Di Anna Weekes, The Electronic Intifada, 12 Marzo 2008[1]
Quella che segue è un’intervista di Anna Weekes con Haidar Eid, professore associato nel Dipartimento di Letteratura Inglese dell’Università di Al-Aqsa, nella Striscia di Gaza.
Anna Weekes: Qual è la situazione corrente nella Striscia di Gaza?
Haidar Eid: Non si può parlare della situazione nel ghetto di Gaza senza sentirsi scoraggiati. Quello che sta accadendo qui è un lento genocidio che avviene davanti agli occhi di un mondo assai indifferente.
L’assedio di Gaza e la punizione collettiva illegale e continuativa dei suoi residenti da parte di Israele ha provocato l’aumento vertiginoso dei prezzi dei viveri. Molti generi alimentari, medicine e altri beni, come il materiale da costruzione, non sono più disponibili. Non ci sono più scorte disponibili per 91 farmaci. Gli ospedali denunciano la mancanza totale di farmaci pediatrici, di antibiotici, di farmaci per le malattie croniche, di farmaci anticancro, di una gamma di farmaci per la dialisi renale e per la soluzione di glucosio IV. Inoltre, c’è carenza di macchinari per la dialisi renale. C’è un aumento della diarrea tra i bambini e c’è la possibilità di insorgenze di febbri tifoidi e di epatiti se il blocco non viene tolto. E la chiusura dei valichi di confine ha provocato la morte di dozzine di palestinesi che avevano urgente bisogno di cure, inclusi alcuni malati terminali di cancro, cui è stato negato l’ingresso in Israele o in Egitto da parte dello Shin Bet [il servizio segreto israeliano]. E’ stato anche negato l’accesso a dozzine di altri malati negli ospedali di Israele, dell’Egitto, della Giordania e della Cisgiordania. Trentotto di loro, bambini inclusi, sono morti nelle ultime due settimane. Mille di questi malati stanno per morire!
Il carburante sta diventando raro e costoso. La chiusura delle fabbriche ha provocato la perdita di più di 80.000 posti di lavoro. Non c’è bisogno di dire che nel frattempo, le forze di occupazione israeliane continuano a bombardare e ad attaccare Gaza, uccidendo i palestinesi, principalmente bambini e civili, in modo indiscriminato.
AW: E’ ancora possibile la soluzione dei due stati?
HE: No. Permettetemi di ricordarvi la risoluzione adottata dal Convegno Mondiale Contro il Razzismo (WCAR) del Forum delle associazioni non-governative tenutosi a Durban, in Sud Africa, nel Settembre del 2001. Essa afferma chiaramente che “Israele [è] uno stato razzista e di apartheid, in cui il marchio dell’apartheid – in quanto crimine contro l’umanità – è stato caratterizzato da separazione e segregazione, espropriazione e accesso ristretto alla terra, snazionalizzazione, “bantustanizzazione”, e atti disumani”.
La costituzione di uno stato palestinese indipendente e sovrano all’interno dei confini del 1967 è impraticabile. Un sistema tipo Bantustan non garantisce una pace globale. Non l’ha garantita nel Sud Africa dell’apartheid. Ironicamente, perciò, quello cui gli accordi di Oslo (firmati nel 1993 fra Israele e l’OLP) hanno condotto è una situazione che non venne prevista dai firmatari [Nota del traduttore: in realtà almeno gli israeliani la previdero benissimo!], vale a dire l’impossibilità di costituire uno stato palestinese indipendente e sovrano sul 22% della Palestina storica. Israele ha già creato sul campo una nuova realtà annettendo Gerusalemme e dichiarandola capitale eterna dello stato ebraico. In tal modo non sarà la capitale di un futuro stato palestinese. Il numero dei coloni ebrei in Cisgiordania è aumentato fino a raggiungere la cifra di oltre mezzo milione. E il Muro dell’apartheid, costruito da Israele nella Cisgiordania, ha rubato tra il 20 e il 30% della Cisgiordania, portando a un aumento delle strade in Cisgiordania riservate ai soli ebrei.
La costituzione di uno stato palestinese indipendente e sovrano non è menzionata in nessuna delle clausole dell’accordo di Oslo. La definizione di questa questione venne affidata all’equilibrio delle forze nella regione. Quest’equilibrio è a favore di Israele.
In ogni caso, la costituzione di uno stato palestinese non risolverebbe la questione palestinese. Non affronterebbe [il problema dei] sei milioni di profughi dispersi in tutto il mondo; né affronterebbe la questione del razzismo esercitato da Israele contro il milione e 300 mila palestinesi che vivono in Israele e che vengono trattati come cittadini di terza classe.
AW: Quali mosse stanno facendo i palestinesi per perorare la causa di un solo stato?
HE: Un gruppo di attivisti palestinesi, di varia provenienza, si sono associati per promuovere la pace insieme alla giustizia in Medio Oriente attraverso la costituzione di un Gruppo a favore di uno Stato Democratico. Crediamo che la soluzione di un solo stato sia la sola scelta praticabile che garantisca la pace globale in Medio Oriente. Crediamo fortemente che la costituzione di uno stato democratico e secolare nella Palestina storica per tutti i suoi cittadini indipendentemente dalla religione, dalla razza o dal sesso – dopo il ritorno dei profughi palestinesi – sia la soluzione del conflitto in Medio Oriente. Questo è esattamente quello che è successo in Sud Africa e in Irlanda. Non l’esclusivismo basato sull’appartenenza etnico-religiosa. La costituzione di stati-nazione basati sull’etnia, la razza, o la religione è anacronistico.
Siamo anche attivi nella campagna, iniziata in Palestina, di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele. Queste misure, simili a quelle applicate contro il Sud Africa durante l’era dell’apartheid, sono necessarie per porre termine alla politica genocida di Israele verso i palestinesi. Crediamo che queste misure non violente debbano essere mantenute fino a che l’Israele dell’apartheid riconoscerà il diritto inalienabile dei palestinesi all’autodeterminazione e alla costituzione di uno stato democratico per tutti i cittadini.
AW: Dacci cortesemente il tuo punto di vista sulla riunione di Annapolis, negli Stati Uniti, rivolta a porre termine al “conflitto” israelo-palestinese.
HE: La riunione di Annapolis è stata una fanfara con cui il disgraziato presidente americano spera di finire il proprio mandato come “uomo della pace”! Come con Camp David, la colpa del fallimento di questa riunione viene attribuita ai palestinesi. Questa riunione non ha discusso i problemi più importanti che caratterizzano la questione palestinese; in particolare, il ritiro delle forze israeliane dentro i confini del 1967, il diritto di ritorno [per i profughi palestinesi], e lo status di Gerusalemme. Gli Stati Uniti hanno sempre mostrato una politica filo-israeliana a fronte dei diritti fondamentali del popolo palestinese.
Il punto di vista più pericoloso è stato quello del discorso di apertura di Bush, nel quale egli ha evidenziato il “carattere ebraico” dello stato di Israele. Ora tutto ciò è razzismo, come sapete bene voi in Sud Africa. Ci viene chiesto, anche dalla comunità internazionale, di dimenticare i sei milioni di profughi dispersi in tutto il mondo in seguito alla fondazione di Israele; e non vengono neppure menzionati i diritti del milione e 300 mila palestinesi “cittadini” dello stesso Israele. Secondo quest’impostazione, i palestinesi sono solo quelli che vivono nella Striscia di Gaza e nella Cisgiordania. Ora, questa non è la causa palestinese; la causa consiste nel diritto di ritorno dei profughi, quelli sia dentro che fuori la Palestina. Non c’è la minima possibilità di avere la pace in Medio Oriente senza risolvere questa questione.
AW: Cosa si aspetta la vostra organizzazione dal governo del Sud Africa?
HE: Bene, ci aspettiamo che il governo post-apartheid del Sud Africa mostri una migliore comprensione della nostra lotta poiché abbiamo molto in comune. Il Sud Africa dovrebbe troncare i propri rapporti diplomatici con l’Israele dell’apartheid, esattamente allo stesso modo in cui voi chiedevate che il mondo boicottasse i governi razzisti dell’era dell’apartheid. Le figure della liberazione del Sud Africa, quali Desmond Tutu, Roni Kasrils e John Dugard, e persino l’ex presidente americano Jimmy Carter hanno definito Israele uno stato di apartheid. Come è caduto l’apartheid? Non tenendo ambasciate a Pretoria, né con accordi economici, o con qualsiasi forma di normalizzazione.
AW: Cosa può fare la gente comune del Sud Africa per sostenere i palestinesi?
HE: Poiché le Nazioni Unite, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno respinto i palestinesi, noi contiamo sulla gente comune affinché faccia qualsiasi passo, per quanto piccolo, per mostrare il proprio sostegno alla Palestina e il rifiuto dei crimini di guerra genocidi di Israele. La gente può far questo facendo pressione sui propri governi per costringere Israele a ricondursi nei parametri del diritto internazionale. Ma ci aspettiamo di più dai sudafricani ordinari poiché abbiamo molto in comune. Trattate Israele nel modo in cui volevate che trattassimo i sudafricani razzisti.
Anna Weekes è una sindacalista sudafricana e un’attivista della Coalizione pacifista che chiede al governo sudafricano di porre sanzioni contro Israele
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://electronicintifada.net/v2/article9383.shtml
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