L’”EDIFICIO E” DI KOLA A SOBIBÓR – ALCUNE OSSERVAZIONI PRELIMINARI
Di Thomas Kues, 27 Maggio 2009[1]
In un mio articolo pubblicato l’anno scorso (2008), riguardo all’apparente mancanza di documentazione sugli scavi condotti nel sito del presunto “campo di puro sterminio” di Sobibór dall’archeologo polacco Andrzej Kola, feci la seguente osservazione:
“L’aspetto più problematico degli scavi del 2001 è la totale mancanza di documentazione pubblicamente disponibile. Nonostante siano passati sette anni da quando le trivellazioni e gli scavi vennero presuntamente effettuati, non è apparso su di essi un solo articolo, relazione o rapporto scientifico, né in inglese, né in polacco, né in nessuna altra lingua. La sola fonte di informazioni disponibile consiste nei brevi e persino contraddittori resoconti giornalistici pubblicati nel Novembre del 2001”.
E’ venuto fuori però che su questo punto mi sbagliavo. Kola in realtà aveva scritto un articolo sui suoi scavi di Sobibór, anche se piuttosto breve, già nel 2001, sebbene questo dato fosse sfuggito alle mie ricerche sui database e altrove. L’articolo, intitolato “Badania archeologiczne terenu byłego obozu zagłady Żydów w Sobiborze” [Indagini archeologiche sul terreno dell’ex campo di sterminio ebraico di Sobibor], venne pubblicato sulla rivista Przeszłość i Pamięć. Biuletyn Rady Ochroni Pamięci Walk i Męczeństwa, numero 4, 2001, pp. 115-122. Non ho la possibilità di consultare questo testo, né la mia conoscenza del polacco – che è, mi spiace dirlo, ad un livello da principianti – è sufficiente per affrontare un articolo in quella lingua.
Fortunatamente, è stato recentemente pubblicato un articolo (sulla rivista Present Pasts, vol. 1, 2009, pp. 10-39) intitolato “Excavating Nazi Extermination Centres”, e scritto da Isaac Gilead, Yoram Haimi (uno dei fondatori del sito http://www.undersobibor.org/ ) e Wojciek Mazurek. La seconda parte di questo articolo (pp. 23-37) è dedicata a un “Riassunto delle recenti ricerche a Sobibór”, in cui vengono menzionati sia lo scavo del 2001 di Kola che una serie di scavi del 2007, come pure un’indagine geofisica del 2008, condotti rispettivamente dagli autori dell’articolo e da un gruppo guidato da Richard Freund, dell’Università di Hartford. Poiché da questo articolo è possibile ricavare delle informazioni fondamentali sui risultati di Kola, ho deciso di fare alcune osservazioni preliminari relative ai resti archeologici designati da Kola come “Edificio E”.
L’articolo da Present Pasts può essere letto all’indirizzo seguente:
http://presentpasts.info/journal/index.php/pp/article/view/3/6
Le caratteristiche e il significato dell’”Edificio E”
Ecco cosa dicono Gilead, Haimi e Mazurek (d’ora in avanti: Gilead e gli altri) sull’”Edificio E”:
“L’Edificio E è il complesso strutturale più grande e significativo tra quelli scoperti. E’ lungo circa 60 metri ed è ubicato nel settore sud-ovest dell’area esaminata. E’ stato interpretato come uno spogliatoio, dove i vestiti e gli effetti personali delle vittime venivano presi in consegna (Kola: 2001, 121). Parleremo ancora dell’Edificio E nella sezione successiva. Per il momento, va notato che nei piani attuali sulla futura valorizzzione del sito, questo elemento d’interesse archeologico viene interpretato come una camera a gas (Bem, 2006)”.
“Bem, 2006”, è un riferimento a un pamphlet ufficiale in lingua inglese con una mappa dell’attuale monumento, Masterplan Sobibór: …a place to remember …a place to learn [Piano originale di Sobibór: …un luogo da ricordare…un luogo da conoscere], pubblicato dal Museo di Włodawa.
Alcune pagine più avanti, gli autori ritornano sulla questione dell’”Edificio E” (pp. 33-34):
“Come detto in precedenza, la struttura più importante scoperta durante gli scavi di Kola è l’Edificio E. Sebbene Kola abbia suggerito che questa struttura era la baracca-spogliatoio (Kola, 2001) nelle ricostruzioni successive viene presentata come la camera a gas. L’opuscolo su Sobibór (Bem, 2006) include una mappa designata come “Sobibór Death Camp Memorial Map” [Mappa commemorativa del campo della morte di Sobibór]. Essa consiste in un accostamento delle strutture e dei monumenti odierni del sito con la proposta di ricostruzione che li dovrebbe contestualizzare (Fig. 19). La “Memorial Map” identifica le camere a gas di Sobibór con l’Edificio E, che secondo Kola fungeva da spogliatoio. Rutherford (2002), segue questa mappa nel situare le camere a gas nello stesso luogo, sebbene la struttura da lui ricostruita sia di forma differente. E’ ovvio che l’ubicazione delle camere a gas è una questione complessa che deve essere risolta, un importante obbiettivo per le future ricerche archeologiche di Sobibór” (corsivi miei).
La “mappa Rutherford” menzionata nel detto passaggio può essere vista al seguente indirizzo:
http://www.deathcamps.org/sobibor/pic/bmap21.jpg
A p. 28, Gilead e gli altri presentano una “pianta degli scavi di Sobibór, 2000-2001” (fig.12), apparentemente ricavata da una mappa di Kola. A giudicare da questa pianta, venne scoperta solo una manciata di rovine degli edifici del “Lager III”, considerato il Totenlager, o la “zona della morte” del campo. Tre di queste, gli Edifici A, B, e D, sembrano residui di capanni, piuttosto che di case. L’edificio C non appare, il che significa che quella ricopiata è solo una parte della mappa. Questa conclusione è ulteriormente confermata dal fatto che è visibile solo l’ala nord dell’Edificio E. A meno che l’ala sud differisca nettamente dall’ala nord, questa struttura – presuntamente lunga 60 metri – aveva presumibilmente una larghezza di 5-7 metri, con sezioni affioranti agli angoli a nord.
Già adesso posso trarre due importanti conclusioni:
1 – Gilead e gli altri ammettono di non essere riusciti a identificare l’Edificio E con l’edificio destinato alle camere a gas.
2 – Mentre Kola ha interpretato l’”Edificio E” come una baracca-spogliatoio, il Museo di Włodawa – che è responsabile del Monumento di Sobibór – come pure B. Rutherford, “identifica le camere a gas di Sobibór con l’Edificio E”. Tutto ciò può significare solo che non è stata scoperta nessun’altra struttura che possa essere interpretata come l’edificio destinato alle gasazioni.
I presunti edifici di Sobibór della prima e della seconda fase delle gasazioni
Nell’introduzione al mio articolo “The Alleged First Gas Chamber Building at Sobibór” (http://www.codoh.com/newrevoices/nrtkfsgc.html ) riassumo la storiografia ufficiale sulle camere a gas di Sobibór nel modo seguente:
“Si ritiene che tutti i tre i campi dell’”Aktion Reinhardt” – Bełżec, Sobibór e Treblinka – avessero ognuno due edifici contenenti camere a gas omicide, durante il loro periodo operativo. […] Nel caso di Sobibór, un edificio originale più piccolo venne interamente o parzialmente demolito nell’estate del 1942, sostituito da un edificio più grande – sempre destinato alle gasazioni – nello stesso luogo”.
Secondo Jules Schelvis, uno dei maggiori esperti di Sobibór, le nuove camere a gas entrarono in funzione nell’Ottobre del 1942 (Sobibor: A History of a Nazi Death Camp, Berg/USHMM, Oxford/New York, 2007, p. 104).
Poiché esiste un consenso, tra gli storici, su questo dettaglio della narrazione, dobbiamo presumere che la ricerca dell’ubicazione delle “camere a gas” consiste nell’identificare i resti del presunto secondo edificio delle camere a gas (sebbene potrebbero, ipoteticamente, esistere tracce della prima struttura nei resti dell’edificio successivo). Ma come era fatto il secondo edificio? Per prima cosa, chiediamolo agli storici.
Il presunto secondo edificio delle camere a gas secondo gli storici
Il più importante studioso sterminazionista dei campi dell’”Aktion Reinhardt” è senza dubbio lo storico israeliano Yitzhak Arad. A p. 123 della sua opera classica Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhardt Death Camps ( Indiana University Press, Bloomington e Indianapolis, 1987) leggiamo, a proposito della seconda fase delle gasazioni di Sobibor, la seguente descrizione:
“L’ultimo campo in cui le nuove, più grandi, camere a gas vennero installate fu Sobibor. Le tre strutture di gasazione, fornite ciascuna di una sola stanza – con una capienza di sole 600 vittime – non potevano assolvere i compiti imposti a questo campo. Durante la pausa di due mesi nelle attività di sterminio dell’autunno del 1942, le vecchie camere a gas vennero parzialmente smantellate e vennero costruite altre tre camere a gas. […] Il nuovo edificio, che disponeva di sei stanze, aveva un corridoio che correva nel mezzo, e tre stanze su ciascuno dei lati. L’ingresso ad ognuna delle camere a gas avveniva dal corridoio. Le tre camere a gas avevano le stesse dimensioni di quella esistente [sic], e cioè metri 4×4. La capienza delle camere a gas era stata accresciuta in modo tale da poter uccidere circa 1.300 persone simultaneamente”.
Così Arad sostiene che le tre camere a gas originali, che secondo lui erano “in mattoni, con una fondazione di cemento” (p. 31), vennero ingrandite, piuttosto che distrutte totalmente e sostituite da un nuovo edificio. Dalla sua descrizione possiamo dedurre che l’edificio (presunto) misurava circa metri 12×9.
La tesi di Arad è coerente con quella di Adalbert Rückerl, che nel suo libro NS–Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse (Deutscher Taschebuch-Verlag, Francoforte, 1977, p. 163) riassume i verdetti dei processi contro i membri dello staff di Sobibór.
Miriam Novitch, nella introduzione alla sua antologia di testimoni oculari ebrei, Sobibor. Martyrdom and Revolt (Holocaust Library, New York, 1980), scrive:
“Per costruire le nuove camere a gas, le vecchie case [sic] vennero demolite e vennero erette le nuove, ognuna di metri 4×12. Vennero approntate cinque stanze, per contenere da 70 a 80 persone. Così, potevano essere messe a morte 400 vittime contemporaneamente, bambini inclusi” (p. 26).
Novitch non descrive la pianta dei nuovi edifici, e non dichiara neppure le sue fonti. Se le cinque camere da lei descritte – che differiscono nettamente, per dimensioni e capienza, da quelle descritte da Arad, erano disposte in fila, con i loro lati più corti uno di fronte all’altro, l’edificio corrisponderebbe – in teoria, naturalmente – grosso modo all’area identificata come “Edificio E”.
Jules Schelvis preferisce citare vari frammenti di testimonianze oculari sulle camere a gas. Li esaminerò tra breve, insieme ad altri
Le dichiarazioni dei testimoni oculari
A differenza di Bełżec e di Treblinka, a quanto pare non vi furono sopravvissuti del commando ebraico del Totenlager di Sobibór. I prigionieri che lavoravano nelle altre zone del campo venivano tenuti totalmente separati dai primi. Oltre a ciò, le aree boschive che circondavano il Lager III – in cui vi sarebbero state le camere a gas, le fosse comuni e le pire – rendevano difficile o impossibile osservare l’area in questione dall’esterno. Le descrizioni storiografiche (sterminazioniste) del Totenlager e delle sue caratteristiche si basano quindi sulle testimonianze degli ex membri dello staff del campo rilasciate anni o persino decenni dopo la fine della guerra.
Mentre l’ex SS–Unterscharführer Erwin Lambert, che costruì presuntamente le camere a gas della seconda fase sia a Sobibór che a Treblinka, non offre nessun dettaglio sulle dimensioni – o sulle altre caratteristiche – del nuovo edificio delle camere a gas (oltre al fatto che era più grande della struttura precedente: Schelvis, p. 104), l’imputato Franz Hödl, che presuntamente azionava il motore il cui gas di scarico veniva utilizzato come agente letale, lasciò la seguente testimonianza (Schelvis, p. 104):
“Nel Lager III venne eretto un edificio di cemento, lungo da 18 a 20 metri, con circa 6 o 8 camere a gas. C’erano dalle 4 alle 6 camere a gas su ogni lato del corridoio centrale, tre sulla sinistra e tre sulla destra”.
Così, secondo Hödl, la nuova struttura conteneva sia 12, che 8, che 6 camere a gas! Notiamo, tuttavia, che la forma e le dimensioni sono totalmente incompatibili con la descrizione della Novitch e con i resti dell’”Edificio E”.
Vassily Nikolaievitch Pankov, un ex ausiliario ucraino che aveva prestato servizio come guardiano (Wachmann) nel campo dal 1 Gennaio al 27 Marzo del 1943, affermò nel corso di un interrogatorio a Stalino, in Unione Sovietica, il 18 Ottobre del 1950:
“Nel campo c’erano 6 camere a gas non grandi, che misuravano circa metri 3×4, in ognuna delle quali venivano messi 50-70 e persino 100 detenuti, poi le porte venivano chiuse ermeticamente e entrava in azione un motore diesel, dal quale i gas di scarico venivano convogliati in ogni camera”.
http://www.nizkor.org/ftp.cgi/camps/aktion.reinhard/ftp.py?camps/aktion.reinhard/sobibor//pankov.001
Un altro ex guardiano ucraino, Ignat Terentyevich Danilchenko, che fu presente al campo dal Marzo del 1943 in poi, dichiarò in un interrogatorio condotto il 21 Novembre del 1979:
“La gente nuda veniva condotta da questo passaggio a un grande edificio di pietra che era chiamato “le docce”. In realtà, era una camera a gas dove gli ebrei che arrivavano venivano uccisi in sei camere a gas (250 persone in ogni camera) mediante gas di scarico provenienti da motori diesel che erano ubicati vicino alla camera a gas”.
Anche un altro ucraino, Mikhail Affanaseivitch Razgonayev, che prestò servizio come guardiano dal Maggio del 1942 in poi, e che venne interrogato a Dniepropetrowsk, in Unione Sovietica, il 20 Settembre del 1948, parla di un “grande edificio di pietra” che conteneva quattro camere a gas poste su uno dei lati di un corridoio, ma non è chiaro se si riferisce all’edificio della prima o della seconda fase; in realtà, sembra inconsapevole della (presunta) costruzione di un nuovo edificio delle camere a gas durante il suo periodo di permanenza al campo (http://www.nizkor.org/ftp.cgi/camps/aktion.reinhard/ftp.py?camps/aktion.reinhard/sobibor/razgonayev.001 ).
Come si vede, sembra esservi un consenso generale che l’edificio successivo fosse una struttura di mattoni o di cemento (con l’eventuale eccezione di Lambert, che afferma che “Hackenholt ordinò una grande quantità di legno per la “ricostruzione” della camera a gas di Sobibór, vedi Arad, p. 123). Quando si viene al numero delle camere a gas e alle dimensioni totali dell’edificio, le dichiarazioni variano nettamente. Questo fatto si riflette anche nelle descrizioni contraddittorie delle camere a gas fatte dagli storici e dai giudici.
Possiamo anche notare che l’identificazione dell’”Edificio E” con l’edificio delle camere a gas (della seconda fase) produce un interessante paradosso nella narrazione dei “campi della morte” dell’Aktion Reinhardt. Secondo tale narrazione, Bełżec fu il primo campo in cui le camere a gas vennero smantellate e sostituite da un edificio più grande, di mattoni o di cemento, che conteneva sei camere a gas poste in modo simmetrico sui due lati di un corridoio. Arad e altri storici, ritengono che Bełżec fu un campo sperimentale dove venivano provate nuove soluzioni ai problemi del presunto processo di sterminio e, se le soluzioni si rivelavano soddisfacenti, venivano adottate anche a Sobibór e a Treblinka (che secondo Arad fu il più perfezionato dei tre campi). Di conseguenza, le nuove camere a gas in questi ultimi due campi furono, secondo Arad e secondo i giudici del processo “Sobibór” di Hagen del 1966, delle varianti del secondo edificio delle camere a gas di Bełżec. Inoltre, la costruzione dei tre edifici venne supervisionata dalle stesse due persone, vale a dire Lorenz Hackenholt e Erwin Lambert (si suppone che Hackenholt abbia supervisionato Bełżec da solo, che abbia supervisionato Sobibór insieme Lambert, e che quindi Lambert a sua volta abbia supervisionato Treblinka da solo). In questo contesto, l’affermazione della Novitch secondo cui il secondo edificio aveva una pianta differente (come è sottinteso dal numero irregolare delle camere a gas) sembra qualcosa di più di una stranezza. Bisogna ricordare, comunque, che tutta questa narrazione si basa solo sui frammenti selezionati di “testimonianze oculari” mescolate a un approccio di “buon senso” agli eventi presunti (e cioè: un numero maggiore di deportati deve aver avuto come conseguenza l’ingrandimento delle camere a gas). Naturalmente, è possibile che nel Lager III di Sobibór sia esistito un edificio che venne sostituito da un altro, più grande, ma potrebbe però essere stato una struttura provvista di docce (visto che le “camere a gas“ venivano presuntamente camuffate come tali), o un edificio contenente camere di disinfestazione, o una struttura contenente entrambe le attrezzature.
Le dichiarazioni alla stampa di Kola riguardanti l’”Edificio E”
Mentre non ho potuto verificare il contenuto dell’articolo polacco di Kola del 2001, ho già menzionato in precedenti articoli le dichiarazioni rese all’epoca da Kola alla stampa. In un articolo (“Polish Researchers find mass graves at former nazi death camp of Sobibor”) [Ricercatori polacchi trovano fosse comuni nell’ex campo nazista della morte a Sobibor] scritto da Andrzej Stylinski per l’Associated Press – e pubblicato il 23 Novembre del 2001 – leggiamo:
“Il gruppo di ricerca ha iniziato le perforazioni nel sito durante l’estate per accertare dove gli edifici e le tombe potessero essere ubicati, ha detto Kola. […] Le perforazioni hanno fornito le prove iniziali delle fosse comuni e delle tracce di una lunga baracca. Dopo ulteriori scavi sul sito dell’edificio, i ricercatori hanno trovato 1.700 pallottole in uno dei suoi angoli, cosa che li ha indotti a credere che i prigionieri venissero uccisi lì, ha detto Kola. I ricercatori hanno trovato anche svariati oggetti usati dai detenuti e dai guardiani, incluse tazze di metallo e cucchiai, orologi e binocoli. Kila ha detto che la baracca, ubicata a circa 70 iarde dalle fosse comuni, può aver funto da camera a gas, ma che sono necessari ulteriori studi” (corsivi miei).
Tuttavia, in un articolo apparso su The Scotsman tre giorni dopo, il 26 Novembre, a Kola viene attribuita la seguente dichiarazione:
“Abbiamo trovato anche una baracca-ospedale [sic]. Le persone lì venivano probabilmente fucilate, poiché abbiamo trovato oltre 1.800 cartucce di mitragliatrice”.
http://www.fpp.co.uk/Auschwitz/Sobibor/Scotsman.html
Le due dichiarazioni si riferiscono molto probabilmente alle rovine del medesimo edificio. Nonostante la differenza di 100 pallottole, è altamente improbabile che abbiano trovato due edifici con la stessa quantità di pallottole al loro interno. Nell’articolo dell’Associated Press, la baracca viene descritta come ubicata a circa “70 iarde” (64 metri) dalle fosse comuni. Uno sguardo alla suddetta mappa (ricopiata) degli scavi di Kola mostra che l’”Edificio E” deve essere ubicato a circa 50 metri dalla fossa comune più vicina. Perciò possiamo presumere che l’”Edificio E” deve essere identico alla “baracca” menzionata nei due nuovi articoli.
Questo significa che Kola, di volta in volta, ha creduto che questo “Edificio E” fosse la rovina di una “camera a gas” (forse), dove i prigionieri venivano anche fucilati (!), una “baracca-ospedale”, e una baracca-spogliatoio (secondo il riassunto di Gilead e degli altri)! I vari oggetti trovati sul sito (“tazze di metallo e cucchiai, orologi e binocoli”) non sono necessariamente una prova contro l’utilizzo dell’edificio come camera a gas (perché potrebbero essere finiti lì quando il campo venne dismesso e raso al suolo) ma sono piuttosto curiosi. Ancora più strano è il gran numero di pallottole trovate “in uno dei suoi angoli”. Come possono essere finite in una camera a gas o in uno spogliatoio ad essa collegato? I tedeschi sparavano forse alle vittime delle gasazioni per essere più sicuri? La narrazione ufficiale, d’altro canto, sostiene che i deportati malati e menomati venivano portati o in una fossa (il cosiddetto “Lazzaretto”) nei pressi della vecchia cappella vicino al binario ferroviario principale (questa era la pratica durante la prima fase, secondo alcune fonti) o portati con un treno a scartamento ridotto direttamente ad una delle fosse comuni del Lager III (questo sarebbe avvenuto durante la seconda fase) e ivi fucilati.
Possiamo anche notare che il gruppo di ricerca del 2008 riferisce di aver trovato “nell’area cicostante la parte occidentale dell’Edificio E di Kola (p. 27), tra i vari oggetti di uso quotidiano, “grandi barattoli, alcuni dei quali (…) prodotti in Olanda, [che] potevano contenere dei disinfettanti” (p. 30). Questi oggetti potrebbero essere ricondotti a una sostanza che veniva applicata ai deportati durante le procedure di disinfestazione che erano proprie di un campo di transito (in tedesco: Durchgangslager, abbreviato: Dulag). La testimone Galina K., detenuta a suo tempo in un campo di transito in Germania in cui i russi e altri prigionieri destinati ai lavori forzati venivano lavati, ha testimoniato:
“Wir hatten folgende Aufgaben: die Kranken und Toten aus den angekommenen Zügen zu tragen, die Haare mit der Rasiermaschine zu schneiden, Kopfhaare bei den Männern, wenn aber Frauen [Läuse] hatten, auch bei den Frauen, die Haare unter den Achseln und unter der Taille. Wir schmierten Köpfe, Achselhöhlen, Genitalien mit einer chemischen Lösung ein. […] nach 20 Minuten bekam man Seife, die wie Paste aussah, dann ging es zur Dusche. Nach jeder Gruppe machten wir sauber».
(Janet Anschutz, Irmtraud Heike, “Medizinische Versorgung von Zwangsarbeitern in Hannover: Forschung und Zeitzeugenberichte zum Gesundheitswesen”, in: Günter Siedbürger, Andreas Frewer, Zwangsarbeit und Gesundheitswesen im Zweiten Weltkrieg. Einsatz und Versorgung in Norddeutschland, Georg Olms Verlag, Hildesheim, Zurigo, New York, 2006, p. 52).
Traduzione:
“Avevamo i seguenti compiti: trasportare i malati e i morti dai treni in arrivo, tagliare i capelli con i rasoi elettrici, gli uomini fino al cuoio capelluto, ma anche le donne, se avevano [i pidocchi], i capelli sotto le spalle e quelli sotto la vita. Spalmavamo le teste, le ascelle e i genitali con una soluzione chimica […] dopo 20 minuti venivano date loro delle saponette, che somigliavano alla colla, e poi andavano alle docce. Dopo ogni gruppo facevamo pulizia”.
I deportati nei campi dell’Aktion Reinhardt venivano sottoposti ad una procedura analoga? In articoli futuri, spero di fornire più informazioni sui campi di transito conosciuti.
“Nell’Ottobre del 2007, decidemmo, in base al presupposto che sapevamo grosso modo dove stavano le camere a gas [corsivi miei] , di scavare dapprima nell’area circostante la parte ovest dell’Edificio E di Kola. Tracciammo dei quadrati di metri 5×5, che corrispondevano alla griglia di Kola, setacciammo tutti i sedimenti scavati e usammo spazzole per capelli per pulire le superfici che avevamo portato alla luce. I sedimenti che portammo alla luce erano sabbia, mista a ceneri [umane], a materiali combusti e a manufatti. Lo strato di sabbia era profondo circa 10 centimetri e copriva strati più profondi di sabbia sterile La natura e l’estensione del deposito archeologico e il tipo di manufatti in esso conficcati indicano che la zona di Sobibor che abbiamo portato alla luce non è né la camera a gas né la baracca-spogliatoio”.
Questo significa che il gruppo è partito credendo che l’”Edificio E” coincidesse con le presunte camere a gas, ma non è riuscito a scoprire nessuna traccia a sostegno di un’identificazione positiva. Tuttavia, sul suddetto sito web aperto da membri del Sobibor Archaeological Project (http://www.undersobibor.org/project.html ) leggiamo:
“Nel 2001, gli archeologi polacchi sotto la direzione di Andrzej Kola condussero degli scavi nel campo di Sobibor. L’indagine magnometrica venne eseguita per realizzare una pianta del campo. Gli scavi rivelarono sette concentrazioni di fosse comuni e la struttura che fungeva da camera a gas”.
Così, sul loro sito web, i membri del gruppo affermano che Kola trovò l’edificio delle camere a gas, nonostante il fatto che nel 2001 Kola lo interpretò in modo contraddittorio, e cioè sia come una baracca-spogliatoio che come una baracca-ospedale, e che essi stessi – nel loro articolo del 2009 – ammettono che il problema dell’ubicazione delle camere a gas rimane irrisolto.
In un breve articolo del 2008, pubblicato sul giornale studentesco dell’Università di Hartford (http://www.hartford.edu/greenberg/events/sobibor.asp ), leggiamo:
Quest’estate, un gruppo guidato da Richard Freund, direttore del Centro Maurice Greenberg di Studi Ebraici dell’Università, ha effettuato la mappatura della superficie del campo, utilizzando apparecchiature elettromagnetiche, magnetometriche e radar. Il gruppo ha individuato il pavimento di quelle che si ritiene fossero le camere a gas del canpo”.
Un articolo del Jewish Ledger riprodotto sul sito dell’Università di Hartford (http://www.hartford.edu/greenberg/events/sobibor.asp ) riferisce una dichiarazione di Freund – che, come detto, eseguì l’indagine geofisica del 2008 – di analogo tenore:
“Freund dice che il gruppo ha individuato delle strutture ritenute essere la camera a gas e i crematori [sic] di Sobibor, come pure i binari a scartamente ridotto utilizzati per portare i malati e gli invalidi dalla linea ferroviaria principale direttamente ai crematori”.
Ma come si spiega allora la riluttanza a identificare l’”Edificio E” con le camere a gas? Non potrebbe darsi che Kola lo aveva definito “baracca” perché – come l’”Edificio G” di Bełżec proposto in modo poco convinto come l’edificio delle camere a gas della seconda fase di quel campo – abbiamo a che fare con i resti di un edificio di legno, non di mattoni o di cemento, le cui dimensioni inoltre non quadrano con le descrizioni dei testimoni oculari? Vorremmo davvero sapere quello che Kola, come pure Haimi, Freund e gli altri, hanno da dire su questa struttura.
Come abbiamo visto, gli archeologi – a Sobibór – hanno qualche “problema” da “risolvere”, primo fra tutti l’identificazione dell’”Edificio E” di Kola. A quanto pare non vi sono altri candidati per il presunto edificio delle camere a gas, e questo vuol dire che si sono arenati sui resti di questo edificio. Mentre nell’articolo in questione il nuovo gruppo di ricerca, come quello precedente di Kola, esita a identificare l’”Edificio E” con le camere a gas, essi a quanto pare sono tentati dal seguire la politica del Museo di Włodawa, poiché non vi sono alternative (se non quella di concludere che sul sito non vi furono camere a gas omicide, la qualcosa sarebbe ovviamente imperdonabile, addirittura suscettibile di punizioni). Quanto la vogliono far lunga per presentare un’identificazione positiva?
Non c’è bisogno di dire che questa situazione ricorda quella degli scavi del 1997-1998 a Bełżec. Nel suo rapporto su quell’iniziativa, Kola fece un tentativo assai infelice per identificare le camere a gas della seconda fase – che secondo i testimoni oculari erano ospitate in una struttura di cemento con una superficie complessiva di almeno 120 metri quadrati – con un edificio di legno (il suddetto “Edificio G”) che misurava 52.5 metri quadrati. Come per l’edificio delle camere a gas della prima fase, Kola cercò di identificarlo quale “Edificio D” ma poi abbandonò quest’idea. L’esperto di Bełżec, Robin O’Neill, anch’egli coinvolto nel progetto, ammise con discrezione: “Non abbiamo trovato traccia delle baracche destinate alle gasazioni, né della prima né della sconda fase della costruzione del campo”. Questo fallimento è stato analizzato nei dettagli dal revisionista Carlo Mattogno (Bełżec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research and History, Theses and Dissertation Press, Chicago, 2004, pp. 92-96). Come si vede dal loro sito web (http://www.undersobibor.org/project.html ) il Sobibor Archaeological Project conosce bene lo studio di Mattogno:
“Uno studio esaustivo sul campo di concentramento di Belzec in Polonia, dove sono state scoperte le fosse di sterminio, è stato pubblicato dal prof. Andrzej Kola (Kola 2000). Questo studio è stato citato da Carolo [sic] Mattogno (2004), in un tentativo di arrivare a conclusioni opposte, e cioè che Belzec non fu un campo di sterminio ma piuttosto un campo di internamento”.
Notiamo al riguardo che gli autori travisano (deliberatamente?) l’ipotesi di Mattogno riguardante la natura del campo. Un campo di transito è semmai l’opposto di un campo di internamento. Sulla stessa pagina web leggiamo anche:
“Questo lavoro costituirà una base per contrastare le affermazioni dei negazionisti”.
Così, l’identificazione futura dei resti comprovanti l’esistenza delle presunte camere a gas viene data per scontata, e la conclusione contraria sarebbe considerata incompatibile con lo scopo del progetto!
Fino a quando il contenuto dell’articolo di Kola del 2001 non sarà disponibile – e un vero rapporto sugli scavi e le indagini del 2007-2008 non sarà pubblicato – possiamo solo fare delle congetture. Ma è evidente che Gilead e gli altri, se hanno un solo candidato possibile (“l’Edificio E”) esitano a identificarlo con il presunto edificio delle camere a gas. Possiamo perciò ritenere, per adesso, che – come a Bełżec – gli archeologi non sono riusciti a localizzare i resti di nessuna camera a gas omicida.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.revblog.codoh.com/2009/05/kolas-building-e-at-sobibor-some-preliminary-observations/
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