ALBERTO MELLONI:
UNO STORICO ALQUANTO GROSSIER
Di Andrea Carancini (2007)
Mi sono accorto solo qualche giorno fa di una polemica contro Pio XII lanciata l’anno scorso dallo storico Alberto Melloni dalle colonne del Corriere della Sera, e prontamente rilanciata contro Papa Pacelli dai giannizzeri di Informazione Corretta: si tratta dell’accusa – di provenienza ebraica – secondo cui il Papa avrebbe snobbato i cosiddetti Protocolli di Auschwitz, ossia le (presunte) testimonianze oculari, sullo sterminio in corso ad Auschwitz, di alcuni ebrei fuggiti da quel campo nella primavera del 1944 (l’articolo di Melloni, ripreso da Informazione Corretta è disponibile qui).
In tale articolo Melloni vanta l’autenticità e la veridicità di tali Protocolli:
«Anche prima dei protocolli si sapeva dell’intento genocida di nazisti e fascisti: ma essi trasformavano convinzioni generiche in dati precisi. E il 7 luglio 1944 il New York Times riferiva da fonti svizzere che due campi modello destinati allo sterminio e finora occultati erano stati scoperti nell’Alta Slesia, scrivendo un nome: Auschwitz».
L’accusa contro Pio XII è quella di aver ignorato tale “inoppugnabile” documento abbandonando gli ebrei ungheresi al loro destino, che era quello di venire deportati proprio ad Auschwitz.
Si tratta di una vecchia accusa, ripresa da Melloni con questa variante: mentre Pio XII degli ebrei se ne fregava c’era invece Mons. Roncalli – il futuro Giovanni XXIII – che i famosi Protocolli li avrebbe letti “piangendo” e accusando i suoi superiori di inerzia colpevole.
In questo Melloni si fa eco delle accuse già lanciate in precedenza da Dina Porat, una studiosa israeliana che ha riferito l’anno scorso sul tono presuntamente – e sottolineo presuntamente, come stiamo per vedere – ostile alla Santa Sede dei colloqui avvenuti ad Istambul nel 1944 tra Chaim Barlas (rappresentante in Turchia dell’Agenzia ebraica della Palestina) e il delegato apostolico Roncalli, concernenti proprio la questione dei Protocolli.
Ecco come Melloni riferisce e commenta la “rivelazione” di Dina Porat:
«L’indomani stesso [il 24 Giugno 1944] Barlas ne porta copia [dei Protocolli] a Roncalli: li traduce, glieli porge, ne annota la reazione (“li ha letti fra le lacrime”), e percepisce un’inedita espressione di disappunto. Roncalli promette di farli avere “al suo capo a Roma”, annota Barlas, ma è chiaro che è a disagio per i suoi superiori “il cui potere e la cui influenza è grande, ma che “si trattengono dall’agire”. Barlas chiede perché il papa tace. Annota una risposta [di Roncalli]: “Non me lo chieda, amico mio. Dio guida le strade degli uomini che a noi sono nascoste”».
Nell’articolo non manca una frecciata al gesuita americano Robert Graham (uno degli autori della famosa raccolta di documenti Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale): Melloni, sulla falsariga della Porat, dà per scontato che Roncalli abbia subito avvisato il Papa, e che quindi non è vero – come sostenuto da Graham – che Pio XII ebbe sul suo tavolo i famosi Protocolli solo nell’Ottobre del 1944.
Su questo faccio una prima osservazione: Melloni cita al riguardo una pubblicazione di Graham del 1996 ma la cita in maniera molto vaga, senza nominare neppure il titolo dell’opera.
Seconda osservazione: qualunque fosse il testo del 1996 si tratta pur sempre – per lo storico – di una fonte secondaria. La fonte primaria, per studiare l’argomento in questione, è la già citata collezione degli Actes.
Questo denota la scarsa dimestichezza di Melloni con i documenti di prima mano, pubblicati a suo tempo proprio da Graham e dai suoi colleghi gesuiti.
E infatti lo storico Matteo Luigi Napolitano, che quella raccolta ben conosce, ha avuto buon gioco nel dare a Melloni un’autentica lezione di storia (l’articolo di Napolitano è disponibile
qui).
Non risulta infatti difficile a Napolitano tracciare un quadro dei rapporti Barlas-Roncalli e Roncalli-Pacelli ben diverso, in cui risulta l’apprezzamento degli ebrei amici di Roncalli per l’attività della Santa Sede in loro favore, apprezzamento il cui esempio più evidente è dato da una lettera – datata 22 Novembre 1943 – inviata a Roncalli dal Gran Rabbino di Gerusalemme Herzog, in cui il rabbino ringrazia calorosamente sia Roncalli che il Pontefice.
Non finisce qui: Napolitano, che conosce anche il diario inedito di Roncalli, ha buon gioco nello smontare la tesi di Porat (e Melloni) secondo cui solo Roncalli e Barlas riuscirono a spingere Pio XII (che da solo non l’avrebbe mai fatto) a scrivere al Reggente ungherese una lettera in favore degli ebrei.
Come scrive Napolitano,
«Risulta dagli appunti del futuro “papa buono” che la data esatta in cui Barlas gli consegna un SOS (queste le esatte parole di Roncalli, che allude senza dubbio al Protocollo di Auschwitz) in favore degli ebrei europei è il 27 Giugno 1944, e non il 24».
Conclusione di Napolitano:
«A differenza di quanto sostiene la studiosa israeliana sulla base del suo errore di datazione, la lettera che Pio XII invia a Horty il 25 Giugno in favore degli ebrei ungheresi è del tutto indipendente dall’incontro tra Barlas e Roncalli e dall’invio al papa, da parte di quest’ultimo, di copia del Protocollo di Auschwitz».
Inoltre, sempre secondo Napolitano, non c’è «ombra di critica nei confronti delle alte sfere vaticane» da parte del delegato apostolico e del rappresentante dell’agenzia ebraica, come si evince non solo dal diario di Roncalli ma anche dal memoriale scritto dalla delegazione apostolica per il diplomatico americano Hirschmann.
Scacco matto.
Vorrei perciò porre all’attenzione del lettore il brano del diario del futuro Giovanni XXIII, in cui Roncalli riferisce della ricezione del famoso Protocollo di Auschwitz, perchè a mio avviso è meritevole di ulteriori osservazioni, tenendo però a mente la dichiarazione di Dina Porat, secondo cui
«Roncalli consentì a Barlas di incontrarlo nel cuore della notte per redarre lettere urgenti a Papa XII circa le sventure degli ebrei ungheresi».
Ecco il brano di Roncalli:
«27 Giugno 1944. Nel pomeriggio ricevetti Barlas venuto per un S.o.s. da lanciarsi alla S. Sede per la salvezza degli ebrei di Ungheria. Poi ricevetti le due ebree sorelle Bivas e il signor Bosvoc del consolato ungherese, ritiratosi col console dalle sue funzioni. Mi resta in tal modo pochissimo tempo per le mie occupazioni intorno a ciò che più occorre: conti, rapporti, etc. Telegrafai al S. Padre esibendo la villa per le vacanze dei colleghi e ringraziandolo del discorso a Propaganda».
Da quanto si legge in questo passo non solo non risulta – e questo Napolitano lo scrive – che Roncalli abbia immediatamente inviato a Pio XII la copia del Protocollo fornitagli da Barlas, ma risulta anche un certo disinteresse per il S. O. S. in questione: come egli ha cura di scrivere, per lui era più urgente («ciò che più occorre») occuparsi della villa per le vacanze dei colleghi!
Evidentemente le “rivelazioni” contenute nel Protocollo non avevano certo fatto perdere il sonno a Roncalli.
Forse perché non le considerava, come dire, propriamente attendibili?
A questo punto ci interesserebbe sapere se, almeno in seguito, Roncalli inviò il documento in Vaticano ma questo Napolitano omette di scriverlo.
Una domanda comunque si pone: il giudizio di Roncalli sulla (in)attendibilità dei Protocolli era un giudizio individuale o era condiviso dalle alte sfere vaticane?
Al momento non sono in grado di dare una risposta documentata all’interrogativo; mi sembra però improbabile che quello di Roncalli fosse un atteggiamento puramente personale.
Ma c’è di più; c’è qualcosa che gli storici – anche quelli seri ma “politicamente corretti” come Napolitano – si guardano bene dal dire: a quanto pare Roncalli non era il solo a prendersela comoda, quando si trattava dei Protocolli di Auschwitz.
Riguardo a ciò è di grande interesse la lettura del libro
Les Protocoles d’Auschwitz sont–
ils une source historique digne de foi?, che è l’opera revisionista di riferimento sull’argomento “Protocolli” (disponibile
qui).
Leggendo tale libro (scritto dal revisionista spagnolo Enrique Aynat) apprendiamo ad esempio che il Protocollo n°1 (quello più famoso, il cui redattore presunto è l’ebreo slovacco Rudolf Vrba) si trovava già a Ginevra il 17 Maggio del 1944 (in possesso dell’organizzazione sionista Hechaluz) ma che il dr. Riegner – residente anch’egli a Ginevra e dirigente del Congresso ebraico mondiale – prese conoscenza di tale rapporto solo un mese più tardi, e non da parte della detta organizzazione sionista bensì per mano del rappresentante del governo ceco in esilio!
Come mai una tale negligenza se il documento era considerato attendibile?
Con la massiccia deportazione in corso sarebbe stato infatti di somma urgenza avvertire gli ebrei ungheresi di quello che li stava aspettando ad Auschwitz.
Non basta. Come venne riconosciuto anche dallo storico israeliano Yehuda Bauer, almeno una copia del Protocollo n°1 giunse a Budapest tra la fine di Aprile e l’inizio di Maggio del 1944, e tuttavia è solo durante la seconda metà di Giugno che i dirigenti ebrei ungheresi cominciarono a diffondere copie dei Protocolli.
Come mai, si domanda il revisionista Enrique Aynat (e ci domandiamo a nostra volta), gli ebrei ungheresi attesero così tanto per divulgare un documento di tale importanza per la loro stessa comunità?
In conclusione, quindi, non solo la contrapposizione Roncalli “buono”-Pio XII “cattivo” – montata da storici grossier come Melloni – è completamente fasulla ma l’accusa ebraica contro il Papa di aver snobbato i Protocolli di Auschwitz può essere tranquillamente rispedita al mittente.
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