Ieri, Maurizio Blondet ha scritto un articolo molto bello sul caso Demjanjuk[1], di cui ci siamo occupati più volte su questo blog. Blondet cita a tal proposito un vecchio articolo di Patrick Buchanan pubblicato dalla rivista “Ukrainan Weekly”, aggiungendo che “parti dello scritto di Buchanan sono ancora reperibili (per quanto?) nel sito http://www.whitecivilrights.com/?p=314 “. Ho controllato il link ieri sera e i timori di Blondet erano giustificati: lo hanno tolto anche da lì. E’ difficile però cancellare del tutto il materiale pubblicato in rete: io l’ho recuperato nel monumentale “Internet Archive” (15 miliardi di pagine archiviate): http://web.archive.org/web/20050312031010/www.ukar.org/buryan.htm
Eccone la traduzione:
BUCHANAN RISPONDE A RYAN
Ukrainian Weekly, 15 Febbraio 1987
WASHINGTON – Patrick Buchanan, assistente del presidente e direttore delle comunicazioni della Casa Bianca, ha replicato a un commento scritto da Allan A. Ryan Jr. , ex direttore dell’Office of Special Investigations (OSI) del Ministero della Giustizia degli Stati Uniti in relazione al caso di John Demjanjuk, accusato di essere un criminale di guerra nazista.
I due uomini si sono sfidati mediaticamente sull’identità e sull’innocenza di Demjanjuk, che è accusato di essere la brutale guardia del campo della morte di Treblinka “Ivan il Terribile”, e il cui processo sta per riprendere in Israele domani. Buchanan, che per quattro anni ha seguito il caso Demjanjuk, afferma con precisione che, in base alle sue ricerche, l’uomo è innocente. Ryan, che ha scritto “Quiet Neighbours: Prosecuting Nazi War Criminals in America” [Vicini tranquilli: perseguire i criminali di guerra nazisti in America], in cui ha dedicato un capitolo a Demjanjuk, sostiene che è colpevole.
Buchanan ha difeso per la prima volta Demjanjuk in un editoriale pubblicato sul Washington Post il 28 Settembre del 1986, intitolato “Nazi Butcher or Mistaken Identity” [Macellaio nazista o errore di persona]. Egli ha accertato che se Demjanjuk non fosse colpevole dei crimini che gli vengono attribuiti, “allora – a giudizio del sottoscritto – John Demjanjuk potrebbe essere vittima di un caso Dreyfus americano”.
Il 26 Ottobre, Ryan ha ribattuto all’articolo di Demjanjuk in “Pat Buchanan is Wrong: ‘Ivan the Terrible’ Wasn’t Railroaded, Says his Prosecutor” [Pat Buchanan si sbaglia: ‘Ivan il Terribile’ non agì su costrizione, dice il suo accusatore”] in cui egli, di nuovo, ha affermato che Demjanjuk è la guardia del campo della morte.
Ora, in risposta a Ryan, Buchanan inizia la sua confutazione sostenendo che l’ex direttore dell’OSI “mi ha accusato di attaccare ‘le motivazioni e l’integrità del Ministero della Giustizia’ con con affermazioni erronee e con distorsioni, imbarazzando l’amministrazione Reagan e insultando ‘la giustizia federale e il popolo americano’”.
Per un uomo che con Demjanjuk ha in mano un caso di facile soluzione, il grande cacciatore di nazisti sembra nervoso. E fa bene a esserlo. Perché la reputazione di Ryan si basa su un’accusa di cinque anni fa che diventa sempre meno credibile quanto più la si studia.
Buchanan ricorda ai suoi lettori che Demjanjuk è stato deportato dagli Stati Uniti non per crimini di guerra nazisti ma perché aveva mentito nel compilare la sua richiesta di visto di entrata, cosa che egli ammise in tribunale nel 1981.
Questa falsità fu una ‘menzogna’, uno’spergiuro’, padre di molte altre menzogne, scrive Ryan. Perché – se era innocente dei crimini di guerra – Demjanjuk avrebbe falsificato i suoi trascorsi di guerra sulla sua richiesta di visto?
La risposta è ovvia. Arruolato nell’Armata Rossa nel 1943, Demjanjuk venne ferito in Crimea, catturato dai tedeschi, internato come prigioniero di guerra a Chelmno, in Polonia e, nel 1944, reclutato dall’’Armata dei Dannati’ del Generale Vlasov per combattere contro l’Armata Rossa. Aveva addosso il tatuaggio del gruppo sanguigno portato dalle Waffen SS sul fronte dell’est. Se avesse detto agli americani, cui si era arreso in Baviera nel 1945, del servizio prestato per la Wehrmacht, avrebbe potuto essere ‘rimpatriato’ nell’Unione Sovietica di Stalin con l’”operazione Keelhaul”, e fucilato al suo ritorno in Ucraina. Avendo escogitato la storia che durante la guerra faceva l’agricoltore in Polonia, Demjanjuk rimase fedele ad essa nella sua richiesta di visto.
Buchanan ha anche parlato della carta d’identità del campo d’addestramento di Trawniki fornita dalle autorità sovietiche, che costituisce la prova più importante del processo Demjanjuk.
Ebbene, ora, forse conosceremo la verità. Perché finalmente i sovietici hanno consegnato l’originale per il processo israeliano. Ed è sorta la nuova domanda. Perché il nome di Demjanjuk non si trova da nessuna parte, né nel registro del campo di Trawniki né sulla lista dei trasferimenti di Treblinka – entrambi ora a disposizione della difesa?
Buchanan ha anche messo in dubbio i testimoni che secondo Ryan provano che Demjanjuk sia “Ivan il Terribile”.
Il testimone cruciale è Elijahu Rosenberg, il primo dei sopravvissuti di Treblinka a individuare Demjanjuk in una foto diffusa dagli israeliani e a identificarlo come la sadica guardia del campo di Treblinka. Tuttavia, in una dichiarazione giurata fornita nel 1947, Rosenberg dichiarò che Ivan, l’operatore della camera a gas, venne ucciso a badilate durante la rivolta dell’Agosto del 1943. Quale delle contraddittorie dichiarazioni di Rosenberg – entrambe rese sotto giuramento – è vera?
Altre nubi si sono addensate sulla credibilità dei testimoni di Ryan. Tali nubi risalgono al 1978 quando un altro americano di origine ucraina, Feodor Fedorenko, venne portato in tribunale per un procedimento di privazione della cittadinanza a Fort Lauderdale.
A differenza di Demjanjuk, Fedorenko ammise di essere stato a Trawniki e a Treblinka, ha detto Buchanan. Venne poi deportato in Unione Sovietica.
Il giudice della Florida credette a Fedorenko – e giudicò le prove contro di lui – la testimonianza giurata di una dozzina di testimoni sopravvissuti – ‘piene di contraddizioni e di incertezze…e perciò non conclusive’. Queste stesse persone, uomini e donne, sono i testimoni-chiave dell’accusa nel prossimo processo Demjanjuk di Gerusalemme.
Uno di questi, è ancora Epstein. A Fort Lauderdale, Epstein testimoniò di aver visto personalmente un omicidio a sangue freddo da parte di Fedorenko a Treblinka, un omicidio mai menzionato nelle sue precedenti dichiarazioni. Contro-interrogato, Epstein iniziò a contraddirsi e, a detta del giudice Norman Roettger, ‘iniziò a dimenarsi e ad agitarsi sul banco dei testimoni’.
Un altro testimone contro Demjanjuk, Josef Czarny, è altrettanto dubbio. Nel processo di Fedorenko, venne liquidato dal giudice come ‘una figura teatrale’, ‘chiaramente il meno credibile dei testimoni sopravvissuti’. Sebbene questa descrizione sembra confacersi al testimone Turowski che, chiesto di identificare la guardia del campo Fedorenko, indicò uno spettatore di mezza età in fondo all’aula.
Continua Buchanan:
Ancora, sono questi gli uomini e le donne la cui testimonianza ha distrutto la vita di Demjanjuk e da cui dipende la sua sopravvivenza.
Si sono contraddetti sotto giuramento. Si sono contraddetti tra di loro. Sono stati contraddetti da testimoni terzi. Sono contraddetti dai resoconti in prima persona di Treblinka, prodotti all’indomani della liquidazione del campo nel 1943.
Essi fanno pensare a quegli 11 ‘testimoni sopravvissuti’ che testimoniarono sotto giuramento – testimoniando il falso – di conoscere Frank Walus come il Macellaio di Kielce, quando le prove materiali dimostrarono che Walus all’epoca era un lavoratore agricolo residente in Germania, che era troppo giovane, troppo basso e e con la nazionalità sbagliata (polacca) per appartenere all’elite della Gestapo. Nessuna sanzione morale o legale venne mai imposta a questi 11 ‘testimoni’, le cui falsità rovinarono e distrussero un americano innocente.
Buchanan ha anche parlato di una serie di foto cui Ryan ha alluso nella sua replica. Questa serie, ha scritto Ryan, di otto foto non segnate venne preparata dal Ministero della Giustizia per conformarsi ai criteri stabiliti dalla Corte Suprema per i procedimenti penali. Ai testimoni venne chiesto di identificare l’immagine di Demjanjuk. Ryan ha scritto che ogni testimone, senza esitazione, identificò la foto di Demjanjuk. Chiosa Buchanan:
Una copia di quella serie originale di foto sta davanti a me. Le fotografie di Demjanjuk e di Fedorenko sono grandi il doppio delle altre; sono chiare, mentre le altre sono sfuocate o opache. Il tribunale della Florida ha dichiarato che l’intera serie è “intollerabilmente allusiva” ed è “semplicemente inaccettabile in base alla legge americana”.
Dopo aver letto “Un anno a Treblinka” di Jankel Wiernik (fu il primo a dire al mondo che i nazisti stavano sterminando gli ebrei polacchi a Treblinka) e le dichiarazioni postbelliche di Rosenberg e Epstein, contenute ne“Il campo della morte di Treblinka”, Buchanan ha detto di non aver trovato neppure una citazione di “Ivan il Terribile”.
E’ mai esistito ‘Ivan il Terribile’?
A mio giudizio, ‘Ivan il Terribile’ è probabilmente un mix di Ivan, l’operatore della camera a gas descritto da Jankel Wiernik, del ‘bruto gigantesco’, del ‘gigante sadico’ del libro
‘Treblinka’ di Jean-Francois Cohen-Steiner (1966), il gigantesco mesomorfo che i paesani polacchi ricordano – un individuo mostruoso che frequentava prostitute e beveva nel loro villaggio vicino a Treblinka, e che morì o nella rivolta di Agosto o nei Balcani insieme ad altri sopravvissuti del campo della morte.
L’altra metà del mix è, credo, un tedesco, un nazista, un veterano di mezza età del programma ‘Eutanasia’ di Hitler, un uomo che Alexander Donat descrive come un ‘carrierista spietato, un individuo brutale dal temperamento aggressivo’, visto ‘correre per i campi brandendo la frusta e il fucile, gridando e imprecando’, un criminale che uno storico delle SS ha descritto come un ‘orco vanitoso’. Il suo nome era Christian Wirth, ma era conosciuto dagli internati con un soprannome: ‘Christian il Terribile’. Wirth venne ucciso dai partigiani vicino Trieste il 26 Maggio del 1944.
Così, permettetemi di rivedere l’inattaccabile causa di Ryan.
Mosca è stata virtualmente costretta a produrre il solo reperto di prova documentaria contro Demjanjuk: una carta d’identità, la cui autenticità deve essere ancora davvero stabilita. Affrontati dal competente avvocato di Fort Lauderdale – come non furono a Cleveland – i testimoni contro Demjanjuk sono crollati in una cacofonia di contraddizioni. Il governo polacco sta impedendo all’avvocato di Demjanjuk di visitare i paesani che vivono vicino a Treblinka, la cui testimonianza – che nel 1943 la guardia ‘Ivan’ fosse un uomo che aveva il doppio degli anni di Demjanjuk ed avesse una corporatura più piccola della metà – potrebbe discolpare l’accusato. E gli israeliani hanno tenuto Demjanjuk prigioniero per sei mesi prima di presentare le carte. Un caso inattaccabile.
A lei la parola, signor Ryan.
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