Oggi, come si sa, cade la festa della Liberazione dal nazifascismo. Per quanto mi riguarda (e anche se la cosa potrà sorprendere qualcuno) posso dire non solo di essere figlio di un partigiano ma di essere orgoglioso che mio padre abbia preso parte alla Resistenza. Non rinuncio però, anche oggi, a dire qualcosa di revisionista. Ricordo infatti che Paul Rassinier, il fondatore del revisionismo olocaustico, fu non solo partigiano ma venne anche insignito della medaglia d’argento della Riconoscenza Francese e della Rosetta della Resistenza, decorazioni che peraltro non portava mai.
Leggendo la nota biografica di Rassinier pubblicata dalla Graphos nell’edizione del 1996 della Menzogna di Ulisse, c’è un passo che ha attratto la mia attenzione (p. 20):
“Riprende il suo posto alla testa della federazione SFIO [il partito socialista] di Belfort e non esita a dichiarare di non aver mai incontrato nella Resistenza la maggior parte degli uomini che ora parlano in suo nome“.
Mio padre ha vissuto un’esperienza analoga: nella sua città la locale sezione dell’ANPI è stata guidata per interi decenni da personaggi totalmente estranei al movimento partigiano. Quando mio padre fece richiesta per avere la pensione da partigiano (di misera entità ma di sacrosanto valore simbolico) questi stessi personaggi gliel’hanno ripetutamente negata. Ora, che mio padre sia stato davvero partigiano è attestato tra l’altro da un diploma, firmato a Roma nel 1947 dai comandanti delle Brigate Garibaldi, Pietro Secchia e Luigi Longo.
Il destino di mio padre non è stato unico: anche i suoi compagni sono stati emarginati dalla detta sezione dell’ANPI. Essi infatti costituivano un rimprovero vivente per i millantatori che si fanno belli ogni 25 Aprile.
Il fenomeno delle false testimonianze in ambito resistenziale è analogo, anche se molto più oscuro e trascurato, delle false testimonianze olocaustiche: quante carriere hanno avuto il lustro di benemerenze partigiane puramente fittizie! Sarebbe ora che qualche storico se ne accorgesse.
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