Di Thomas Kues[1] (2008)
Yehuda Bauer è nato a Praga nel 1926. Nel 1939, lui e la sua famiglia sono emigrati in Palestina. Dopo aver combattuto nella guerra arabo-israeliana del 1948, Bauer si è laureato in storia, e nel 1960 ha ricevuto il dottorato. Bauer è stato uno dei fondatori del Journal for Holocaust and Genocide Studies, e ha anche fatto parte del comitato editoriale dell’Encyclopedia of the Holocaust, pubblicata dallo Yad Vashem nel 1990. Nel 1998, ha ricevuto il Premio Israele e nel 2001 è stato eletto membro dell’Accademia Israeliana delle Scienze.
Bauer è considerato come uno dei più importanti storici viventi (sterminazionisti) dell’Olocausto. E’ autore di numerosi libri che trattano dell’Olocausto e dell’antisemitismo, inclusi Trends in Holocaust Research [Orientamenti nelle ricerche sull’Olocausto] (1977), Jewish Foreign Policy During the Holocaust [La politica estera ebraica durante l’Olocausto] (1984), Is the Holocaust Explicable?[L’Olocausto è spiegabile?] (1990), e Rethinking the Holocaust [Ripensare l’Olocausto] (2001). Si potrebbe perciò presumere (adottando la forma mentis del pubblico abituale) che Bauer sia capace di esprimere commenti qualificati, penetranti ed equilibrati sulle questioni relative all’Olocausto.
Nel 1979, Bauer scrisse una prefazione alla prima edizione in lingua inglese del libro del testimone oculare “Sonderkommando” Filip Müller: Eyewitness Auschwitz: Three Years in the Gas Chambers [Testimone di Auschwitz: Tre anni nelle camere a gas] (Stein and Day, New York), un racconto “sbalorditivo e veritiero” sulle fosse [di cremazione] piene di grasso umano sfrigolante, di cadaveri bruciati a velocità espresso, di spuntini nelle camere a gas, di “cristalli” blu-verdognoli di Zyklon B, di secchi che saltavano a causa delle contrazioni di tessuti umani amputati, di belle ragazze nude che hanno impedito all’autore di suicidarsi (in modo da poter raccontare la verità) e molto di più. Questo libro è stato abbondantemente menzionato anche da Raul Hilberg nell’edizione rivista della sua Distruzione degli ebrei europei (come ha osservato il revisionista Jürgen Graf nella sua critica a Hilberg intitolata Il gigante dai piedi d’argilla).
E allora cos’è che scrive Bauer sullo sbalorditivo libro di Müller? Per cominciare, è del tutto evidente che Bauer lo considera come un contributo altamente significativo alla letteratura dell’Olocausto. Il libro è “un documento unico”, scrive Bauer; “è la testimonianza del solo uomo che ha visto il popolo ebreo morire e ha vissuto per dire quello che ha visto”. Müller, così, non è semplicemente un testimone oculare tra i molti, ma un tipo superiore di testimone, che ha prodotto una testimonianza unica sulle sue presunte esperienze; uno scriba segnato dal destino che testimonia la distruzione del suo popolo.
In realtà, il suo libro è “la testimonianza sconvolgente, fondamentale, del solo sopravvissuto a tutto il periodo delle operazioni omicide nel centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dell’anus mundi”. Riguardo allo stile della scrittura, Bauer afferma che Müller “racconta la storia in linguaggio semplice e piano”, come pure “senza abbellimenti, o divagazioni”. Secondo lo storico israeliano, Eyewitness Auschwitz non è “un’opera d’arte” ma “una testimonianza”. Così se bisogna credere a Bauer il libro non è in nessun modo una sorta di “fiction”, ma una trasmissione obbiettiva di avvenimenti realmente accaduti osservati dall’autore. Ma cosa dobbiamo pensare di passaggi come il seguente (pp. 46-47):
“Dopo la loro esecuzione i corpi prescelti giacevano su un tavolo. Il dottore procedette a tagliare pezzi di carne ancora calda dalle cosce e dai polpacci e li gettò nei contenitori previsti. I muscoli di quelli che erano stati fucilati si stavano ancora muovendo e contraendo, facendo saltare il secchio”.
O dell’assurda capacità attribuita ai forni crematori alimentati a coke (p. 16):
“Le autorità preposte avevano assegnato 20 minuti per la cremazione di tre cadaveri [in una singola muffola]. Era compito di Stark controllare che il tempo previsto fosse strettamente rispettato”.
O della seguente descrizione del fallito tentativo di Müller di suicidarsi nella camera a gas (pp. 113-114):
“Improvvisamente alcune ragazze, nude e nel pieno rigoglio della gioventù, mi si avvicinarono. Mi stavano di fronte senza parlare, fissandomi profondamente assorte e stringendosi le mani disorientate. Alla fine una di loro prese coraggio e mi rivolse la parola: “Abbiamo capito che hai scelto di morire insieme a noi di tua spontanea volontà, e ti vogliamo dire che la tua decisione è inutile: perché non aiuta nessuno”. Ella proseguì: “Noi dobbiamo morire, ma tu hai ancora una possibilità di salvarti la vita. Devi tornare al campo e raccontare a tutti delle nostre ultime ore”. (…). Fui sorpreso e stranamente commosso dal loro distacco freddo e calmo di fronte alla morte, e anche dalla loro dolcezza. Prima che potessi rispondere al suo energico discorso, le ragazze mi presero e mi condussero protestando alla porta della camera a gas. Lì mi diedero un’ultima spinta che mi fece finire proprio in mezzo al gruppo delle SS”.
Tutto ciò sarebbe accaduto in una camera a gas presuntamente superaffollata, con guardie armate che stavano attorno! Tuttavia, nonostante le numerose affermazioni analoghe, parimenti insensate, assurde, e spudoratamente propagandistiche riscontrabili in tutto il libro, Bauer sostiene che Müller è un testimone capitale:
“Müller non è né uno storico né uno psicologo; non analizza e non esamina. Ma quello che dice è di enorme importanza per entrambi”.
Il libro a quanto pare trascende il livello della testimonianza ordinaria, diventando qualcosa di simile a una rivelazione religiosa o metafisica:
“Questa è una testimonianza cruciale, e costituisce indubbiamente un elemento per comprendere l’orrore di Auschwitz, sebbene nessuno di noi – che non eravamo lì – possa varcare la soglia della conoscenza”.
Quest’affermazione chiaramente echeggia la proclamazione papale di Elie Wiesel secondo cui “L’Olocausto è un sacro mistero, il cui segreto è limitato alla cerchia del sacerdozio dei sopravvissuti” (Novick, The Holocaust in American Life, p. 211). Bauer, da parte sua, non esita a identificare la Germania di Hitler con le tenebre incarnate e, implicitamente, la seconda guerra mondiale come una lotta contro il Male Assoluto, incarnato dalla fattezze ingannevolmente umane dei Satanazi:
“Egli vide una civiltà distrutta da diavoli con fattezze umane, ordinarie. Non solo vide i martiri, lui parlò a Satana. (…) Questo racconto disadorno è un’accusa terribile contro Dio e contro l’umanità”.
L’eroe implicito e il simbolo del Bene Assoluto di questa grande storia è naturalmente “il popolo eletto da D-o”, i Sei Milioni di Martiri della Shoah. E’ questo il retro “pensiero” dello storico dell’Olocausto di rinomanza mondiale Yehuda Bauer. Tale atteggiamento acritico è particolarmente evidente nell’osservazione di Bauer sul numero delle vittime di Auschwitz:
“Non si sa esattamente quante persone vennero assassinate nelle camere a gas di Auschwitz, ma le stime oscillano intorno ai tre milioni e mezzo”.
Raul Hilberg dichiarò nella sua Distruzione degli ebrei d’Europa (originariamente pubblicata nel 1961) che morirono ad Auschwitz 1.250.000 persone, di cui 1 milione di ebrei. Nel 1953, Gerald Reitlinger fissò la cifra tra le 800.000 e le 900.000 (The Final Solution, p. 500). Nel 1951 lo storico ebreo-francese Léon Poliakov valutò il numero delle vittime di Auschwitz in 2 milioni, una cifra utilizzata in seguito anche dai suoi colleghi George Wellers (1973) e Lucy Davidowicz (The War Against the Jews, 1975). Nel 1983, Wellers aveva ridotto la sua cifra a 1.471.595. Lo stesso Yehuda Bauer aveva vagamente fissato la cifra tra i 2 e i 4 milioni (A History of the Holocaust, p. 215), per poi ridurla a 1.600.000 nel 1989 (The Jerusalem Post, 22 Settembre 1989, p. 6). Il fatto che nel 1979 un’eminente autorità senza legami apparenti con l’Unione Sovietica parlasse di una cifra tra i 3 e i 4 milioni di vittime ad Auschwitz dovrebbe dirci qualcosa sull’integrità intellettuale e sulla mentalità degli storici dell’Olocausto. Ma Bauer non è uno storico comune, è anche una sorta di filosofo, che critica la nostra civiltà occidentale mentre fornisce una soluzione affidabile dei nostri problemi:
“Dobbiamo sostenere la testimonianza di Filip Müller, se vogliamo che la nostra civiltà sopravviva”.
Che genere di civiltà, ci potremmo domandare, è quella che si basa su fondamenta come quelle di Three Years in the Gas Chambers? E’ la civiltà di Aristotele, di Voltaire e di Nietzsche, o quella di Freud, di Marcuse e di Elie Wiesel?
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.codoh.com/newsite/sr/online/sr_153.pdf
Questa “recensione” si (s)-qualifica da sé: basta leggere intorno alla pagina i titoli insinuanti le solite, trite e ritrite idiozie contro Israele e l’ebraismo. Insomma, un ennesimo dilettantesco ( il lettore legga tra le righe la pseudo-nota su Yehuda Bauer ) tentativo di un incompetente di rifare la storia a proprio uso e piacimento… Ci vuole più fantasia, caro sig. Carancini, si impegni, ce la può fare, poiché se un aspetto non le manca, questo è proprio la fantasia, sicuro ingrediente per diventar un ottimo revisionista. La lascio ai suoi sogni ed alle sue speranze,
cordialità ( si fa per dire )
R. Fiaschi
E’ inevitabile lavorare di fantasia quando una società libera e democratica non lascia la libertà ai suoi studiosi di lavorare in pace e di assodare la probabile verità delle cose. Uomini che si ritengono intelligenti dovrebbero comprendere e affermare a qualsiasi costo quest’indispensabile ingrediente della civiltà e della cultura umana
insomma, sig. carancini, che cosa vuole dire con questa sua nota confusa? e poi parla di integrità intellettuale…
C. Cavicchioli