Di Safa Joudeh, dalla Striscia di Gaza occupata, 27 Dicembre 2008[1]
E’ stato poco prima di mezzogiorno che ho sentito la prima esplosione. Sono corsa alla finestra ed ero a malapena riuscita ad arrivare lì e a guardare fuori che sono stata spinta all’indietro dalla forza e dalla pressione dell’aria di un’altra esplosione. Per qualche momento non ho capito ma poi mi sono resa conto che le promesse di Israele di un’offensiva su vasta scala contro la Striscia di Gaza si erano materializzate. Dopo tutto le dichiarazioni del Ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni successive all’incontro dell’altro ieri con il Presidente egiziano Hosni Mubarak non erano vuote minacce.
Quello che è avvenuto sembra decisamente surreale, a questo punto. Non avremmo mai immaginato nulla del genere. E’ successo tutto così velocemente, ma l’ammontare delle morti e della distruzione è inconcepibile, persino per me e mi trovo in mezzo a tutto ciò e sono passate solo poche ore.
Sono stati colpiti sei siti durante il raid aereo a Gaza City. Le immagini probabilmente non sono state trasmesse dai canali statunitensi. C’erano pile e pile di corpi nei siti colpiti. Mentre li guardavi potevi vedere che qualcuno di quei giovani era ancora vivo, qualcuno sollevava una mano, e un altro alzava la testa. Sono morti probabilmente poco dopo perché i loro corpi erano bruciati, molti avevano perso degli arti, qualcuno stava con le viscere di fuori e giacevano tutti in pozze di sangue. Fuori di casa mia, che è vicina alle due più grandi università di Gaza, un missile è caduto su un grosso gruppo di giovani, studenti universitari. Erano stati avvertiti di non stare in gruppo perché questo ne faceva dei facili bersagli, ma stavano aspettando i bus per tornare a casa. Ne sono rimasti uccisi sette, quattro studenti e tre ragazzi dei nostri vicini, giovani della famiglia Rayes e nostri cari amici. Mentre scrivo sento da fuori la processione di un funerale; ho guardato fuori un attimo fa ed erano i tre ragazzi Rayes. Passavano tutto il tempo assieme quando erano vivi, sono morti assieme e condividono assieme lo stesso funerale. Niente ha potuto fermare mio fratello di 14 anni dal correre fuori a vedere i corpi dei suoi amici che giacevano sulla strada dopo che erano stati uccisi. Da quel momento non ha più detto una parola.
Cosa voleva dire il Primo Ministro israeliano Ehud Olmert quando ha dichiarato che noi, il popolo di Gaza, non eravamo il nemico, che erano Hamas e la Jihad islamica a dover essere colpite? Questa dichiarazione è stata fatta per farci infuriare oltre il nostro stato di shock, per calmare ogni sentimento di rabbia e di vendetta? Per farsi beffe di noi? I gruppi di bambini che tornavano a casa da scuola e che adesso si contano tra i morti e i feriti erano militanti di Hamas? Poco più oltre sulla mia strada circa un’ora e mezza dopo il primo assalto, tre bambine stavano passando accanto a uno degli obbiettivi quando un missile ha colpito l’edificio sede della Sicurezza Preventiva. I corpi delle bambine sono stati ridotti in pezzi che hanno coperto la strada da un lato all’altro.
In tutti i siti colpiti, la gente si fa largo tra i morti, con il terrore di riconoscere tra essi un membro della propria famiglia. Le strade sono cosparse dei loro corpi, delle loro braccia, delle loro gambe, dei loro piedi, qualcuno con la scarpa e qualcuno senza. La città è in stato di allarme, panico e confusione, i cellulari non funzionano, gli ospedali e gli obitori sono stracolmi e qualche morto giace ancora sulle strade con i familiari raccolti intorno, che baciano i loro visi, e li stringono. Fuori degli edifici distrutti i vecchi stanno in ginocchio per terra a piangere. Le loro esili speranze di ritrovare i propri figli svaniscono dopo un’occhiata a come sono ridotti gli edifici dei loro uffici.
E anche dopo che i morti vengono identificati, ai dottori è affidato il duro compito di riunire le membra sparse per consegnarle alle loro famiglie. I corridoi degli ospedali sembrano un mattatoio. E’ davvero peggio di qualunque film dell’orrore possiate immaginare. Il pavimento è pieno di sangue, i feriti sono appoggiati contro i muri o giacciono sul pavimento, accanto ai morti. I dottori lavorano affannosamente e le persone con ferite non mortali vengono rispedite a casa. Una mia parente è stata ferita da un pezzo di vetro proveniente dalla finestra del soggiorno e le è rimasto un taglio profondo proprio in mezzo al viso. E’ stata rimandata a casa; troppe altre persone avevano bisogno di cure più urgenti. Suo marito, dentista, l’ha portata nella sua clinica e le ha ricucito il viso usando l’anestesia locale.
Più di 200 persone sono morte nei raid aerei di oggi. Questo significa più di 200 processioni funebri, qualcuna oggi, la maggior parte domani, probabilmente. E pensare che ieri queste famiglie erano preoccupate per il cibo, il riscaldamento e l’elettricità. A questo punto penso che essi – e in realtà tutti noi – avrebbero preferito con gioia che Hamas rinunci per sempre a tutti i diritti basilari rimanenti che abbiamo rivendicato negli ultimi mesi se questo avesse potuto fermare quello che è successo.
Il bombardamento è stato molto vicino a casa mia. La maggior parte dei miei familiari vivono in questa zona. La mia famiglia sta bene ma due case dei miei zii sono rimaste danneggiate.
Noi possiamo riposare facilmente, gli abitanti di Gaza possono piangere stanotte. Si dice che Israele abbia promesso di non compiere più raid per ora. La gente sospetta che il prossimo passo sia quello degli omicidi mirati, che implicherà inevitabilmente ancora più malcapitati innocenti il cui destino è già stato segnato.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://electronicintifada.net/v2/article10059.shtml
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