Di Sonja Karkar, The Electronic Intifada, 27 Novembre 2008[1]
Che genere di governo può negare, nel 21° secolo, ad un altro popolo i diritti umani basilari – e cioè il diritto al cibo, all’acqua, all’alloggio, alla sicurezza e alla dignità?
Che genere di governo impone sanzioni draconiane a un altro popolo per aver eletto democraticamente un governo non di suo gradimento?
Che genere di governo chiude ermeticamente un territorio densamente popolato da un milione e mezzo di persone, in modo che nessuno possa entrare o uscire senza permesso, i pescatori non possano pescare nelle proprie acque, e gli aiuti umanitari non possano essere distribuiti alla popolazione affamata?
Che genere di governo taglia il carburante, l’acqua e l’elettricità e poi fa cadere sulla popolazione le bombe e il fuoco dell’artiglieria?
La risposta è: nessun governo onesto.
E nonostante ciò, governo dopo governo, Israele continua a chiedere elogi e riconoscimenti come se fosse la prima democrazia del mondo, superiore a tutte le altre, nonostante il suo disprezzo per il diritto internazionale, le sue violazioni dei diritti umani, e la criminalità e la corruzione dei leader israeliani. Ancora peggio, il mondo ha accettato e ha accolto nel proprio seno ogni governante israeliano come ospite di riguardo.
Questo dovrebbe dare a ognuno di noi il tempo di riesaminare le nostre nobili dichiarazioni di indipendenza e quelle sui diritti umani, sull’etica, la moralità, le convinzioni religiose, le libertà civili e lo stato di diritto. Stanno lì solo per essere mostrate o significano davvero qualcosa? Sono state fatte solo per qualche popolo o per tutti i popoli?
Il Presidente di Israele, Shimon Peres è solo uno dei molti leader che hanno favorito la politica e i programmi aggressivi di Israele, e tuttavia è stato insignito del titolo di cavaliere dalla Regina [d’Inghilterra] e probabilmente verrà insignito con una serie di conferenze a lui intitolate dal Balliol College dell’Università di Oxford. Onori decisamente dubbi, per un uomo che contribuì ad espellere forzosamente 750.000 palestinesi dalla propria terra nella guerra del 1948.
Oggi, vediamo a Gaza il genere di ghetto che il mondo pensava di non vedere mai più: il paragone è stato fatto all’inizio di quest’anno dal Ministro della Difesa israeliano Matan Vilnai, quando ha minacciato “un olocausto [shoah] più grande” contro i palestinesi di Gaza. In seguito, si è giustificato dicendo che aveva usato tale espressione con il significato di “disastro”, quando in realtà il termine in questione è ben noto a chiunque. Ad ogni modo, la minaccia è stata sinistra a sufficienza.
La morte lenta che colpisce i palestinesi a Gaza sta trovando le prime vittime nei più di 400 malati in condizioni critiche a cui viene impedito di lasciare Gaza per cure mediche urgenti negli ospedali israeliani o arabi. Migliaia di altri pazienti vengono mandati via dagli ospedali, che soffrono di una grave penuria di 300 generi differenti di medicine.
Gli ospedali sono stati privati di medicine e di attrezzature per così tanto tempo, che il filo di rifornimenti finalmente concessi, non può più soddisfare i bisogni vitali minimi della popolazione civile. Similmente, il carburante concesso è a malapena sufficiente a far funzionare la centrale elettrica di Gaza per un giorno.
Questa distribuzione centellinata di soccorsi è stata suggerita dal consigliere Dov Weisglass del Primo Ministro israeliano, che nel Febbraio del 2006 disse: “L’idea è di mettere a dieta i palestinesi, ma di non farli morire di fame”.
Una politica così ostile ha condotto ad una pesante crescita della denutrizione, poiché le persone vengono private dei loro bisogni primari. Non solo i mulini sono stati costretti a chiudere perché il carburante e l’elettricità sono cessati, ma ora tutte le scorte di grano si sono esaurite. Dei 72 panifici in funzione nella Striscia di Gaza, 29 hanno completamente cessato di cuocere il pane e gli altri li stanno per seguire. Questo significa che anche l’alimento più basilare – il pane – presto non sarà più disponibile per la popolazione affamata.
Un rapporto della Croce Rossa descrive gli effetti dell’assedio come “devastanti”. Il settanta per cento della popolazione sta soffrendo per l’incertezza del cibo, mentre la sospensione, dal 4 Novembre, dei soccorsi alimentari a circa 750.000 profughi nei pietosi campi di Gaza, ha ulteriormente devastato i palestinesi, che non hanno alternative.
Le Nazioni Unite, Amnesty International e Human Rights Watch hanno tutte definito come “crudele” il blocco di Gaza. L’ex Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, non si perita dal definire la situazione come un”odiosa atrocità”, equivalente a un crimine di guerra.
In Inghilterra, la delegata di Oxfam, Barbara Stocking ha vivamente criticato il Ministro degli Esteri David Miliband per non aver nominato la “disperazione” di Gaza nel suo recente viaggio in Israele e in Palestina.
La tattica di Israele potrebbe però essere controproducente.
La chiusura di Gaza da parte di Israele è stata così draconiana, che i più grandi network mediatici del mondo, incluso il New York Times, si sono indignati che ai loro giornalisti è stato proibito di entrare nella Striscia di Gaza, e hanno protestato scrivendo al Primo Ministro Ehud Olmert.
Anche i leader delle confessioni cristiane sono stati esclusi da Gaza. La settimana scorsa, Israele ha impedito all’Arcivescovo Franco, nunzio papale in Israele, di celebrare la Messa che segna l’inizio dell’Avvento che conduce al Natale.
E nei territori occupati della Cisgiordania, il Ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ha approvato la costruzione di centinaia di insediamenti illegali, in flagrante spregio degli accordi di pace, frustrando ulteriormente l’attuale amministrazione americana, desiderosa di ottenere una soluzione prima della fine del proprio mandato.
Quello che è davvero sbalorditivo è il silenzio del mondo di fronte a tutto questo. La premura vergognosa di concedere a Israele ogni onore e riconoscimento per preservarlo dalla colpa storica di aver orchestrato la distruzione della società palestinese, è a dir poco irragionevole.
Sonja Karkar è fondatrice e presidente di Women for Palestine, nonché fondatrice e animatrice di Australians for Palestine, a Melbourne. E’ anche direttrice di http://www.australiansforpalestine.com/ e scrive articoli sulla Palestina per varie pubblicazioni.
[1] http://electronicintifada.net/v2/article9997.shtml
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