Uno storico articolo di Israel Shahak sulla tragedia palestinese

Uno storico articolo di Israel Shahak sulla tragedia palestinese

L’ACCORDO DI OSLO FA DELL’OLP LO SCAGNOZZO DI ISRAELE

Di Israel Shahak (1993)[1]

L’accordo di Oslo tra Israele e l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) deve essere compreso alla luce del contesto dei 26 anni e più di occupazione israeliana dei territori [palestinesi]. L’occupazione può essere divisa in due periodi, prima e dopo lo scoppio dell’intifada nel Dicembre 1987.

Il primo periodo fu il tempo della “facile conquista”, quando Israele impiegò nei territori una media di 10.000-15.000 militari. Tuttavia, durante l’apice dell’intifada, alla metà del 1988, il numero delle truppe era di 180.000 unità.

Quest’anno, nelle prime settimane dopo la chiusura dei territori nella primavera del 1993, era di circa 100.000 unità. Poiché molto del lavoro di routine della pubblica amministrazione che veniva svolto in passato da impiegati palestinesi viene svolto ora da funzionari [israeliani] militari e civili, tale impegno risulta anch’esso gravoso per il governo israeliano.

Altrettanto importanti sono due ulteriori cambiamenti provocati dall’intifada, e che intaccano la capacità di Israele di governare facilmente i territori. Prima dell’intifada, il primo episodio di resistenza che dilagò in tutta la società palestinese dei territori avvenne nel 1969 come protesta contro il rogo della moschea di Al-Aqsa. Tutte le altre proteste ebbero un carattere limitato sia dal punto di vista geografico che sociale. Molte di tali proteste rimasero confinate nei campi profughi della Striscia di Gaza. Appelli allo sciopero o altre forme di protesta non furono molto seguiti. Molti villagi, che le autorità israeliane descrivevano come “leali”, non parteciparono mai ad alcuna forma di protesta prima dell’inizio dell’intifada.

Perciò, prima dell’intifada, gli ebrei israeliani godettero della libertà di movimento all’interno dei territori. Questa libertà si estendeva anche ai campi profughi della Striscia di Gaza, dove nessun israeliano ora si avventurerebbe senza essere accompagnato da guide palestinesi. Il lancio di pietre era raro e praticamente sconosciuto nella maggior parte dei villaggi. E’ difficile ricordarlo ora, ma prima dell’intifada, i riservisti israeliani festeggiavano frequentemente la fine del servizio militare nella Striscia di Gaza offrendo un party in un ristorante cittadino o perfino in un campo profughi.

Prima dell’intifada, Israele poteva trovare dei palestinesi disponibili a collaborare al suo servizio al governo dei territori. Tali collaboratori erano pubblicamente conosciuti per i loro buoni rapporti con le autorità israeliane. Essi venivano utilizzati da altri palestinesi per ottenere favori. In cambio, essi usavano la propria influenza politica e sociale a vantaggio di Israele. Tale metodo funzionò nel modo migliore al tempo di Moshe Dayan, dal 1967 al 1974, quando i cosiddetti “notabili”, queste figure influenti nella società palestinese anche prima della conquista [israeliana], esercitavano tale ruolo.

Tra il 1981 e il 1983, Ariel Sharon demolì il potere dei notabili e cercò di sostituirli con le sue “Leghe di Villaggio”, spesso composte dalla feccia della società. Dopo l’inizio dell’intifada, tuttavia, questo metodo fallì. Israele doveva assumersi il compito di governare i palestinesi a ogni livello utilizzando i propri uomini. Questa forma di governo diretto era molto meno efficiente e, nello stesso tempo, più corrotta e gravosa. L’establishment israeliano non è riuscito, per qualche tempo, a ripristinare il vecchio metodo di governo indiretto, specialmente nella Striscia di Gaza, alle condizioni di un tempo.

Questo è il vero significato dell’accordo di Oslo, così come viene inteso da Israele. L’OLP, o piuttosto la parte di Fatah totalmente leale a Yasser Arafat, è stata designata a esercitare il ruolo svolto dai notabili sotto Dayan, e dalle “Leghe di Villaggio” sotto Sharon, ma in modo più efficiente. Tale fazione verrà ricompensata da molto denaro, da un livello di prestigio molto più elevato di quello goduto dai notabili, e da qualche vaga concessione verbale che condurrà ad ulteriori situazioni di stallo nei negoziati. Nessuno dei due contraenti dell’accordo intende applicarlo per come appare.

Il punto cruciale, vale a dire il fatto che ai palestinesi vengono assegnati solo poteri strettamente limitati, allo scopo di esercitarli in favore di Israele, viene utilizzato come argomento per influenzare l’opinione pubblica israeliana a favore dell’accordo. Per questa ragione Rabin lo ripete spesso.

In una di queste spiegazioni, citata nel numero di Yediot Ahronot del 7 Settembre, Rabin ha affermato:

“Le quattro questioni cruciali attorno alle quali i negoziati con i palestinesi hanno ruotato sono: Gerusalemme unita, il destino delle colonie, il riposizionamento dell’esercito israeliano, e il rafforzamento della sicurezza interna nella Striscia di Gaza”.

Egli si è quindi vantato della propria vittoria in ciascuna di queste trattative: “L’intera Gerusalemme unita rimarrà fuori dall’autonomia. Noi stessi abbiamo ottenuto questa concessione dai palestinesi – da quelli con cui si dovrebbero fare tali accordi – senza nessuna promessa americana come negli accordi di Camp David. Le colonie ebraiche saranno poste sotto l’esclusiva giurisdizione israeliana; il Consiglio per l’Autonomia non avrà voce in capitolo su di esse. Le forze dell’esercito israeliano saranno riposizionate in luoghi stabiliti solo da noi, a differenza degli accordi di Camp David, che prevedevano un ritiro delle forze israeliane. Nell’accordo che abbiamo raggiunto non consentiremo di utilizzare la formula “ritiro delle forze dell’esercito israeliano”, tranne nel caso della Striscia di Gaza. In tutti gli altri casi il solo termine utilizzato è “riposizionamento”.

Discutendo innanzitutto la questione della Striscia di Gaza e di Gerico, Rabin ha detto: “Preferisco che i palestinesi affrontino il problema di rafforzare l’ordine nella Striscia di Gaza. I palestinesi lo faranno meglio di noi perché non permetteranno appelli alla Corte Suprema e impediranno all’Associazione [israeliana] per i Diritti Umani di criticare le condizioni [di vita] negandole l’accesso all’area. Governeranno con i loro metodi, esonerando – questo è il punto più importante – i soldati dell’esercito israeliano dal dover fare quello che saranno loro a fare.”
“Tutte le colonie della Striscia di Gaza rimarranno dove sono. L’esercito israeliano rimarrà a Gaza a difenderle e a sorvegliare tutte le linee di frontiera. Controllerà anche il fiume Giordano per tutto il suo percorso e tutti i suoi ponti.”

Ma se Arafat e i suoi accoliti sperano davvero che, in cambio della disponibilità ad eseguire in modo efficiente il compito che Rabin ha assegnato loro, essi saranno trattati come governanti di uno stato sovrano, illudono se stessi e il proprio popolo. Su questo punto, si possono citare le innumerevoli dichiarazioni di Rabin, Peres e altri leader israeliani riguardo al fatto che Israele non permetterà mai la formazione di uno stato palestinese, ma solo di un’”entità” che non avrà alcuna prerogativa sovrana.

La condizione esplicita che “la polizia palestinese non avrà il potere di arrestare nessun cittadino israeliano” in nessuna parte dell’area interessata dall’autonomia, sarà sempre un segno visibile dell’inferiorità dei poteri “autonomi”,rispetto a quelli di uno stato designato come sovrano. La polizia di Arafat non avrà tali poteri. Come ha detto il commentatore israeliano Uzi Benziman in Haaretz del 3 Settembre, “Se Arafat vuole chiamare l’entità che emergerà uno “stato” sono affari suoi”, ma non sarà uno stato.

Un altro dei vantaggi che Israele avrà dall’accordo di Oslo viene lucidamente spiegato da Danny Rubinstein, anch’esso in Haaretz dell’8 Settembre. Egli indica il fatto che alle condizioni attuali le autorità israeliane sono responsabili, almeno formalmente, delle condizioni di vita e del benessere della popolazione dei territori. Esse si devono preoccupare della crescita della popolazione che è “una delle più grandi del mondo” e che è aumentata anche di più a causa “dell’influenza dell’intifada e della recente chiusura, che limita la libertà di movimento degli abitanti”.

Una volta che i territori saranno separati da Israele, tali questioni non susciteranno più preoccupazione. Secondo l’opinione di Rubinstein – con la quale concordo – la separazione è già avvenuta con l’imposizione della chiusura che, si può presumere, continuerà sotto il regime di autonomia.

“Naturalmente, Israele deve fare ogni sforzo per procurare il massimo aiuto internazionale per la Striscia di Gaza e per le altre zone autonome in modo da sradicare la povertà, la disoccupazione, e lo scoraggiamento”, scrive Rubinstein. “Altrimenti, i disordini saranno inevitabili, con delle esplosioni destinate a colpire la sicurezza di Israele.”

Ecco perché Israele è preparata a permettere a qualcuno dei“palestinesi che desiderano di stabilirsi nei territori autonomi piuttosto che in ogni altro paese arabo” di agire in tal senso, poiché “i loro problemi saranno soltanto i loro: da risolvere da loro stessi o dal Consiglio palestinese che deve essere costituito nei territori”, scrive Rubinstein.

Lo scopo più profondo dell’accordo è quello di creare un regime di apartheid in cui il Consiglio per l’Autonomia dei territori, rimanendo sotto la sovranità israeliana, solleverà di fatto Israele da ogni dovere nei riguardi della popolazione. L’efficienza di questo regime di apartheid sarà assicurata dall’OLP, da un lato, e dall’aiuto finanziario internazionale dall’altro.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.washington-report.org/backissues/1193/9311007g.htm

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