La disputa tra revisionisti e non-revisionisti consiste nel fatto che la documentazione delle atrocità naziste, sebbene basata senza dubbio su fatti reali, contiene una quantità significativa di fantasie. Ne consegue perciò che dovremmo analizzare la documentazione di queste presunte atrocità non solo come composte da fatti, ma anche da fantasie. Sia che si tratti di fatti, oppure di fantasie, ogni diceria riguardante le atrocità naziste dovrebbe essere collocata nel suo contesto storico appropriato, in modo tale che il ricercatore possa capire sia come i fatti sono stati accertati che il modo in cui le fantasie si sono sviluppate nella memoria popolare.
Il primo servizio giornalistico sul campo di Auschwitz Birkenau è perciò destinato ad interessare gli storici, a prescindere da come essi considerano le dicerie di Auschwitz. L’articolo seguente, di Boris Polevoi, venne inizialmente pubblicato venerdì 2 Febbraio del 1945 sul quotidiano nazionale sovietico Pravda, meno di una settimana dopo che il campo era stato liberato (il 27 Gennaio 1945), e almeno tre mesi prima della formulazione del rapporto sovietico ufficiale su Auschwitz (il 6 Maggio 1945), conosciuto in base alla sua classificazione al Tribunale di Norimberga come documento siglato USSR-08.
Quello che colpisce di più di questo servizio giornalistico è che è totalmente in contrasto con la versione di Auschwitz che ci è stata fornita in seguito, in quanto sostituisce il quadro abituale delle atrocità con un altro, completamente immaginario. Il fatto che il primo osservatore non anonimo del campo di Auschwitz abbia potuto allontanarsi così tanto dalla narrazione abituale dimostra non solo l’inesattezza di questo resoconto iniziale, ma anche il carattere artificioso dei successivi.
LA FABBRICA DELLA MORTE DI AUSCHWITZ
Di Boris Polevoi
Ci vorranno settimane di indagini lunghe e attente da parte delle commissioni speciali prima che si formi un quadro completo dei crimini, davvero senza paragoni, dei tedeschi ad Auschwitz. Quelli che vengono qui annotati sono solo i punti principali risultanti da una conoscenza sommaria del luogo in cui sono state perpetrate le mostruose atrocità dei boia hitleriani.
Il nome della città di Auschwitz è stato a lungo sinonimo delle sanguinose atrocità tedesche nel vocabolario dei popoli di mondo. Pochi dei suoi prigionieri sono scampati alle fiamme dei suoi forni famigerati. Dalle labbra delle migliaia di prigionieri era filtrata solo un’eco fantasma dei lamenti [provenienti] da dietro la rete dei suoi numerosi [sotto] campi. Solo adesso, dopo che le truppe del Primo Fronte Ucraino hanno liberato Auschwitz, è stato possibile vedere con i propri occhi questo terribile campo nella sua interezza, in cui molte delle sue decine di chilometri quadrati sono sature di sangue umano, e letteralmente concimate con ossa umane.[2]
La prima cosa che colpisce di Auschwitz, e che lo distingue da altri campi conosciuti, è la sua enorme estensione. Il territorio del campo occupa decine di chilometri quadrati e in anni recenti era cresciuto fino ad assorbire le città di Makowice, Babice, e altre.
Era un enorme complesso industriale, con le sue diramazioni, ognuna delle quali aveva ricevuto il suo speciale incarico. In una aveva luogo il trattamento dei nuovi arrivati: quelli che, prima di morire, potevano essere messi a lavorare venivano imprigionati mentre gli anziani, i bambini e gli ammalati venivano condannati allo sterminio immediato. In un’altra, destinata a quelli che erano talmente logori e sfiniti da non essere più abili al lavoro fisico, era stato assegnato il compito di smistare i vestiti degli sterminati, e di smistare le loro scarpe, mettendo da parte le tomaie, le suole, le fodere. Va detto che tutti i prigionieri che entravano nei reparti del complesso industriale sarebbero stati [prima o poi] uccisi e bruciati, sia uccisi immediatamente che per mezzo delle incombenze della reclusione.
Intorno a questo complesso industriale vennero impiantati enormi campi e terreni recintati nelle valli dei fiumi Sola e Vistula. Ai prigionieri rimanenti, bruciati nei “forni”, venivano triturate mediante macine le ceneri e le ossa, convertite poi in farina, e questa farina finiva nei campi e nei terreni.
Auschwitz! Commissioni imparziali stabiliranno il numero preciso delle persone ivi uccise o torturate a morte. Ma già possiamo affermare, basandoci su discussioni avute con i polacchi, che nel 1941-42 e all’inizio del 1943 da cinque a otto treni pieni di prigionieri arrivavano ogni giorno, e in certi giorni [i prigionieri] erano così tanti che la stazione non riusciva a gestirli.
I prigionieri provenivano dai territori circostanti occupati dai tedeschi, dall’USSR, dalla Polonia, dalla Francia, dalla Iugoslavia e dalla Cecoslovacchia. I vagoni erano assiepati di persone ed erano sempre piombati. Alla stazione, i ferrovieri polacchi venivano rimpiazzati da una squadra di lavoro del campo, che includeva diversi distaccamenti speciali. I vagoni scomparivano dietro i cancelli e tornavano indietro vuoti. Nei primi quattro anni di esistenza del campo i ferrovieri non videro nemmeno un vagone tornare indietro dal campo con dentro delle persone.
Lo scorso anno, quando l’Armata Rossa rivelò al mondo i segreti abominevoli e terribili di Majdanek, i tedeschi iniziarono a nascondere[3] ad Auschwitz le tracce dei loro crimini. Spianarono le collinette delle cosiddette “vecchie” tombe nella zona orientale[4] del campo, strapparono e distrussero le tracce del tapis roulant elettrico,[5] sul quale centinaia di persone venivano fulminate simultaneamente, dal quale poi cadevano sul nastro trasportatore che le portava in cima all’altoforno[6] dove, dopo esservi precipitate, venivano completamente bruciate, mentre le loro ossa venivano trasformate in farina con delle macine, e poi inviate nei campi circostanti.
Con la ritirata [delle truppe tedesche] vennero portati via gli speciali apparati mobili[7] per l’uccisione dei bambini. Le camere a gas fisse[8] nella zona orientale del campo vennero ristrutturate, vennero aggiunte persino piccole torrette e altri abbellimenti architettonici in modo da farle sembrare degli innocui garage.
Ma anche così si possono vedere le tracce dello sterminio di milioni di persone! Dai racconti dei prigionieri, liberati dall’Armata Rossa, non è difficile scoprire tutto quello che i tedeschi hanno cercato in modo tanto accurato di nascondere. Questa gigantesca fabbrica della morte era equipaggiata con le ultime novità della tecnologia fascista ed era fornita di tutti gli strumenti di tortura che i mostri tedeschi potevano escogitare.
Nei primi anni del campo, i tedeschi mantennero solo un’industria approssimativa della morte: essi semplicemente conducevano i prigionieri davanti a una grande fossa aperta, li costringevano a sdraiarsi e sparavano loro alla nuca. Quando il primo strato era ultimato, il successivo veniva formato costringendo i prigionieri a sdraiarsi sullo strato sottostante. E così era stato riempito il secondo strato, e il terzo e il quarto…Quando la fossa era piena, per assicurarsi che tutte le vittime erano morte, veniva fatto fuoco con la mitragliatrice svariate volte, mentre quelli per i quali non c’era più posto nella fossa venivano coperti. Così vennero riempite centinaia di enormi fosse nella zona orientale del campo, che portano il nome di “vecchie” tombe.
I boia tedeschi, notate la rozzezza di questo metodo di uccisione, decisero di aumentare la produttività della fabbrica industriale della morte meccanizzandola, con le camere a gas, il nastro trasportatore elettrico, la costruzione dell’altoforno per bruciare i corpi e i cosiddetti “forni”.
Ma per i prigionieri di Auschwitz la stessa morte non era la cosa più terribile. Gli aguzzini tedeschi, prima di uccidere i loro reclusi, li tormentavano con la fame, il freddo, turni di lavoro di 18 ore giornaliere,e mostruose punizioni. Mi sono state mostrate le sbarre d’acciaio coperte di cuoio che utilizzavano per picchiare i reclusi. Sull’impugnatura – il marchio della fabbrica Krupp di Dresda. Questi attrezzi venivano prodotti su scala industriale. Ho visto, in edifici nella zona meridionale del campo, panche con cinghie, sulle quali le persone venivano picchiate a morte. Esse erano ricoperte di zinco, in modo tale che il sangue dei prigionieri poteva essere lavato: i boia avevano cura dell’igiene! Ho visto una sedia di quercia costruita in modo speciale, sulla quale le persone venivano uccise, dopo che gli era stata spezzata la schiena. Ho visto massicci manganelli di gomma, tutti con il marchio della fabbrica Krupp, con in quali i reclusi venivano colpiti sulla testa e sui genitali.
Ho visto migliaia di martiri ad Auschwitz – persone così sfinite che ondeggiavano come fantasnìmi nel vento, persone, la cui età era impossibile da stabilire.
L’Armata Rossa li ha salvati, e li ha tratti dall’inferno. Essi onorano l’Armata Rossa come i vendicatori di Auschwitz, Majdanek, per tutte le pene e le sofferenze che i boia fascisti hanno portato ai popoli d’Europa.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.codoh.info/incon/inconosven2.html
[2] Il concetto in qualche modo fantastico della concimazione del terreno con le ossa dei cremati era comune all’epoca, vedi il Brave New World di Huxley, ed era solitamente connesso con il rifiuto della cremazione come mezzo di smaltimento dei morti, un mezzo che stava gradualmente riemergendo in quest’epoca. Nella propaganda della seconda guerra mondiale, [tale concetto della concimazione del terreno] sembra sia stato menzionato per la prima volta dai sovietici in occasione della liberazione di Majdanek nell’Agosto del 1944.
[3] Il concetto dei tedeschi che “nascondono le tracce dei loro crimini” riporta, paradossalmente, alle rivelazioni sulla foresta di Katyn del 1943, quando i tedeschi riesumarono i corpi di 4.400 ufficiali polacchi uccisi lì dai russi. All’epoca i sovietici affermarono che i tedeschi avevano riesumato i resti degli ufficiali polacchi, li avevano portati a Katyn, avevano frugato le loro tasche, vi avevano inserito dei documenti, li avevano seppelliti di nuovo, vi avevano piantato sopra degli alberi, e li avevano nuovamente riesumati, il tutto per mettere in difficoltà l’Unione Sovietica (queste affermazioni dei sovietici vennero in seguito introdotte “come un fatto risaputo” al Tribunale di Norimberga).
[4] Avendo così stabilito il principio dell’astuto complotto tedesco, i sovietici avrebbero applicato lo stesso schema a molti altri casi per spiegare, non la presenza di tracce forensi, ma piuttosto la loro assenza: a Krasnodar (Luglio 1943), Kharkov (Settembre 1943), Babi Yar (Novembre 1943), e Majdanek (Agosto 1944).
[5] Non c’è quasi bisogno di osservare che il “nastro trasportatore elettrico” non comparirà più in nessuna narrazione successiva di Auschwitz, ma all’epoca si credeva comunemente che i tedeschi avessero massacrato milioni di persone in grandi camere elettriche a Belzec e altrove.
[6] L’”altoforno” in cui le persone cadevano e venivano bruciate non appare in nessun precedente resoconto propagandistico, a quanto ci risulta. Tuttavia, viene menzionato in una versione del “Rapporto Gerstein”, scritto da un ex igienista delle SS (e perciò anche manipolatore di barattoli di Zyklon B) tre mesi più tardi, tra la fine di Aprile e l’inizio di Maggio del 1945. L’immagine dell’altoforno probabilmente rimanda a sua volta a metafore anti-industriali come la scena del “Moloch” nel classico film muto di Fritz Lang “Metropolis” (1925).
[7] La menzione degli “speciali apparati mobili per l’uccisione dei bambini” è probabilmente un’allusione ai camion a gas, il cui speciale utilizzo a scopo omicida viene attestato per la prima volta nei processi di Krasnodar-Kharkov del 1943 [Nota del traduttore: anche qui però in modo del tutto truffaldino]…Gli storici oggi non ne attestano l’utilizzo ad Auschwitz.
[8] Le “camere a gas fisse” sono a quanto pare un’allusione sia alle camere a gas di disinfestazione BW 5/A e 5/B di Birkenau, che ai Crematori IV e V…Se l’allusione riguarda i Crematori IV e V, questa contraddice la versione corrente, secondo cui i tedeschi distrussero i crematori prima di ritirarsi per “nascondere le tracce dei loro crimini”.
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