Di Thomas Kues (2008)[1]
Dei tre cosiddetti “campi di sterminio” dell’Aktion Reinhardt, quello di Sobibor, vicino Wlodawa, è uno dei meno indagati dai revisionisti. Finora su questo campo non è stato pubblicato nessuno studio revisionista delle dimensioni di un libro. Mentre per quanto riguarda la storiografia sterminazionista lo studio più approfondito è quello di Jules Schelvis: Sobibor. A History of a Nazi Death Camp (edizione rivista nel 2007). Da circa un anno, sto esaminando la storiografia di tale campo, come pure i resoconti lasciati dagli ex detenuti. Qui sotto elencherò alcune delle contraddizioni più interessanti della narrazione ortodossa di Sobibor in cui mi sono imbattuto.
· Si afferma che, analogamente a Belzec e a Treblinka, Sobibor disponeva inizialmente di un piccolo edificio munito di camera a gas, sostituito in seguito da un secondo edificio più grande. Franz Stangl, che supervisionò l’ultima fase della costruzione del campo, di cui fu il comandante dal Marzo al Settembre del 1942, descrisse la prima installazione come un “edificio di mattoni” (Sereny, Into That Darkness, p. 109). Erich Fuchs, che si ritiene abbia installato il motore per effettuare le gasazioni e che partecipò al primo processo sulle gasazioni, testimoniò nel 1963 che le camere erano ospitate in una “struttura di cemento”. Erich Bauer venne soprannominato “The Gasmeister of Sobibor” [il maestro delle gasazioni di Sobibor]. Nel 1950, venne condannato a morte (sentenza in seguito commutata nel carcere a vita) da una corte della Germania Ovest per aver azionato le camere a gas di Sobibor. Secondo una “confessione” fornita da Bauer quando era in prigione, le prime camere a gas non erano fatte di mattoni o di cemento ma di legno (Schelvis, p. 101). E’ significativo che né Schelvis, né Arad, che pure citano questi testimoni, non parlino di questa palese contraddizione. Schelvis si limita a osservare, a proposito della testimonianza di Fuchs: “Poiché aveva messo all’opera così tante installazioni nel corso del tempo, non si ricordò che le prime camere a gas di Sobibor erano state costruite in legno” (p. 114). Come mai Stangl e Bauer, due uomini che dovevano conoscere bene questo edificio, resero una testimonianza così divergente?
· Il numero presunto delle camere a gas, come pure le loro dimensioni e la loro capienza, differiscono in modo significativo tra i vari testimoni, come pure tra gli storici sterminazionisti. Arad (Belzec, Sobibor, Treblinka, p. 31) scrive che il primo edificio conteneva tre camere, ognuna di metri 4×4, con una capienza di 200 vittime per camera. Allo stesso edificio, Miriam Novitch (Sobibor. Martyrdom and Revolt, p. 26) attribuisce una capienza totale di 150 persone. Schelvis, d’altro lato, osserva semplicemente che le cifre riferite dai testimoni variano tra le 40 e le 80 vittime per camera. Per quanto riguarda il secondo edificio, Arad afferma che ospitava 6 camere, misuranti ognuna metri 4×4, con una capienza simultanea totale di 1.300 persone (p. 123). Novitch a sua volta scrive che le camere a gas erano cinque, ognuna di metri 4×12, con una capienza totale di 400 vittime (p. 26). Schelvis (p. 115) si rifà semplicemente al verdetto del 1966 del processo Hagen, che trovò che era “un’ipotesi ragionevole quella secondo cui ognuna delle sei camere a gas poteva ospitare 80 persone”, per un totale di 480 vittime. Nel 1950, l’ex SS-Scharführer Franz Hödl diede una testimonianza fatta per accontentare tutti: “…Vennero erette dalle 6 alle 8 camere a gas. Ogni camera a gas aveva 4 o 6 camere ai lati di un corridoio centrale, tre sulla sinistra, tre sulla destra” (Schelvis, p. 104).
· Si afferma che circa un terzo delle vittime venne sepolto prima di essere cremato. Le cremazioni all’aperto vennero iniziate, o tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno (Arad, p. 117) o nell’inverno (Schelvis, p. 110) del 1942. Arad scrive che i corpi vennero sepolti in un numero imprecisato di fosse comuni “lunghe da 50 a 60 metri, larghe da 10 a 15 metri, e profonde da 5 a 7 metri” (p. 33). Novitch similmente non precisa il numero delle fosse, e attribuisce loro le misure di 30 metri di lunghezza, 15 metri di larghezza, e da 4 a 5 metri di profondità (p. 24). Schelvis (p. 110) afferma con sicurezza (utilizzando come fonte le dichiarazioni di Kurt Bolender) che ci furono solo 2 fosse comuni (e oltre a queste una fossa di cremazione, sopra la quale venne posto un binario ferroviario). Le dimensioni della seconda fossa rimangono oscure. Per quanto riguarda la prima, Schelvis scrive che era lunga 60 metri, larga 20 metri e profonda dai 6 ai 7 metri. Secondo l’archeologo polacco Andrzej Kola, che a quanto si dice effettuò delle trivellazioni nel sito dell’ex campo del 2001, c’erano 7 fosse comuni, con una profondità media di 5 metri. La fossa più grande aveva presuntamente una superficie di metri 64×23 (equivalente a 210×75 piedi), mentre la seconda in ordine di grandezza misurava metri 18×23 (60×75 piedi). Venne riportato dalla stampa (The Scotsman, 26 Novembre 2001) che le trivellazioni rivelarono che gli strati superiori di tali fosse contenevano resti umani cremati, mentre gli strati pià profondi contenevano resti umani non cremati in stato di decomposizione. Dobbiamo quindi credere che lo staff delle SS, che ebbe un intero anno a disposizione, non riuscì a dissotterrare tutti i corpi sepolti? Per quale motivo gli strati inferiori dei corpi sarebbero stati tralasciati, se c’era un ordine di Himmler affinché tutti i corpi venissero riesumati e cremati (Arad, p. 170)?
· Un altro articolo di giornale (Associated Press, 23 Novembre 2001) afferma che il team di Kola ha trovato le tracce di una lunga baracca “a circa 70 iarde di distanza dalle fosse comuni”. In uno dei suoi angoli, gli archeologi hanno scoperto 1.700 pallottole. Secondo Kola, la baracca “può aver funto da camera a gas”, aggiungendo che erano necessarie ulteriori indagini. Ma perché le esecuzioni con le pallottole sarebbero state attuate dentro l’edificio di una camera a gas? Nell’articolo di Scotsman pubblicato tre anni più tardi la baracca contenente i proiettili è stata descritta come “una baracca-ospedale”.
· Jules Schelvis osserva che la ferrovia che passava per Sobibor “correva lungo un acquitrino” (p. 28), e Arad scrive che l’”intera area era paludosa” (p. 30). Un’occhiata alla mappa del 1933 rivela diversi piccoli laghi o stagni vicini al futuro campo, come anche un certo numero di zone paludose, inclusa una più piccola all’interno del perimetro del futuro campo. Franz Suchomel, che diresse la liquidazione di Sobibor, testimoniò nel 1962 che le baracche di Sobibor erano state costruite in cima a “palafitte”, per evitare il pericolo di inondazioni. In un’intervista all’inizio degli anni ’70, disse anche che a Sobibor non vennero effettuate uccisioni “dopo che la neve si sciolse perché stava tutto sott’acqua” aggiungendo che “nel periodo migliore [il luogo] era molto umido, ma in seguito divenne un lago”.(Sereny, p. 115). Nel libro di Arad apprendiamo che i detenuti cercarono di scappare attraverso un tunnel (p. 311). Il tunnel, che era stato progettato da un minatore professionista, “non potè essere più profondo” di 155 centimetri sotto il livello del suolo, perché “c’era il pericolo che potesse incontrare una vena d’acqua” Poiché un’occhiata alle mappe topografiche della zona mostra che il Lager 3, dove le camere a gas e le fosse comuni erano presuntamente ubicate, era situato più in basso delle altre parti del campo, non ha senso supporre che lì il livello dell’acqua freatica fosse più profondo, permettendo i 5 metri di profondità asseriti da Kola. In ogni caso, è un mistero il motivo per cui lo staff delle SS incaricato delle costruzioni, che si dice avesse visitato il sito del futuro campo già alla fine del 1941 (Schelvis, p. 27) avrebbe scelto come campo di sterminio, dove dovevano venire sepolti decine se non centinaia di migliaia di corpi, una zona paludosa.
· Finora non è stata pubblicata nessuna documentazione o rapporto sceintifico – in polacco, in inglese, o in qualunque altra lingua – dei suddetti scavi a Sobibor del 2001, nonostante siano passati sette anni. Secondo una comunicazione personale di Yoram Haimi, del “Sobibor Archeological Project” (http://www.undersobibor.org/ ), Kola “ha un problema con il governo polacco”. E’ interessante il fatto che Schelvis non faccia menzione degli scavi nell’edizione rivista del suo libro posteriore al 2001.
· Gli ex guardiani ucraini interrogati dai funzionari sovietici esagerarono notevolmente l’area del campo, nonostante uno dei loro compiti principali nel campo fosse quello di pattugliare il suo perimetro. Mikhail Razgonayev in un interrogatorio del 1948 fornì come misura “2-3 chilometri quadrati”. Ignat Danilchenko, affermò nel 1979 che le dimensioni dell’area in questione erano corrispondenti a “circa quattro chilometri quadrati”. L’area effettiva del campo era meno di mezzo chilometro quadrato (vedi la cosiddetta mappa Rutherford del 2002).
· Secondo il racconto di Fuchs della prima gasazione, le vittime si spogliavano vicino alla camera a gas e venivano gasate nude. Stangl, d’altro lato, testimoniò di essere “certo che i corpi non erano nudi, ma venivano sepolti con i loro vestiti ancora indosso” (Schelvis, p. 101).
· Si afferma che nessuno dei detenuti del “Lager 3” sopravvisse all’esistenza del campo, e che tutti i contatti tra i detenuti del Lager 3 e quelli delle altre zone del campo fossero strettamente proibiti. Eppure un certo numero di sopravvissuti ha detto di aver avuto contatti con il Lager 3 attraverso lettere clandestine (o di esserne al corrente). Per esempio, apprendiamo dal libro di Arad (p. 79) che il cuoco del campo, Hershl Zukerman, fu il primo detenuto a sapere dell’esistenza delle camere a gas, grazie alla risposta ad una lettera che aveva nascosto dentro una grossa torta (nella versione pubblicata da Novitch il piatto è diventato uno gnocco di pasta). Moshe Bahir descrive lettere che parlano di magiche macchie di sangue e di pavimenti della camere a gas dove erano rimasti conficcati frammenti di mani, guance e orecchie (!). Stanislaw Szmajzner afferma di aver ricevuto lettere dal Lager 3 in cui si spiegava che si era passati dalle esalazioni del motore allo Zyklon B. Nessuna delle comunicazioni suddette è stata trattata da Schelvis. Jacob Biskubicz testimoniò di aver visto una camera a gas con un pavimento rimovibile. Anche questa testimonianza non viene citata da Schelvis. D’altro lato egli dice che il sopravvissuto Chaim Trager “affermò di aver visto tutto quello che accadeva nel Lager 3 mentre era impegnato nella costruzione di un camino in quella zona del campo” – eppure non fornisce né una citazione del sensazionale racconto di Trager né un riferimento ad esso. Novitch presenta un breve resoconto dello stesso testimone ma non menziona niente del genere. A quale testimonianza si riferisce Schelvis?
Quelli appena menzionati sono solo alcuni dei problemi e dei paradossi riscontrabili nella storiografia ortodossa del “campo della morte” di Sobibor – una storiografia basata quasi esclusivamente su testimonianze oculari. E’ evidente, almeno per me, che c’è bisogno di un’indagine attenta e scientifica della storia del campo. E’ evidente anche che tale indagine non potrà essere portata avanti dagli storici “mainstream”, ma piuttosto dagli scettici e dai revisionisti.
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