E’ giunto il momento di fare il punto sulla controversia – riguardante Bartolomé de las Casas e lo sterminio degli indios – che ha visto opposti nei giorni scorsi questo blog e il sito EFFEDIEFFE: per cominciare, citerò alcuni significativi passaggi dall’aureo libretto di Edoardo Spagnuolo LE REDUCCIONES DEL PARAGUAY[1].
Scrive Spagnuolo (pp. 69-70): “Gli storici sono concordi nel ritenere che la quantità incredibile di argento estratta dalle miniere di Potosí sia stata la condizione che ha reso possibile lo sviluppo dell’economia capitalistica…Il prezzo di questo arricchimento, a scapito del continente sudamericano, fu il genocidio di migliaia, forse milioni di indios aymara, quechua e di schiavi neri, costretti a lavorare in condizioni spaventose per estrarre il prezioso metallo. La situazione più terribile si verificò nelle isole del centro America, come Cuba, Haiti e Santo Domingo, primi luoghi di approdo degli spagnoli, dove non vi fu alcuna via di scampo per gli indios. In effetti attualmente in questi territori non vi è traccia di popolazioni indigene”.
Scrive ancora Spagnuolo (pp. 90 e seguenti): “La situazione degli indios in America latina fu diversa a seconda dei luoghi. Se in alcuni territori il trattamento degli indigeni fu un poco più tollerante, altrove fu improntato ad una deliberata volontà di sterminio. L’Argentina ha il tristissimo primato dell’eliminazione quasi completa dei suoi abitanti indigeni…La mattanza però non si fermò con la partenza degli spagnoli. In Argentina gli indios sopravvissuti furono completamente massacrati quando questo paese raggiunse l’indipendenza. Ci riferiamo in particolare alla deliberata campagna di sterminio, ai danni degli indios Araucanos, realizzata a partire dal 1879 da Julio Roca, ministro della guerra e successivamente presidente della repubblica…Sempre nel 1879 il governo argentino avviò una campagna militare in Patagonia, denominata “guerra del deserto”, con la quale fu ultimata l’epurazione etnica del territorio”.
Dunque, a quanto pare, lo sterminio vi fu, fu plurisecolare e fu mitigato soltanto dall’attività missionaria degli ordini religiosi: domenicani, francescani, gesuiti, dalla cui letteratura – e quindi non dal solo las Casas – è possibile evincere la vastità della tragedia . Per dissipare definitivamente le nebbie (e i veleni) della pubblicistica negazionista – il cui caposcuola è il francese Jean Dumont, seguito a ruota qui in Italia da una nutrita schiera di esponenti “catto-conservatori”[2], primo fra tutti Vittorio Messori[3] – invito i lettori a leggere l’Enciclica[4] – tanto drammatica quanto misconosciuta – di Papa San Pio X sulla condizione degli indios superstiti, che testimonia come la schiavitù fosse agli inizi del ‘900 (ben quattro secoli dopo le denunce di las Casas!) un flagello tutt’altro che estirpato:
LACRIMABILI STATU
La peggiore fra siffatte indegnità, cioè la schiavitù propriamente detta, poco appresso, per grazia di Dio misericordioso, venne tolta di mezzo; e ad abolirla pubblicamente in Brasile e in altre regioni molto contribuì la materna insistenza della chiesa presso gli uomini egregi che governano quegli stati. E di buon grado riconosciamo che se non vi si fossero opposti numerosi ostacoli di luoghi e di circostanze, i loro propositi avrebbero ottenuto risultati molto migliori. Sebbene dunque qualche cosa sia stata già fatta per gli indios, molto di più è tuttavia quello che ancora rimane da fare. E in verità, quando Ci soffermiamo a considerare le sevizie e i delitti che si sogliono ora commettere contro di essi, abbiamo davvero di che inorridire e sentiamo nell’animo una profonda commiserazione per quella razza infelice. Che cosa può esservi, infatti, di più barbaro e più crudele dell’uccidere, spesso per cause lievissime, e non di rado per mera libidine di torturare, degli uomini a colpi di sferza o con ferri roventi, o con improvvisa violenza farne strage, uccidendoli insieme a centinaia e a migliaia; o saccheggiare borghi e villaggi, massacrando gli indigeni, dei quali talune tribù abbiamo appreso essere state in questi pochi anni quasi distrutte? A rendere gli animi tanto feroci certo grandemente influisce la cupidigia del lucro, ma non poco altresì vi contribuisce la natura stessa del clima e la posizione di quelle regioni. Infatti essendo quei luoghi soggetti ad un’atmosfera torrida, che inoculando nelle vene un certo languore, viene quasi ad affievolire la forza degli animi, e, trovandosi essi lontani da ogni pratica della religione, dalla vigilanza dello stato, e quasi dallo stesso consorzio civile, facilmente accade che se taluni, di costumi non pervertiti, si rechino colà, in breve tratto di tempo comincino a depravarsi e man mano, rotti tutti i ritegni del dovere e delle leggi, precipitino in tutti gli eccessi del vizio. Né da costoro si perdona la debolezza del sesso e dell’età, che anzi fa vergogna il riferire le loro scelleratezze e malvagità, nel fare incetta e mercato di donne e fanciulli, talché si direbbero per essi, con tutta verità, sorpassati gli esempi più estremi della turpitudine pagana.
Noi, invero, per qualche tempo, quando Ci venivano riportate siffatte voci, dubitavamo di prestare fede a simili atrocità, tanto Ci sembravano incredibili. Ma dopo che da amplissime testimonianze, cioè dalla maggior parte di voi, venerabili fratelli, dai delegati della sede apostolica, dai missionari e da altre persone del tutto degne di fede, ne siamo stati informati, non Ci è più lecito avere alcun dubbio sulla verità delle cose.
Fissi pertanto, da lungo tempo, nel pensiero di sforzarCi, per quanto è in Nostro potere, di riparare a tanti mali, chiediamo a Dio, con umili e supplichevoli istanze, che voglia benignamente additarci qualche mezzo opportuno a curarli. Ma egli, che è il Creatore e Redentore amorosissimo di tutti gli uomini, avendo ispirato alla Nostra mente di lavorare per la salute degli indios, Ci darà certamente i mezzi per conseguire l’intento. Frattanto però, Ci è di somma consolazione il sapere che coloro i quali reggono quelle repubbliche si sforzano, con ogni mezzo, di cancellare questa macchia e questa ignominia dai loro stati; della quale sollecitudine loro, in verità, non possiamo mai abbastanza approvarli e lodarli. Quantunque in quelle regioni, lontane come sono dalle sedi dei governi, remote, e per la maggior parte inaccessibili, questi sforzi così umani dei poteri civili sia per la scaltrezza dei malvagi, che varcano in tempo i confini, sia per l’inerzia e perfidia dei funzionari, spesso a nulla giovano, e non di rado cadono nel vuoto. Che se all’opera dello stato si aggiungesse quella della chiesa, allora sì che molto più ubertosi sarebbero i frutti desiderati.
A voi, pertanto, venerabili fratelli prima che ad ogni altro, facciamo appello, affinché rivolgiate particolari cure e sollecitudini a questa causa degnissima del vostro pastorale ufficio e ministero. E, lasciando il rimanente alla vostra sollecitudine e al vostro zelo, prima di ogni altra cosa e maggiormente vi esortiamo a promuovere con ogni studio tutte quelle istituzioni che nelle vostre diocesi siano dirette al bene degli indios, e a procurare di istituirne delle altre che sembrino utili allo stesso scopo. Porrete poi ogni diligenza nell’avvertire i vostri fedeli del sacro loro dovere di aiutare le sacre missioni fra gli indigeni, che primi abitarono questo suolo americano. Sappiano dunque che in doppio modo debbono essi concorrere a questo intento: con la raccolta, cioè, delle offerte e col sussidio delle preghiere, e che questo a loro domanda non soltanto la religione, ma anche la patria stessa. Voi, poi, dovunque si attende alla buona educazione dei costumi, negli istituti giovanili e negli educandati delle fanciulle, e soprattutto nei sacri templi, fate sì che non abbia mai a venir meno la raccomandazione e predicazione della carità cristiana, che considera tutti gli uomini come fratelli, senza alcuna diversità di nazione e di colore e che, non tanto a parole quanto coi fatti, vuole essere dimostrata. Parimenti non si deve lasciar passare alcuna occasione che si presenti, per dimostrare quanto disonore spargano sul nome cristiano queste indegnità, che abbiamo qui denunziato.
Per quanto Ci riguarda, avendo non senza ragione buona speranza dell’assenso e del favore dei pubblici poteri, avremo cura principalmente di estendere, in quelle così vaste regioni, il campo dell’azione apostolica con l’istituire altre stazioni di missionari, nelle quali gli indios trovino un rifugio e un salutare presidio. Infatti la chiesa cattolica non fu mai sterile di uomini apostolici, che, spinti dalla carità di Gesù Cristo, non fossero pronti e disposti a dare la vita stessa per i loro fratelli. E oggi ancora, mentre tanti aborrono dalla fede o ad essa vengono meno, l’ardore di diffondere l’evangelo presso i barbari non solo non affievolisce fra le persone dell’uno e dell’altro clero, e fra le sacre vergini, ma aumenta ancora e si diffonde più largamente per virtù dello Spirito santo, che, secondo le necessità dei tempi soccorre la sua sposa, la chiesa. Perciò crediamo di adoperare, in tanto maggior abbondanza, quei presidi che per divina grazia sono in mano nostra, per liberare gli indios dalla schiavitù di satana e da quella di uomini perversi, quanto maggiore è il bisogno che li stringe. D’altra parte, poiché quelle terre furono dai banditori dell’evangelo bagnate non solo dai loro sudori, ma anche dal loro sangue, nutriamo fiducia che da tante fatiche abbia infine a germogliare una larga messe e ottimi frutti di civiltà cristiana.
Intanto, affinché a quello che voi di vostra spontanea iniziativa o per esortazione Nostra, sarete per fare a vantaggio degli indios si aggiunga la maggiore efficacia possibile, Noi, seguendo l’esempio ricordato dal Nostro predecessore, condanniamo e dichiariamo rei d’immane delitto tutti coloro, com’esso dice, che “osino o presumano di ridurre i predetti indios in schiavitù, di venderli, comprarli, commutarli o donarli, di separarli dalle mogli e dai figli, di spogliarli delle loro cose e dei loro beni, di condurli o trasportarli altrove o in qualunque modo privarli della libertà e tenerli schiavi, nonché di prestare, a coloro che ciò fanno, consiglio, aiuto, favore, sotto qualunque pretesto e nome, o di insegnare e proclamare essere tutto ciò lecito, in qualsiasi altra maniera cooperare a quanto detto sopra“. Vogliamo pertanto riservata agli ordinari dei luoghi la potestà di assolvere da siffatti delitti i penitenti, nel sacro tribunale della confessione.
Queste cose abbiamo creduto di scrivervi, venerabili fratelli, nell’interesse degli indios, sia per obbedire agli impulsi dell’animo nostro paterno, sia per seguire le orme di molti fra i nostri predecessori, tra i quali va pure particolarmente ricordato Leone XIII, di felice memoria. Toccherà a voi battervi con tutte le forze, affinché i Nostri voti vengano appieno soddisfatti.
Certamente vi sosterranno in quest’opera coloro che governano queste repubbliche; non mancheranno sicuramente di assistervi con l’opera e col consiglio i sacerdoti e in prima linea gli addetti alle sacre missioni; vi aiuteranno infine, senza dubbio, tutti i buoni e sia col denaro, coloro che possono, e sia con altre industrie della carità favoriranno un’impresa nella quale sono insieme impegnate le ragioni della religione e quelle della dignità umana. Ma, ciò che è di capitale importanza, vi assisterà la grazia di Dio onnipotente, in auspicio della quale, e altresì come attestato della Nostra paterna benevolenza, impartiamo di tutto cuore a voi, venerabili fratelli, e ai vostri greggi l’apostolica benedizione.
[1] Edizioni DELTA 3, Avellino, 2009, p. 134, richiedibile a: [email protected]
[2] http://www.totustuustools.net/altrastoria/c213_a06.htm
[3] Su Messori si veda il mio articolo del 2002, “Dicono che è cattolico” : http://www.kelebekler.com/cesnur/txt/messori.htm e la polemica che ne è seguita a distanza di 7 (!) anni: http://forum.politicainrete.net/cattolici-romani/21338-le-imposture-di-vittorio-messori.html
[4] http://www.museosanpiox.it/sanpiox/enc17.html
Leave a comment