Di Mohammed Omer, Live from Palestine, 8 Marzo 2008[1]
GAZA CITY, 7 Marzo – Mahasen Darduna soffre in modo visibile; ella soffre per mano degli israeliani. Ma ci sono molte donne palestinesi le cui sofferenze non vengono viste perché il loro inferno viene inflitto da compagni palestinesi. In un modo o nell’altro, a Gaza non è mai il giorno delle donne.
Per una settimana, Mahasen Darduna, 30 anni, è stata notte e giorno presso il letto d’ospedale di suo figlio. Il bambino, Yahiya, di nove anni, si era trovato in un gruppo di coetanei colpiti da un missile israeliano mentre giocavano a pallone in un campetto del campo-profughi di Jabaliya. Yahiya è sopravvissuto, ma con gravi ferite.
“Ha bisogno della mia assistenza, è rimasto bloccato a letto da quando è rimasto mutilato dal missile israeliano”, dice Mahasen. Ma ella deve anche andare via spesso per badare ai suoi altri cinque figli, che ha fatto trasferire a casa della suocera pensando che lì stiano più al sicuro.
“Penso sempre a loro quando stiamo lontani. Mi sento malissimo: due si sono ammalati e piangono ogni volta che ci salutiamo. Non posso stare in entrambi i luoghi”.
Nella stessa stanza d’ospedale, Umm Ali Faraj si prende cura del suo bambino di sette anni, che ha ricevuto una frattura al cranio da un bombardamento. Anche Umm Ali ha riorganizzato la sua vita. Quattro dei suoi sette figli stanno con lei all’ospedale. Umm Ali va avanti e indietro tra l’ospedale e la casa, cucinando per i figli e mandandoli a scuola.
Come Mahasen e Umm Ali, innumerevoli donne hanno sofferto a causa dei 40 anni e più di occupazione israeliana.
“La vita delle donne palestinesi è incredibilmente difficile a causa del paralizzante assedio internazionale e delle incursioni omicide dell’esercito israeliano”, dice Nadyia Abu Nahla, direttrice del Women’s Affairs Technical Centre di Gaza, un gruppo indipendente che sostiene i diritti delle donne.
Il gran numero di donne che sono state costrette a partorire nei checkpoints dell’esercito israeliano è ben documentato dalle associazioni umanitarie israeliane e internazionali. La politica israeliana di demolire le case palestinesi ha punito collettivamente decine di migliaia di donne a Gazae in Cisgiordania, rendendo loro e i loro figli senza casa.
Ma in questo periodo, le donne hanno anche combattuto contro la negazione dei loro diritti da parte della società palestinese.
“La spaventosa situazione economica è una delle cause della crescita della violenza a Gaza”, ha detto Abu Nahla all’IPS [Inter Press Service]. Con la resistenza all’assedio e gli attacchi militari, è cresciuto il fanatismo religioso, e questo ha contribuito a una crescita della violenza contro le donne, ella ha detto.
“L’Islam proibisce la violenza contro le donne, e proibisce l’uso delle donne come schiave”, spiega Sheikh Hassan al-Jojo, capo della Legitimacy Court di Gaza, il tribunale principale per le questioni sociali e familiari. Ma egli riconosce anche che le donne non godono dei loro pieni diritti.
I “delitti d’onore” sono cresciuti, secondo Abu Nahla. Almeno 17 donne sono morte per “delitti d’onore” a Gaza l’anno scorso, riferisce il suo centro [d’informazioni]. Questo è stato il numero più alto di “delitti d’onore” dal 2003, quando vennero uccise 34 donne a Gaza e in Cisgiordania.
Né le leggi penali giordane applicate in Cisgiordania, né la legge egiziana osservata a Gaza proibiscono efficacemente o puniscono in modo appropriato la violenza contro le donne. Le donne vengono raramente incoraggiate a rivolgersi ai tribunali, o a cercare l’aiuto dei servizi sociali.
L’investigatore-capo della polizia Mussa Dawoud ha detto all’IPS che la violenza contro le donne viene presa sul serio. Ma egli dice che, cercando di risolvere i problemi, la polizia cerca di proteggere la struttura familiare, ed evita complicazioni che potrebbero condurre al divorzio.
I funzionari di polizia e i capi-clan mediano abitualmente per risolvere questioni riguardanti la violenza familiare, ma offrono soluzioni che di solito implicano che la donna offesa viene restituita al marito. Quando le donne ricevono sostegno per opporre una forte resistenza, esse devono affrontare la pressione e le punizioni degli uomini violenti.
Secondo Abu Nahla, a una donna di 29 anni proveniente da Khan Younis non viene permesso, da parte del marito, di usare il telefono e persino di mandare messaggi scritti. Ella viene tenuta prigioniera in casa quotidianamente, e in un caso non ha potuto portare suo figlio all’ospedale. Abu Nahla aggiunge che altre donne sono state picchiate dai loro mariti per aver visitato i propri parenti senza il loro permesso.
Solo il 13% dei membri del Consiglio Legislativo Palestinese sono donne, e le posizioni di comando sono ancora minori. “Questo non è abbastanza”, spiega Abu Nahla, “speriamo che vi saranno più posti per le donne” e che “venga assicurata in ogni modo la sicurezza domestica”.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://electronicintifada.net/v2/article9386.shtml
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