Editoriale di Haaretz, 22.10.2008[1]
Come accade a ogni festa di Sukot, decine di migliaia di israeliani hanno accettato l’invito del Jewish National Fund di portare le loro famiglie a visitare i boschetti di olivi lungo il paese. Molti hanno partecipato alla cerimonie del raccolto e hanno ascoltato il racconto dell’albero dell’olivo, il simbolo della pace. E come accade ogni anno quando inizia la raccolta delle olive, dozzine di giovani sono partiti dalle colonie e dagli avamposti per andare nei boschetti di olivi della Cisgiordania ad affrontare i loro vicini palestinesi. Hanno anche minacciato gli attivisti dei diritti umani che aiutavano i raccoglitori, e hanno picchiato un fotografo che era venuto per documentare i disordini del Sukot.
La Torah – che costituisce il centro della festa di ieri, che celebra la conclusione del ciclo annuale delle letture e la sua ripresa – ricorda al popolo di Israele che i suoi membri furono stranieri in Egitto, e proibisce loro di sfruttare gli stranieri, gli orfani o le vedove. Ma leggi religiose illuminate come queste sono, esse stesse, estranee allo spirito degli hooligan che portano grandi papaline e osano definirsi ebrei osservanti della Torah.
Rubano da decenni la terra di agricoltori inermi e non rifuggono dal rubare il frutto dell’umile terra di questi agricoltori. Una società che dichiara il suo forte desiderio di pace non può accettare un terrorismo ebraico così malvagio contro degli innocenti civili palestinesi. Ci si sarebbe aspettato che i leader dei coloni, compresi importanti rabbini, avessero fermamente condannato i propri compagni ebrei, che personificano l’occupazione in tutta la sua bruttezza. Ma sono le autorità di occupazione che hanno la responsabilità morale e formale della sicurezza della popolazione palestinese. Tutti gli attacchi hanno avuto luogo nelle zone B e C, che gli Accordi di Oslo pongono sotto la sola responsabilità di Israele, per quanto riguarda la sicurezza. Il Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, ha avuto assolutamente ragione quando ha detto, all’inizio di questa settimana, che Israele non ha fatto il proprio dovere e non ha difeso i contadini palestinesi dai coloni.
Le forze di sicurezza conoscono l’identità dei capi dei rivoltosi e sanno dove gli scontri hanno luogo – nelle colline meridionali di Hebron, a Tel Rumeida, e nella Samaria centrale. In ogni caso il tempo della raccolta non è esattamente un segreto militare. Eppure anche quest’anno – come ogni anno – gruppi abbastanza piccoli riescono a raggiungere i boschetti di olivi, dove picchiano e rubano, e poi ritornano a casa indisturbati. Non c’è bisogno di indovinare come avrebbero reagito le forze di sicurezza verso i palestinesi o gli attivisti se questi avessero osato sollevare una mano contro i coloni; andate solo a vedere le proteste contro le recinzioni a Bil’in o a Na’alin.
Ehud Barak, il ministro responsabile dell’esercito israeliano, che controlla i territori, ha concesso lunedì un’intervista alla radio dell’esercito condannando le violenze contro i raccoglitori, e ha detto che l’esercito sta impiegando uno “sforzo supremo” per permettere che la raccolta abbia luogo. Eppure, il ministro della difesa si nasconde dietro la discutibile scusa che “ci sono centinaia di luoghi, ed è impossibile stare dovunque nello stesso tempo”. Sarabbe interessante vedere come Barack reagirebbe a una tale scusa se venisse fornita da palestinesi che avessero l’intenzione di fare del male ai coloni o ai soldati. Nella stessa intervista, Barack ha detto che la leadership palestinese è incapace di prendere le decisioni necessarie per raggiungere un accordo definitivo.
Invece di calunniare la presunta incapacità decisionale dei palestinesi, il politico scelto per diventare vice-primo ministro decano avrebbe fatto meglio a prendere una decisione per rafforzare la legge e l’ordine nella sua giurisdizione e ad assegnare le risorse necessarie allo scopo. Anche la polizia israeliana e il servizio di sicurezza dello Shin Bet non dovrebbero tollerare i vergognosi attacchi dei coloni contro i raccoglitori di olive.
[1] http://www.haaretz.com/hasen/spages/1030264.html
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