La questione giudaica in Ungheria è antica da circa tre quarti di secolo e non ha nessuna connessione, né di principi, né di procedimenti con il recente antisemitismo razzista del Nazionalsocialismo e neanche con gli antisemitismi di altre nazioni.
Ciascuna nazione provvede alla sua conservazione, difendendosi da elementi perturbatori, secondo lo spirito delle proprie tradizioni, o anche, purtroppo, come nella Germania d’oggi, secondo ideologie inalberate a vessillo di raccolta e risorgimento nazionale. La nazione Magiara ha tradizioni millenarie fondamentalmente cristiane e insieme cavalleresche e leali, mantenutesi vive sino ad oggi, risorte a nuovo rivoglio segnatamente dopo la grande guerra ed il cataclisma giudaico-bolscevico, fortunatamente breve, del 1919, e manifestatesi con magnifica vitalità nel Congresso Eucaristico Internazionale di Budapest, come abbiamo sommariamente esposto nel nostro periodico (18 Giugno, 1938, II, 481).
L’Ungheria è tuttora una Monarchia cattolica, decorata del titolo di “Apostolica”, sin da quando il Papa Silvestro II nell’anno mille, diede a S. Stefano, oltre il titolo di Re, il titolo di “Apostolo”, la “Santa Corona” e la Croce simile a quella dei Legati. Nessuno dei Re ha piena autorità se non è coronato con la “Santa Corona”, anzi non conta nella lista dei Re di Ungheria, come Giuseppe II, che non fu coronato. Ed al presente, il capo dello Stato è semplicemente “Reggente”. La “Santa Corona” non è un emblema, è la monarchia stessa; non appartiene a chi è stato con essa coronato, ma al popolo: essa è il palladio sacro della nazione ungherese ed aspetta il monarca, sulla cui testa potrà essere imposta dall’Arcivescovo di Strigonia, Primate di Ungheria.
Inoltre l’Ungheria è stata il baluardo della Cristianità contro la invasione turca per 355 anni (1363-1718) e benché a un certo tempo fu quasi del tutto oppressa sotto il giogo ottomano, riusciì a liberarsene, e con sé l’Europa cristiana.
“L’Ungheria ha rappresentato sempre – dichiarava nel 1930 il prof. Giacinto Viola dell’Università di Bologna, – la lotta della luce contro le tenebre. Nel compito immenso che essa si è addossato, l’Europa non sempre ha compreso la sua grande missione nella storia della civiltà occidentale e l’ha spesso lasciata sola. Donde ha tratto il popolo magiaro, un pugno di pochi milioni, l’immensa forza di resistenza per salvarsi pur sempre, isola perduta in mezzo all’oceano tempestoso del panslavismo? Il segreto della salvezza dell’Ungheria, della sua resistenza, sta nei suoi valori ideali. Mai la storia di alcun popolo ha dimostrato come la forza degli ideali valga assai più che la forza degli eserciti, come le forze spirituali superino di gran lunga le forze fisiche”.
E quali sono questi ideali e queste forze spirituali? Il Viola li addita nella sua fiamma religiosa e cavalleresca: “L’Ungheria, per 150 anni di dominazione turca, ha vissuto solo perché ha voluto vivere. Ogniqualvolta, nella storia, si è abbattuta, crivellata di ferite, mutilata, esangue, si è disperatamente riafferrata alla religione, agli eroi della sua storia, ai suoi santi, alla immensa fiamma di civiltà, di aspirazione alle forme superiori di vita, ed è risorta ed ha riedificato lo Stato, ha ricostruito i suoi grandiosi monumenti, nei quali si sente come espressa in forma di arte la grandiosità della sua anima”.[1]
Queste nobili parole del moderno professore sono una eco inconsapevole di altre nobili parole del grande luminare della Storia Ecclesiastica, il Cardinal Baronio, il quale fece questo splendido elogio della nazione magiara: “Tratta, da una forza miracolosa, dal suo antico nido nascosto in fondo all’Asia, questa nazione ha obbedito ad una potenza superiore, che l’ha scelta, guidata, innalzata, e ne ha fatto la più solida e incrollabile fortezza della Cristianità. Erano nati eroi quei guerrieri, che ad un valore terribile accoppiavano una pietà edificante, riportarono vittorie che hanno del miracoloso e, per parecchi secoli, sostennero e protessero i popoli cristiani”.[2]
Una delle tradizioni singolari della nazione magiara è la cavalleresca liberalità verso gli stranieri. Il santo Re Stefano fu il primo a chiamare degli stranieri in Ungheria. Oltre i religiosi che avevano convertito il paese al Cristianesimo, egli fece venire artisti per edificare chiese, coltivatori, artigiani, assicurando loro libertà di conservare i loro costumi ed inviolabilità, non chiedendo loro altro che l’osservanza delle leggi del Regno ed un’imposta per le terre loro concesse. Agli immigrati è dato il titolo di hospites, sacro per i magiari. Quando conquistarono i paesi vicini, Boemia, Polonia, Bulgaria, Bosnia, Moldavia, Valachia, ecc. non imposero loro né i loro costumi né la loro lingua, ma solo li spinsero a convertirsi al Cristianesimo.
S. Stefano, pur amando la sua patria e la sua nazione, voleva che essa profittasse di quanto di buono potevano recarle gli stranieri ed i coloni, tenendo un principio singolare, che farà stupire i moderni nazionalisti ad oltranza: unius linguae, uniusque moris regnum imbecille et fragile est, come egli dice in uno dei consigli al figlio Emerico, che giova riportare per disteso: “Gli ospiti e gli stranieri devono occupare un posto nel tuo regno. Accoglili bene e accetta i lavori e le armi che possono recarti; non aver paura delle novità; esse possono servire alla grandezza e alla gloria della tua corte. Lascia agli stranieri la loro lingua e le loro abitudini, giacchè il regno che possiede una sola lingua e da per tutto i medesimi costumi è debole e caduco. Non mancare giammai di equità né di bontà verso coloro che sono venuti a stabilirsi qui, trattali con benevolenza, affinché essi si trovino meglio presso di te che in qualsiasi altro paese”.
Questi principii, male intesi e male applicati, segnatamente rispetto ai giudei, sono stati fonte di guai per l’Ungheria. Il liberalissimo e cavalleresco Santo Re dà bensì agli stranieri il titolo di ospiti, ma non quello di cittadini, né molto meno quello di padroni…
Ora i giudei, immigrati in Ungheria in più gran numero durante il periodo dei governi liberali, 1860-1914, vi sono divenuti non solo ospiti, ma cittadini (che hanno anche la loro rappresentanza nel Senato) e padroni. Essi sono circa 444 mila, cioè il 5 per cento di tutta la popolazione di nove milioni; e nondimeno, come è stato pubblicato di recente, essi hanno un’altissima percentuale nei posti e nelle professioni dominanti. Nella capitale, Budapest, di poco più di un milione di abitanti, essi sono circa 230 mila, cioè circa un quinto, e naturalmente vi esercitano di più la loro prevalenza.
Riportiamo dai giornali le statistiche del loro predominio in tutta l’Ungheria:
“Secondo le statistiche più recenti (quelle del 1930) il 15.4% dei proprietari fondiari sono ebrei come pure sono ebrei un terzo dei proprietari di miniere e di fonderie, mentre il 33.3% degli impiegati di queste industrie sono ebrei. Naturalmente gli operai ebrei in esse occupati sono soltanto il 0.1%. Per quanto riguarda l’industria in generale ed il commercio l’11% degli imprenditori, un terzo della classe dirigente e un ottavo degli impiegati sono ebrei e l’industria alberghiera è per un quinto nelle loro mani. Particolarmente rilevante è la posizione degli ebrei nel commercio. Su 83.671 commercianti 38.072 sono ebrei; inoltre il 52.7% degli impiegati commerciali hanno posti direttivi ed il 30.3% di quelli d’ordine inferiore.
Ma dove gli ebrei occupano veramente una posizione di privilegio è nelle Banche e negli Istituti di credito. Su 324 Banche ed Istituti di credito 223 sono nelle mani di ebrei, e circa il 40% degli impiegati sono tali. Non solo, ma i 20 più potenti capitalisti finanziari ebrei occupano ben 249 posti nei Consigli amministrativi dei vari Istituti di credito, sicché è facile comprendere quanto sia rilevante l’influenza ed il potere del capitale ebreo in Ungheria, e conseguentemente difficile la soluzione della questione ebrea nello stesso paese.
Non parliamo, poi, della percentuale ebrea di medici, ingegneri, avvocati e farmacisti.
Soltanto nella città di Budapest sono ebrei: il 47% degli avvocati, il 62% dei veterinari, il 37% dei farmacisti, il 40% degli ingegneri. Anche la stampa ha una grande percentuale di ebrei: il 36% dei giornalisti sono ebrei e nella città di Budapest il 67%. Ebrei sono 14 dei 18 quotidiani e 5 dei 6 settimanali; delle 263 tipografie 163 sono ebree e delle 271 librerie 198, mentre su 6 Case Editrici 4 sono ebree (Athenaeum – Franklin – Singer e Wolfner).”
Ma vi ha, purtroppo, un altro loro predominio, funesto per la vita religiosa, morale e sociale del popolo ungherese, ed è che tutti o quasi i giudei del ceto intellettuale e dirigente non sono credenti, ma liberi pensatori, o rivoluzionari, o massoni e organizzatori della massoneria: anticristiani nella vita morale e nella vita intellettuale; capitalisti nella vita economica sono poi socialisti o filosocialisti nella vita sociale, mantenendo intese con i sindacati socialisti e con i loro capi; in una parola, la loro legge di vita (e cioè la loro legge morale pratica) è il successo nel mondo per qualsiasi mezzo.
La denatalità fra essi (frutto del basso livello morale) è tale, che vanno diminuendo sensibilmente, ed in una quarantina d’anni, come prevede un sociologo, i giudei d’Ungheria (dove ora è loro vietata l’immigrazione) saranno ridotti alla metà. Secondo le statistiche del 1929, date dall’autore (giudeo) dell’articolo Ebrei nell’Enciclopedia Italiana (XIII, p. 328) i giudei erano in Ungheria 520 mila, ora ridotti a 444 mila; è questa una forte diminuzione, anche se si supponga la metà per emigrazione.
In ogni modo, sino ad ora i giudei sono stati i padroni dell’Ungheria, come si rileva dalle statistiche sopra riportate. Nella presente ondata antisemita sono diventati meno pretensiosi e corrono ai ripari con mostra di moderazione. Un esempio: un giornale giudaico, Az Est (La Sera) che ha una tiratura quotidiana di 300 mila copie, da anticlericale è divenuto conservatore e perfino filocattolico, lodando il Papa ed il Cardinale Faulhaber nel loro atteggiamento verso il neopaganesimo razzista. E’ chiaro che i cattolici ungheresi non gradiscono tali alleati della Chiesa.
Un Padre gesuita, predicatore, conferenziere e scrittore, aveva dato intorno alla questione giudaica in Unhgeria, su un giornale di destra, una “intervista”, che ebbe non poca risonanza. Il direttore, giudeo, di una rivista letteraria distruttiva della religione e della morale, chiese di poter parlare al detto Padre, chiedendogli una “rettificazione”. Il Padre, naturalmente, si negò, e cercò in tre ore di discussione di illuminare il suo interlocutore, che si professava ateo, e ad ogni argomento opponeva: “sono questioni metafisiche; non possiamo intenderci”. Con fermezza e lealtà, il Padre gli dichiarò: “non desisterò dal combattervi sino a quando non avrò spezzato la vostra penna funesta!” Da allora la rivista si è fatto come un pregio di riportare le conferenze di quel Padre, talora quasi alla lettera, specialmente quando egli parla della carità…
I giudei, in Ungheria, non sono organizzati tra loro per una azione comune sistematica: basta loro la solidarietà istintiva e insopprimibile della loro nazione per fare causa comune nell’attuare il loro messianismo agognante al dominio della terra ed al possesso dei beni temporali.
Ad un giudeo commerciante di Vienna, lo stesso Padre, entrato in discorso sull’antisemitismo e le sue ragioni nel popolo ungherese, fece la dimostrazione storica della nefasta prevalenza giudaica nella rivoluzione del 1919, che commise tanti delitti e tanti latrocinii: dei 32 commissari del popolo, 27 erano giudei, con a capo Béla Kun. – Io sono un giudeo onesto, contrario a ogni disordine, replicò il commerciante. – Ebbene, riprese il Padre, voi giudei onesti siete nondimeno solidali con i rivoluzionari; tra noi cattolici avviene il contrario, noi non siamo mai dalla parte di quei cattolici che traviano, noi li combattiamo risolutamente; voi invece vi sentite solidali con i vostri correligionarii in qualsiasi caso. Il giudeo commerciante chinò il capo in un breve silenzio, e confessò: Padre, avete ragione, però, Padre, das ist bei uns eine Herzenssache! (è per noi una questione di cuore!).
Simili confessioni non sono rare, quando con lealtà magiara si oppone ai giudei la verità. Il medesimo Padre in una conferenza a giovani studenti di una Scuola Normale, cattolici, protestanti e giudei, sulla concezione della vita, espose, naturalmente la concezione cattolica, e toccando dell’antisemitismo, dichiarò francamente: come Sacerdote e come ungherese io sono “antisemita” non per ragioni di razza o di religione, ma perché i giudei non sono veri giudei: essi hanno rigettato Cristo, il fiore della loro nazione e dell’umanità intera; essi hanno rigettato la Torah e il Vecchio Testamento, che preannunziano e preparano Cristo; essi pertanto sono i negatori del vero giudaismo, i veri nemici di se stessi e del mondo: dobbiamo perciò combatterli, come si combatte l’errore e la distruzione. A queste parole si alzò uno studente, pallido in volto, e disse: Padre, io sono giudeo, e vi ringrazio di questa vostra franca dichiarazione: non avevo mai udito siffatta spiegazione dell’antisemitismo e vi confesso che avete ragione.
L’antisemitismo dei cattolici ungheresi non è perciò né l’antisemitismo volgare fanatico, né l’antisemitismo razzista, è un movimento dei difesa delle tradizioni nazionali e della vera libertà e indipendenza del popolo magiaro. Nel “Programma ungherese per il movimento sociale”, propugnato dall’Azione Cattolica (nella quale sono organizzati 250 mila uomini) il IX punto, sulla “soluzione della questione giudaica secondo gli interessi della nazione ungherese”, dice: “I giudei, che non hanno accettata sinora la concezione ideale storica della nazione ungherese, non hanno il diritto di influire sulla vita intellettuale del paese, né nella stampa, né nella letteratura, né nella vita artistica. Questo medesimo principio deve essere applicato contro tutti quegli ungheresi che solidarizzano con i giudei. Dobbiamo spezzare il liberalismo distruttore della nostra vita economica, mediante il sistema corporativo, che sottoporrà il capitale all’interesse generale della nazione. Noi esigiamo dal Governo l’interdizione dell’entrata degli stranieri (giudei) nel paese, perché non possiamo ricevere altri mentre i nostri compatrioti non hanno di che mangiare. Esigiamo inoltre che vengano allontanati tutti quelli che sono entrati senza permissione (giudei riusciti ad entrare per favoreggiamenti illeciti) e la punizione di quei funzionari che li hanno aiutati contro le leggi”.
Si vuole, insomma, la difesa della nazione, contro il pericolo presente di una più numerosa invasione giudaica dalla Germania, dall’Austria, e dalla Romania, e contro il liberalismo favoreggiatore del giudaismo e del suo nefasto predominio, senza persecuzioni, ma con mezzi energici ed efficaci.
Sinora l’unica legge di difesa è stata quella del numerus clausus, sancita nel 1922, onde è vietato ai giudei l’ingresso alle Università oltre il numero corrispondente alla loro percentuale del 5 % della popolazione.
Si è preparata intanto una legge, che stabilisce un numerus clausus nella vita economica, ed un’altra più particolare sulla stampa, onde i giudei non potranno avere oltre il 20% di rappresentanti nelle professioni, nelle banche, nell’industria, nel commercio, nei giornali, ecc. insomma nella vita economica, intellettuale e morale della nazione. Questo numero non è, a dir vero, tanto ristretto in relazione al 5% dei giudei in tutta la popolazione; ma per ora si vuol procedere a gradi, senza persecuzioni, favorendo possibilmente l’esodo pacifico dei giudei dall’Ungheria, che essi hanno “malmenata”, ed attuando, rispetto ad essi, l’augurio di Dante: “O beata Ungheria, se non si lascia – Più malmenare!” (Paradiso, 19, 142-143).
Non entriamo nei particolari di queste leggi proposte; notiamo solo, che esse sono ispirate alle nobili tradizioni magiare di cavalleresca e leale ospitalità, restringendosi solo al puro necessario, che molti anzi stimano non sufficiente.
Un particolare merita rilievo: la legge considera come giudei anche coloro che si sono battezzati dopo il 1 Agosto 1919, eccetto gli ex-combattenti. Quella data servirebbe ad ovviare alle conversioni non sincere ed interessate, come quelle che avvennero allora (se ne contano circa 16 mila) al tempo della reazione nazionale ungherese subito dopo la rivoluzione bolscevica e la caduta di Béla Kun. Questa disposizione non incontra l’approvazione di alcuni cattolici, perché sembrerebbe dover porre ostacolo a non poche conversioni sincere; altri rispondono, che, al contrario, gioverà a favorire la sincerità delle conversioni. Non crediamo di nostra competenza intervenire col nostro giudizio su tale questione. Essa potrà venire risolta conforme alle tradizioni cristiane e cavalleresche della nazione, la quale è ora sotto il governo di un uomo di qualità superiori, il Presidente dei Ministri Béla Imrédi, cattolico fervente ed insieme politico avveduto e di mano forte.
caro Andrea
il tuo blog e’ un pozzo di libera informazione , continua cosi’ !
buona Pasqua e che Dio ti benedica.
Alessandro