Di Adam Liptak, 23 Aprile 2008[1]
Gli Stati Uniti sono abitati da meno del 5% della popolazione del pianeta. Ma vi si trova quasi un quarto della popolazione carceraria del mondo intero.
In realtà, gli Stati Uniti guidano il pianeta nel produrre carcerati, a causa dell’approccio americano – relativamente recente e ora assolutamente peculiare – al crimine e alla repressione. Gli americani vengono messi in carcere per reati, dall’emissione di assegni a vuoto all’utilizzo di droghe, che raramente portano in carcere in altri paesi. E, soprattutto, sono tenuti in carcere molto più a lungo che in altri paesi.
I criminologi e gli studiosi del diritto di altre nazioni industrializzate dicono di essere disorientati e inorriditi dal numero e dalla durata delle sentenze americane che prevedono il carcere.
Gli Stati Uniti hanno – innanzitutto – 2.3 milioni di condannati dietro le sbarre: più di ogni altra nazione, secondo i dati dell’International Center for Prison Studies [ICPS] del King’s College di Londra.
La Cina, che è quattro volte più popolosa degli Stati Uniti, segue a distanza al secondo posto, con 1.6 milioni di persone in prigione (questa cifra non comprende le centinaia di migliaia di persone trattenute in detenzione amministrativa, la maggior parte delle quali nel sistema extra-giudiziario cinese di rieducazione mediante lavoro, che spesso colpisce attivisti politici che non hanno commesso reati).
San Marino, con una popolazione di circa 30.000 persone, è in coda al lungo elenco di 218 paesi compilato dall’ICPS. Ha un solo carcerato.
Gli Stati Uniti figurano parimenti al primo posto in un altro elenco, più significativo, compilato dall’ICPS: quello relativo alle percentuali di carcerazione. Hanno 751 persone in prigione ogni 100.000 abitanti (un americano su cento sta in prigione, contando solo gli adulti).
La sola altra nazione, tra quelle più industrializzate, che si avvicina [agli Stati Uniti] è la Russia, con 627 carcerati ogni 100.000 persone. Le altre hanno percentuali molto più basse. La percentuale dell’Inghilterra è di 151 [persone]; quella della Germania è di 88; quella del Giappone è di 63.
La percentuale media tra tutte le nazioni è di circa 125, grosso modo un sesto della percentuale americana.
Vi sono pochi dubbi sul fatto che l’alta percentuale di carcerazioni abbia fatto diminuire il crimine, sebbene si discuta sull’entità [di tale influenza].
I criminologi e gli studiosi di diritto, in America e all’estero, indicano un groviglio di fattori per spiegare la straordinaria percentuale di carcerazioni dell’America: una percentuale maggiore di crimini violenti, leggi più dure, un retaggio di agitazioni razziali, una particolare dedizione nel combattere droghe illegali, il carattere americano, e la mancanza di una rete di sicurezza sociale. Anche la democrazia esercita un’influenza, poiché i giudici – molti dei quali vengono eletti [dal popolo] (un’altra anomalia americana) – cedono alle pressioni populiste in favore di una giustizia dura.
Qualunque sia la ragione, la distanza tra la giustizia americana e quella del resto del mondo è enorme ed è in crescita.
Un tempo gli europei venivano negli Stati Uniti per studiare il suo sistema carcerario. Ne rimanevano impressionati.
“In nessun paese la giustizia penale viene amministrata con più mitezza che negli Stati Uniti”, scriveva Alexis de Tocqueville – che aveva girato i penitenziari americani – nel 1831.
Non è più così.
“Lungi dal fungere da modello per il resto del mondo, l’America contemporanea è vista con orrore”, ha scritto l’anno scorso James Whitman, specialista in diritto comparativo a Yale, sulla rivista Social Research. “Certamente non vi sono governi europei che inviano delegazioni per imparare da noi come gestire le prigioni”.
Le sentenze in America sono diventate “molto più dure di quelle di ogni altro paese cui l’America verrebbe ordinariamente paragonata”, ha scritto Michael Tonry, eminente autorità in fatto di politiche repressive, nel The Handbook of Crime and Punishment [Manuale dei Delitti e delle Pene].
In realtà, ha detto Vivianne Stern, ricercatrice dell’ICPS, la percentuale americana di incarcerazioni ha fatto degli Stati Uniti “uno stato canaglia, un paese che ha deciso di non seguire il normale approccio occidentale”.
Il boom di carcerazioni in America è molto recente. Dal 1925 al 1975, il tasso è rimasto stabile: circa 110 persone su 100.000 abitanti. E’ cresciuto in fretta con la tendenza ad una repressione più dura alla fine degli anni ’70 (Nella precedente statistica non sono comprese le persone detenute in prigioni statali e locali, poiché un’informazione esaustiva su questi detenuti non è stata raccolta fino a poco tempo fa).
Il tasso relativamente alto di crimini violenti in America, causato in parte dalla disponibilità molto più alta – in questo paese – di armi da fuoco, aiuta a spiegare il numero di persone nelle prigioni americane.
“Il tasso di aggressioni a New York e a Londra non è molto differente, ha detto Marc Mauer, direttore esecutivo del Sentencing Project, un think-tank americano. “Ma se si guarda al tasso di omicidi, in particolare con armi da fuoco, [in America] è molto più alto”.
Nonostante una sua recente diminuzione, il tasso di omicidi degli Stati Uniti è ancora circa quattro volte più alto di quello di molte nazioni dell’Europa occidentale.
Ma questa è solo una spiegazione parziale. Gli Stati Uniti, in realtà, hanno un tasso relativamente basso di crimini non violenti. Il tasso di furti e di furti con scasso è più basso che in Australia, Canada e Inghilterra.
Le persone che commettono crimini non violenti nel resto del mondo hanno minori possibilità di finire in prigione ed è certamente assai poco probabile che ricevano condanne molto lunghe. Gli Stati Uniti sono, ad esempio, il solo paese avanzato che incarcera persone per crimini minori, come l’emissione di assegni a vuoto, ha scritto Whitman.
Anche gli sforzi per combattere le droghe illegali hanno un ruolo importante per spiegare le lunghe pene detentive negli Stati Uniti. Nel 1980, c’erano circa 40.000 persone in prigione negli Stati Uniti per reati di droga. Oggi, ve ne sono circa 500.000.
Queste cifre hanno suscitato disprezzo da parte dei critici europei. “Gli Stati Uniti perseguono la guerra alla droga con rozzo fanatismo”, ha detto Vivianne Stern, dell’ICPS.
Molti procuratori americani, d’altro lato, dicono che incarcerare le persone coinvolte nel traffico di droga è essenziale, perché aiuta a contrastare la richiesta di droghe illegali e diminuisce altri tipi di reati. Il procuratore generale Michael Mukasey, ad esempio, ha lottato duro per impedire la liberazione anticipata di persone detenute nelle prigioni federali per reati di crack, dicendo che molti di esse sono “tra i criminali più pericolosi e violenti”.
Ancora, è la lunghezza delle condanne che distingue davvero la politica carceraria americana. In realtà, il semplice numero delle condanne comminate in questo paese non collocherebbe gli Stati Uniti al vertice delle classifiche sulle carcerazioni. Se le classifiche venissero compilate in base al numero di ingressi in carcere, diversi paesi europei supererebbero gli Stati Uniti. Ma la permanenza nelle prigioni americane è molto più lunga, e così il tasso complessivo è più alto.
I rapinatori, negli Stati Uniti, scontano una media di 16 mesi di prigione, secondo Mauer, rispetto ai 5 mesi del Canada e ai 7 dell’Inghilterra.
Molti specialisti scartano quello razziale come un fattore distintivo importante del tasso di carcerazioni in America. E’ vero che i neri finiscono in carcere molto più di altri gruppi degli Stati Uniti, ma questo non è un fenomeno particolarmente caratteristico. Anche in Canada, Inghilterra e Australia le minoranze sono presenti in modo sproporzionato nelle prigioni di quelle nazioni, e le percentuali sono simili o più alte di quelle degli Stati Uniti.
Alcuni studiosi hanno scoperto che le nazioni di lingua inglese hanno percentuali più alte di persone in prigione.
“Sebbene non sia affatto chiaro qual è il fattore, nella cultura anglosassone, che rende i paesi di lingua inglese particolarmente punitivi, essi lo sono”, ha scritto lo scorso anno Tonry in Crime, Punishment and Politics in Comparative Perspective [Delitti, pene e politica in una prospettiva comparativa].
“Potrebbe essere in relazione con economie che sono più capitalistiche e con culture politiche meno socialdemocratiche di quelle della maggior parte dei paesi europei”, ha scritto Tonry. “O potrebbe avere a che fare con le religioni protestanti con forti connotati calvinisti che sono state a lungo influenti”.
Esercita un ruolo anche il carattere nazionale americano, che ha fiducia di sé, è indipendente, e pronto a dare giudizi.
“L’America è un luogo relativamente duro, che dà molta importanza alla responsabilità individuale”, ha scritto Whitman. “Questo atteggiamento è emerso nell’amministrazione americana della giustizia degli ultimi 30 anni”.
I paesi di lingua francese hanno al contrario “una politica giudiziaria relativamente mite”, ha scritto Tonry.
Naturalmente, la politica giudiziaria all’interno degli Stati Uniti non è monolitica, e i paragoni con le altre nazioni possono essere ingannevoli.
“Il Minnesota è più paragonabile alla Svezia che al Texas”, ha detto Mauer, del Sentencing Project (La Svezia incarcera circa 80 persone ogni 100.000 abitanti; il Minnesota, circa 300; e il Texas, quasi mille. Il Maine ha il tasso più basso di carcerazioni degli Stati Uniti, con 273; e la Louisiana il più alto, con 1.138).
Qualunque siano le ragioni, non è in discussione che l’eccezionale tasso di carcerazioni dell’America abbia avuto effetto sul crimine.
“Come ci si potrebbe aspettare, si può star sicuri che un numero minore di americani è fatto oggetto di soprusi grazie ad una politica giudiziaria più dura”, ha scritto Paul Cassel (che è un’autorità in fatto di condanne ed è un ex giudice federale) nella Stanford Law Review.
Dal 1981 al 1996, secondo le statistiche del Ministero della Giustizia, il rischio di subire condanne è salito negli Stati Uniti, ed è sceso in Inghilterra.
“Queste cifre”, ha scritto Cassel, “dovrebbero indurre a riflettere, prima di concludere troppo velocemente che le sentenze europee sono appropriate”.
Altri commentatori sono più drastici. “La semplice verità è che il carcere funziona”, hanno scritto Kent Scheidegger e Michael Rushford. “Imprigionare i criminali per periodi più lunghi riduce il tasso di criminalità. I benefici di questa politica compensano i costi”.
Tuttavia c’è un esempio contrario più a Nord. “Le oscillazioni del tasso di criminalità in Canada sono strettamente analoghe a quelle degli Stati Uniti da 40 anni”, ha scritto Tonry l’anno scorso. “Ma il tasso di carcerazione è rimasto stabile”.
Diversi specialisti in America e all’estero forniscono una sorprendente spiegazione per l’alto tasso di carcerazioni della democrazia americana.
La maggior parte dei giudici e dei pubblici ministeri degli Stati Uniti vengono eletti [dal popolo] e sono perciò più sensibili ad un’opinione pubblica che è, secondo i sondaggi, generalmente favorevole ad una politica giudiziaria dura. Nel resto del mondo, i professionisti della giustizia tendono ad essere pubblici dipendenti che sono separati dalla richiesta popolare di condanne pesanti.
A Whitman, che ha studiato l’opera di Tocqueville sui penitenziari americani, è stato chiesto come si spiega il boom della popolazione carceraria in America.
“Sfortunatamente, una gran parte della risposta risiede in quella democrazia di cui parlava Tocqueville”, ha detto. “Abbiamo un sistema giudiziario altamente politicizzato”.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.iht.com/articles/2008/04/23/america/23prison.php
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