondari ad essa perpendicolari che erano murati al di sopra della sommità delle volte delle muffole nel senso della loro lunghezza ed erano ad esse collegate mediante quattro aperture sulla sommità della volta. L’aria di combustione veniva dunque insufflata nelle muffole dall’alto verso il basso. Un sistema simile di apporto dell’aria di combustione era già stato sperimentato all’inizio degli anni Trenta nei forni a gas I e II del crematorio di Zurigo (1931-1932). Come riferì il prof. Paul Schlepfer nel 1938, l’esperienza mostrò che tale sistema era inefficiente:
«A ciò si aggiunge che l’aria viene introdotta nella parte alta della muffola e poi fluisce giù lungo le sue pareti e lì sottrae altro calore. Avviene dunque un raffreddamento anche nella parte interna della muffola. I gas combusti vengono convogliati direttamente in basso e il prezioso riscaldo della muffola nella fase iniziale della cremazione non avviene. La conseguenza è che la muffola, durante la cremazione, si raffredda rapidamente e generalmente verso la fine della cremazione è necessario riscaldare ulteriormente (…); la durata della cremazione si allunga in modo corrispondente. Anche nei tipi di forni I e II l’afflusso dell’aria dall’alto risulta tanto sfavorevole che la durata della cremazione si allunga [da un’ora] fino a un’ora e mezza»[30].
Appoggiandosi alle dichiarazioni dell’ing. Kurt Prüfer (il progettista dei forni a 3 e a 8 muffole di Birkenau) per la sua argomentazione, Pressac si impelagò e naufragò in un mare di contraddizioni. Nella sua seconda opera egli aveva infatti preteso che la capacità di cremazione pratica dei crematori II/III di Birkenau fosse di 1.000 cadaveri in 24 ore. Prüfer, invece, su specifica richiesta dell’inquirente sovietico, dichiarò che in ciascuno dei cinque forni a 3 muffole dei crematori II/III si poteva cremare un solo cadavere in un’ora, ossia 360 in 24 ore. La durata di un’ora è del resto confermata da molteplici prove.
Aggiungo che l’affermazione secondo la quale i soffianti dei forni a 2 e a 3 muffole operavano «con una tecnica identica al soffiaggio dell’aria su un fuoco di fucina» è un altro errore comune. Come ho spiegato sopra, i soffianti servivano a insufflare l’aria di combustione del cadavere nella muffola, non per soffiare l’aria di combustione del focolare, nel qual caso sarebbe in effetti aumentato il regime di griglia, cioè il quantitativo di coke bruciato sulla griglia del focolare nell’unità di tempo, con conseguente aumento del calore disponibile nella muffola.
«La questione del rendimento dei crematori di Auschwitz-Birkenau è risolta da una nota interna di Prüfer dell’8 settembre 1942, intitolata Reichsführer–SS, Berlin–Lichterfelde–West, Crematorio–Auschwitz. Confidenziale! Segreto! in cui si indica che i tre forni a due muffole del crematorio I cremarono 250 corpi al giorno, i cinque forni a tre muffole del crematorio II 800 al giorno, 800 al giorno anche quelli del crematorio III, i due forni a quattro muffole del crematorio IV 400 al giorno e 400 al giorno anche quelli del crematorio V (ossia una capacità massima di 2.650 corpi al giorno che non fu mai raggiunta). Questa nota del migliore specialista tedesco dell’epoca in fatto di cremazione mostra che la capacità incineratrice totale – 4.756 corpi al giorno – annunciata dalla Bauleitung di Auschwitz il 28 giugno 1943 ai servizi di Berlino è grossolanamente esagerata»[32].
Pressac non volle mai pubblicare questo documento, che apparve in rete solo dopo la sua morte, nel 2004, proveniente, a quanto pare, dall’Archivio di Stato di Weimar, cui era stata destinata una parte del suo lascito documentario. Tuttavia il documento contraddice il riassunto di Pressac:«Ich gab an, dass zur Zeit 3 Stück Zweimuffel-Öfen mit einer Leistung von 250 je Tag in Betrieb seien. Ferner wären jetzt in Bau 5 Stück Dreimuffel-Öfen mit einer täglichen Leistung von 800. Zum Versand kämen heute und in den nächsten Tagen die von Mogilew abgezweigten 2 Stück Achtmuffel-Öfen mit einer Leistung von je 800 täglich»[33].
«Io ho dichiarato che ora sono in funzione 3 forni a 2 muffole con una capacità [di cremazione] di 250 [cadaveri] al giorno. Inoltre sono attualmente in costruzione 5 forni a 3 muffole con una capacità [di cremazione] giornaliera di 800 [cadaveri]. Oggi e nei prossimi giorni saranno spediti i 2 forni a 8 muffole stornati da[l contratto di] Mogilew con una capacità [di cremazione] di 800 [cadaveri] al giorno ciascuno».
Perciò, secondo il documento, il forno a 8 muffole dei futuri crematori IV e V aveva una capacità di cremazione di 800 cadaveri al giorno, non di 400, una capacità assurdamente identica a quella dei cinque forni a 3 muffole (15 muffole) dei futuri crematori II e III (ma all’epoca della redazione della nota, i crematori di Birkenau ancora non esistevano, sicché qui non si tratta di risultati di esercizio, ma di mere stime, per la verità oltremodo fantasiose).
Nel corso dell’intervista, Pressac dichiarò quanto segue:
«Ho incontrato varie volte Carlo Mattogno. I nostri confronti furono interessanti e istruttivi. Ho cessato ogni dialogo con lui appena mi sono accorto che, invece di prendere atto dei documenti che ho pubblicato – documentazione incontestabile perché redatta dagli ingegneri della ditta [Topf] – egli si rifugiava dietro un’argomentazione in malafede per negarli»[34].
Come ho spiegato nel mio Ricordo di Jean-Claude Pressac, egli si riferiva al mio studio Auschwitz: Fine di una leggenda, una critica serrata del suo libro Les crématoires d’Auschwitz. La machinerie du meurtre de masse che gli inviai in anteprima all’inizio di marzo del 1994. Egli non rispose mai nulla, né in pubblico né in privato, sicché questa «argomentazione in malafede» resta ancora enigmatica.
Al contrario, duole doverlo riconoscere, il resoconto del suo documento fondamentale sulla cremazione ad Auschwitz sconfinava davvero nella malafede.
Carlo Mattogno
Aprile 2010
[1] Effepi, Genova, 2009.
[2] Éditions du Seuil, Parigi, 2000.
[3] The Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1989.
[4] CNRS Éditions, Parigi, 1993.
[5] Feltrinelli, Milano, 1994.
[6] Zeszyty oświęcimskie, 1995, pp. 309-329.
[7] Sulla questione vedi il mio libro Hitler e il nemico di razza. Edizioni di Ar, 2009, cap. III, L’“ordine del Führer” e le “confessioni ” di Höss.
[8] Francziszek Piper, “Die Zahl der Opfer von Auschwitz”. Verlag Staatliches Museum in Oświęcim, 1993, p.202.
[9] J.C. Pressac, Les crématoires d’Auschwitz. La machinerie du meurtre de masse, op. cit. p. 148.
[10] J.C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941–1945, op. cit., p. 173.
[11] J.C. Pressac, Die Krematorien von Auschwitz. Die Technik des Massenmordes. Piper, Monaco-Zurigo, 1994, p. 202.
[12] Panorama, 26 febbraio 1998, p. 95.
[13] In questo vergognoso silenzio, l’unico che lo abbia ricordato degnamente è stato chi scrive. Vedi al riguardo: «Ricordo di Jean–Claude Pressac», in: I Gasprüfer di Auschwitz. Analisi storico–tecnica di una “prova definitiva”. I Quaderni di Auschwitz, 2, 2004.
[14] Nella Parte quarta e quinta del mio studio citato sopra Le camere a gas di Auschwitz ho esposto una dettagliatissima analisi critica delle tesi di van Pelt, articolata in otto capitoli e 214 pagine (pp. 398-611).
[15] Ciò viene dimostrato nel libro Concentration Camp Majdanek. A Historical and Technical Study. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2003, pp. 71-79, che ho scritto in collaborazione con Jürgen Graf. La più recente revisione ufficiale del numero delle vittime di questo campo è di 78.000. Tomasz Kranz, «Ewidencja zgónow i śmiertalność KL Lublin» (La registrazione dei decessi e la mortalità dei detenuti al KL Lublino), in: Zeszyty Majdanka, tomo 23 (2005), p. 45. Le cifre precedenti erano: 1.700.111 (motivazione della sentenza del processo di Lublino, 2 dicembre 1944); 1.380.000 (perizia sovietica, URSS 29); 360.000 (revisione di Z. Łukaszkiewicz); 235.000 (revisione di Cz. Rajca). Concentration Camp Majdanek. A Historical and Technical Study, op. cit. pp 79-88.
[16] Vedi al riguardo Le camere a gas di Auschwitz, op. cit., pp. 515-520.
[17] La vicenda fu grottescamente comica: fui accusato di «apologia di crimini di guerra» per uno scritto che affermava il carattere di “mito”, vale a dire l’irrealtà storica, di tali crimini!
[18] Edizioni La Sfinge, Parma, 1987.
[19] Edizioni di Ar, 1992.
[20] J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers, op. cit., p. 184.
[21] J.-C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941–1945, op. cit., p. 44.
[22] J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers, op. cit., p. 375.
[23] In realtà il congresso si svolse il 7 giugno 1876.
[24] Ma all’epoca non esisteva ancora nessuna ditta.
[25] La citazione è alquanto approssimativa; il testo esatto è: «Non si devono formare gas maleodoranti, perciò la cremazione deve essere senza odore».
[26] Questa spiegazione è alquanto semplicistica.
[27] J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers, op. cit., p. 341.
[28] Ho pubblicato la fotografia nello studio Auschwitz: Open Air Incinerations. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2005, p. 116.
[29] Ma nei migliori forni civili a coke il processo di cremazione durava mediamente circa 85 minuti, di cui circa 60 di combustione principale nella muffola.
[30] «Betrachtungen über den Betrieb von Einäscherungsöfen», in: Schweiz. Verein von Gas– und Wasserfachmännern, Zurigo, 1938, pp. 155-156.
[31] Per un approfondimento rimando al già citato Le camere a gas di Auschwitz, capitolo 12.3, pp. 407-412.
[32] Jean-Claude Pressac, «Enquête sur les chambres à gaz», in: Les Collections de l’Histoire, supplemento della rivista L’Histoire, n. 3, ottobre 1998, p. 41.
[33] Testo originale in: http://veritas3.holocaust-history.org/auschwitz/topf/
[34] V. Igounet, Histoire du négationnisme en France, Seuil 2000, pp. 645-646.
Ringrazio il dr. Mattogno per il bellissimo articolo pubblicato, che devo ancora terminare di leggere. Michele Antonio.